Papà, che vuol dire omosessuale?

Quali sono le parole giuste per spiegare l’omosessualità ai bambini e poi ai ragazzi? Ne parliamo con Marco The Queen Father, l’autore di un blog i cui contenuti sono così ben bilanciati, tra ironia e profondità, da far quasi passare in secondo piano la qualità della sua scrittura. Marco racconta la sua storia quotidiana di padre omosessuale, che ha “osato” desiderare un matrimonio e la paternità.
Parlare con ironia della sua famiglia omogenitoriale, è il suo modo di combattere una battaglia per l’informazione, che poi è la chiave del rispetto.

– Come si spiega l’omosessualità ai bambini? Nel momento in cui possono nascere le prime domande, anche in una famiglia eterosessuale, quale pensi sia la chiave per parlarne con naturalezza?
E poi quali sono le parole giuste per parlarne agli adolescenti, nel momento in cui, magari spinti dal “branco”, dovessero mostrare atteggiamenti omofobi?

Mamma… Un domandone! Come esporre l’omosessualità e combattere l’omofobia in famiglia…. Come genitori capirete che i bambini non affrontano nessun argomento, neanche quelli più ‘delicati’ con malizia. Quella è una cosa che imparano da noi.
La naturalezza nell’affrontare un argomento nasce dal sentirsi a proprio agio con certi temi, non è una cosa che si può fingere così su due piedi. Per questo c’è da fare un po’ di lavoro a monte per ‘preparare’ i piccoli ad abbracciare la varietà del sociale senza pregiudizi né preconcetti. E non necessariamente solo nell’ambito di tematiche inerenti alla sessualità.

L’atteggiamento della famiglia nei confronti di tematiche sociali come l’omosessualità influisce terribilmente sulla percezione che il piccolo ha di queste.
Per esempio, io sono cresciuto in una società dove la massima offesa per un maschietto era quello di sentirsi chiamare ‘femminuccia’ e questa era una cosa condivisa da tutti. Anche dai miei genitori, che si incavolavano con me ogniqualvolta un amichetto mi prendeva in giro.
“Cretino! Perchè ti fai dare della femminuccia?”
E io non capivo cosa ci fosse di così degradante nelle femminucce, o in un maschietto che preferiva le Barbie al pallone da calcio… Capivo solo che me ne dovevo vergognare anche di fronte ai miei.

Ma la lezione era quella: datemi del pidocchioso, del poveraccio, dello straccione, ma della femminuccia proprio no.
Il problema inizia così.
Inizi a pensare che mostrare caratteristiche comportamentali legate all’altro sesso sia qualcosa di cui provar vergogna, ed ancora non sei neanche ‘sessuale’, nel senso, non hai ancora sviluppato la tua sessualità, qualunque essa sia. Insomma, sai già che devi attenerti a degli schemi precisi a rischio di essere buttato fuori dal branco o dalla famiglia.

Una volta poi che gli ormoni iniziano ad andare sulle macchinette a scontro che hai nel cervello, arrivano i veri guai, perchè devi iniziare a fare i conti con delle vere e proprie pulsioni verso l’altro sesso.
Se poi queste pulsioni sono invece rivolte verso il tuo stesso sesso ecco che subentra quel senso di ‘errore/orrore’ che abbiamo imparato già quando ancora le ragazze ci facevano schifo perchè preferivamo andare in bicicletta tutto il giorno.

Uno degli errori che facciamo come genitori è quello di far credere ai piccoli, che la loro sessualità ed identità maschile o femminile sia un bene primario suscettibile di ‘contaminazione’ o ‘devianza’. Insomma, gli insegnamo prestissimo a farsi le paranoie quando invece un atteggiamento paritario nei confronti di ambo i sessi sarebbe più utile ad ‘elasticizzare’ le giovani menti nella loro percezione dell’omosessualità, perchè la bambina-maschiaccio è simpatica a tutti, il bambino effeminato invece mette tutti in imbarazzo.
Anche i genitori.

Nell’esibizione di caratteristiche comportamentali appartenenti all’altro sesso, come nell’interesse sentimentale/erotico verso un altro uomo, noi maschi commettiamo il massimo tradimento verso il nostro clan: assumiamo i connotati del sesso opposto, quindi contaminando la nostra sessualità “predominante” vissuta come bene primario.
E non lo dico io, lo dicono dotti psicologi e psichiatri.
Avete mai ragionato sul fatto che tanti uomini etero non hanno grossi problemi con le lesbiche (a parte il senso di ‘spreco di figa’ per metterla sul quel tono là…), ma assumono atteggiamenti castigatori e derisori se si tratta invece di un omosessuale maschio, mentre le donne sono tendenzialmente più tolleranti nei confronti di ambo le categorie?
Come se fosse più grave per un uomo essere gay che per una donna… Come se l’omosessualità fosse prima di tutto sentita come una minaccia all’identità sessaule maschile.
C’è questa formazione di base che va smossa.

L’omosessualità non deve essere trattata come una disgrazia, una perversione, come qualcosa da discutere sottobanco a mezza bocca e di cui vergognarsi.
Le battutacce da caserma sui gay (chiamateli poi come volete… A casa mia si chiamavano ‘froci’, ‘ricchioni’ e ‘zozzoni’… Un termine positivo non sapevo neanche che esistesse…) evitatele. Evitate di ridicolizzare l’omosessualità, anche senza malizia.
Se volete educare i vostri figli e trasmettere loro l’idea che qualcosa sia serio e meritevole di rispetto, dovete iniziare voi.

[quote]Quindi questa è una chiave verso la naturalezza: incorporare parole come ‘omosessualità’ nel lessico famigliare e cercare di salvare il termine dalle grinfie della perversione e del taboo.
Omosessualità non è una parolaccia.
È una variante del comportamento di alcuni individui. Come il colore della pelle, o il livello di intelligenza.
Adesso non vorremmo mica prendere uno a sassate perchè è meno intelligente di noi? O ha la pelle di un colore diverso? O è omosessuale? Capisco la reticenza dei genitori di usare parole contenenti ‘sesso’ con i piccoli. Ma allora usate ‘gay’ no? È pure più carino…

Il 90% di quello che esce dalla bocca dei piccoli è il riciclaggio delle parolone di mamma e papà. Solitamente, famiglie con un atteggiamento liberale nei confronti di sesso e sessualità (specialmente nel nord Europa) crescono figli altamente tolleranti ed a proprio agio con certe tematiche e con la propria sessualità (senza poi menzionare i bassissimi livelli di gravidanze under-18 e di violenze sessuali di cui le società più ‘bacchettone’ sono piene…).

Stavo leggendo un interessantissimo articolo sulla primissima infanzia che mostrava come il nostro atteggiamento di genitori varia nei confronti dei nostri piccoli a secondo del loro sesso. Che sembra la scoperta dell’acqua calda, ma è invece un po’ più sottile la cosa…
In genere i maschietti vengono ‘maneggiati’ con meno delicatezza delle femminucce, specialmente dai papà, i giochi sono più fisici e ‘violenti’ ed il tono di voce con cui parliamo loro fin da neonati è più forte.
Se il maschietto casca e si fa male al ginocchio cerchiamo di minimizzare l’accaduto e gli diciamo di smettere di piangere, di ‘essere grande’ o di comportarsi da ‘ometto’.
Così i maschietti imparano che mostrare i propri sentimenti e le proprie paure è un segno di debolezza. Di conseguenza, crescendo, se si imbattono in un maschietto ‘diverso’ (uno che piange quando cade, piange quando lo prendono in giro, piange quando lo spingono per terra e gliele danno di santa ragione…), lo interpretano subito come un ‘debole’, una ‘femminuccia’.
Il passo per arrivare a chiamarlo ‘frocetto’ è breve perchè il più è stato fatto.

Non sei meno maschio se vuoi piangere o giocare con le pentoline invece che con le pistole, non sei meno femmina se vuoi fare le buche con la ruspa invece che pettinare la coda al Mini Pony.
Ci sono maschi che giocano a pallone e maschi che giocano con la Barbie. Ci sono femmine che giocano a ‘signora mia’ e femmine che giocano a ‘camionisti’.
E così ci sono maschi che sposano i maschi e maschi che sposano le femmine. Ed è tutto qui.
Sono comunque maschi e femmine.
Senza dimenticare che dietro all’omosessualità c’è comunque il sentimento, l’amore, ma quello non si spiega, si dà.
Riceverlo con costanza è generalmente l’insegnamento più valido per ogni bambino e lo spaventapasseri più efficace contro atteggiamenti ostili di ogni tipo.

– Hai raccontato nel tuo blog il momento in cui hai preso coscienza della tua omosessualità. Quali sono le parole per parlare a un adolescente della sua omosessualità, se la si riconosce? Un genitore come può accogliere un figlio omosessuale e comunicare la sua disponibilità a parlarne e ad accettarlo? Nella tua esperienza quali sono state le parole dei tuoi genitori o quelle che avresti voluto sentirti dire?

Per esperienza vi dico che la cosa migliore è aspettare che lui si faccia avanti. C’è comunque tutto un lavoro di ‘preparazione del terreno’ per così dire che i genitori devono fare per rendere questo passo più facile per il figlio.
Intanto smettetela di fare domande sceme ed imbarazzanti tipo “Ce l’hai la ragazza?” ed aiutatelo a evitarne da parenti ed amici. Io odiavo quando mi paragonavano ai galletti del quartiere, sempre a spomiciazzare con qualche ragazza e mi facevano sentire ‘diverso’ perchè non ingaggiavo in quel tipo di condotta.

Passate commenti positivi su quel tipo gay che conoscete o su quell’attore gay che ammirate.
Interessatevi alle cose che interessano a vostro figlio, che sia la moda, il ballo, il pallone o quell’amico del cuore con cui litiga sempre, sforzatevi di fare parte della sua vita pur rispettando la sua privacy e condividete il più possibile.
Io ero l’unico che si mise a studiare moda e costume dopo una lunghissima sequenza di cugini tutti muratori o elettricisti o poliziotti.
Questa cosa è sempre stata un po’ lo scherzo tra parenti.
“Ma non sai che gli stilisti son tutti froci? Perchè vuoi essere stilista?” e giù sorrisini.
Bastardi.
Se volete che lui vi parli di sé, dovete rassicurarlo che una volta fatto il ‘coming out’ voi sarete sempre lì, tanto quanto prima, ad amarlo e supportarlo.
Non è astrofisica.
Ma non arrogatevi mai il diritto di fare domande o di fare insinuazioni. Scoprire ed ammettere di fronte a se stessi di essere gay è una delle cose più difficili e sconvolgenti nella vita di un adolescente (specialmente se cresciuto con tutti i ‘dogmi sociali’ esposti sopra…), date a vostro figlio il lusso della libertà di scegliere quando dirvelo e la sicurezza del vostro appoggio.
Il mio coming out è stato un po’ una tragedia. Lo dissi prima a mia madre e lei la prese malissimo.
Si rimproverava di avermi coccolato troppo da piccolo.
“Si vede che me lo merito! Dovevo essere più dura…” e giù a piangere lacrimoni. (vedete però come si ricollega al discorso che facevo prima?)
Andava fuori di cervello pensando a cosa dire alla gente che le chiedeva puntualmente di me. E io che urlavo “Ma che cazzo di problemi ti fai? Vogliono solo sapere se sto bene, non cosa faccio a letto!”.
Ero diventato una vergogna da tener nascosta.
Ero furioso e ricordo di averle detto di non parlarmi finchè non avesse digerito la cosa.
“Mi rifiuto di essere trattato come un delinquente da mia madre! Sai quanto ci ho messo io a digerirla ‘sta cosa? Adesso fai tu la tua parte…”
Quelle parole ancora mi fanno male.
Io ero già a Londra, vivevo da solo ed avevo conquistato una certa indipendenza emotiva dai miei genitori. Dir loro della mia omosessualità era un rischio che mi sentivo di poter correre.
Lei mi implorò di non dir nulla a mio padre “Non capirebbe!” (perchè lei, volpe, invece la aveva presa bene…).
Anni dopo, esce fuori che papà lo aveva sempre saputo e che non è mai stato un problema, ma voleva fossi io a dirglielo.
Addirittura abbracciò il mio Steven dicendogli “Per me sei come un figlio!”. Parole che mai mi sarei aspettato da mio padre, burbero, serio, tutto di un pezzo e anche abbastanza incazzoso.
Questo mi fa ancora piangere di commozione.
Eh sì, sono ancora una femminuccia. Che ci volete fare.
Ne vado fiero.
[quote1]Se pensate che vostro figlio sia gay, aspettate che sia lui a mettersi a nudo, a nessuno piace sentirsi strappare la corazza di dosso, specialmente quando la si è indossata per anni.
Ricordatevi anche che non avrete mai la possibilità di rimangiarvi le parole che gli direte, quindi fate attenzione a come le scegliete.
Se poi volete davvero un consiglio, non dite nulla, abbracciatelo stretto e basta, cucinategli il suo piatto preferito, festeggiate.

Quello è il gesto che dice più di tutto “Per me sei sempre il mio bambino ed io ti amo!”.

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72 thoughts on “Papà, che vuol dire omosessuale?”

  1. Se non fosse per Marco, mi sembrerebbe di essere su Mammecrescono invece che su Genitoricrescono e così provo ad aiutare spingere l’ago della bilancia verso il piatto dei maschietti.
    Mi vengono in mente cose diverse e aneddoti vari che buttero’ li senza, forse, un filo logico.
    1) non ho ricordi infantili di stupore rispetto all’idea che due uomini potessero accoppiarsi. Forse perché da bambino i giochi erotici (il più famoso é quello del dottore?) li facevo sia con le amichette che con gli amichetti? i giochi piu’ “spinti” succedeva che erano quelli proposti da un mio compagno delle elementari di nome G. Un giorno, quando gia’ ero grande, mia madre mi racconto’ che sapeva per certo (non so quale fosse la fonte) che il papa’ del mio amico aveva relazioni sessuali con la sua donna (non la mamma di G) in presenza di G. Ho capito solo allora certi perche’.
    2) mi infastidisce quando le persone dicono: “si vede chiaramente che e’ gay! perche’ non lo ammette e basta?”. Ma cosa deve ammettere? perche’ uno (o una, scrivo al maschile per semplicita’ ma vale per ambo i sessi… ovviamente) deve ammettere i suoi gusti sessuali? A un etero si chiede di fare coming out sul fatto che, per esempio, gli piace che la partner lo frusti? Non so se mi riesco a far capire. In altre parole, perche’ una persona deve “ammettere” di essere omosessuale? Gia deve essere complicato “ammetterlo” con se stessi in questa epoca e societa’! mi sbaglio o nella Roma imperiale era una questione meno complicata?
    3) anni fa, vivevo e studiavo a Bournemouth, Inghilterra. Un giorno, una coinquilina venne a “confessarmi” (aaarrrgh!) la sua omosessualita’. Preferiva dirmelo lei e non che lo venissi a sapere da voci di corridoio. Era veramente angosciata all’idea. Le dissi che lo sapevo, che per me era chiaro e che nessuno me lo aveva detto e, soprattutto, che non mi importava (nel senso che non doveva preoccuparsi di raccontarmi le sue preferenze sessuali se non era per il piacere o desiderio di confrontarsi con me: non per paura di un mio giudizio!). Piu’ tardi, quello stesso giorno, mentre pensavo quasi compiaciuto di come ero stato bravo nel capire che era lesbica senza che me lo dicesse, mi rendevo conto che non ero stato per niente attento nel capire che l’idea che lo potessi scoprire dalle voci di corridoio la angosciava.
    4) il ruolo della madre e del padre? Sono certo del fatto che i nostri figli cercano me o mia moglie a seconda delle necessita’ del momento. L’altra cosa che so per certo e’ che le ninne nanne sono tutte (quelle che conosco perlomeno) scritte perche’ sia una mamma a cantarle e, siccome sono generalmente io quello che mette a letto i bambini, ho dovuto riscriverle al maschile.
    5) @Marco, con un po’ di ironia. Sono seriamente convinto che i bisogni in tranquilla privacy sono diseducativi: per fare la cacca mi devo nascondere? Nostro figlio a lasciato il pannolino mediamente presto e soprattutto da un giorno all’altro quasi senza macchia(!) e senza paura a mio parere perche’ sapeva come doveva fare: ci aveva visto sin dalla nascita!
    6) i miei genitori mi permettevano di portarmi le fidanzate a casa e di chiudermi in stanza con loro (giorno o notte che fosse). Quando e’ arrivato il momento per mia sorella (piu’ piccola di 3 anni), e’ successo che non si e’ mai sentita di portarsi i ragazzi a casa ma si e’ “meritata” un bel “puttana’ da parte di mio padre a causa della sua promisquita’. Mio padre ed io abbiamo avuto una bella litigata in seguito.
    7) come reagiro’ se uno dei miei figli sara’ (o gia e’) gay o lesbica? io so con certezza come reagiro’, non ho dubbi a riguardo: reagiro’ allo stesso modo di come reagireri se fossero eterosessuali e gli faro’ chiaro che per me non e’ importante che cosa facciano o con chi lo facciano ma che lo facciano perche’ lo desiderano e non perche’ si sentono pressionati a farlo. Spero solo di essere abbastanza “bravo” da capire come sono e di che cosa hanno bisogno (da parte mia e di mia moglie) e non cosi’ cieco come quella volta a Bournemouth da non percepire un’ansia.
    8) @Claudia. Io non ho letto l’articolo sul rapporto marito/moglie dopo l’arrivo di un bimbo. Mi sembra pero’ logico pensare, soprattutto nel caso di una coppia gay, che manca l’elemento fondamentale e a volte spiazzante (per entrambi) che e’ il forte cambio ormonale che (nel bene e/o nel male) colpisce la donna dopo il parto.
    Ultimo) le mie aspettative rispetto ai figli. Le ho, eccome se le ho. Cerco solo di non trasformarle in motivo di pressione su di loro. Mi sembra normale augurarsi che possano sfruttare al meglio le loro doti e capacita’ e riuscire a compiere con le loro mete. In particolare pero’, mi fa paura quando scorgo certe somiglianze con me.
    L’ho fatta un po’ lunga, lo so ma, altrimenti, come faccio a crescere? 🙂

    Stefano

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  2. @ Marco

    Mi riconosco nel ritratto di chi non va mai in bagno senza audience ecc. 😉 Tu conosci “genitorisbroccano”, vero? 😀

    Vorrei ringraziarti per la bella condivisione!!!

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  3. @Claudia: sono completamente d’accordo con il tuo ultimo intervento.

    Ed é anche per questo che io non vedo problemi di sorta nella genitorialitá omosessuale e nel diritto anche della persona omosessuale di avere figli, propri o adottati. Eventualmente, in quest’ultimo caso la questione é che c’é bisogno di un donatore/donatrice e la necessitá di una regolamentazione etica di questo punto, ma é una questione che riguarda anche le coppie eterosessuali che non possono avere figli di loro.

    Per nostro figlio la caratteristica dell’essere maschile é avere il pisellino, quella femminile é avere la patatina (e la tetta da grandi), ma si ferma lí.

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  4. Bon, per non farla troppo autoreferenziale: io non penso che il bambino abbia bisogno di essere accudito da un “femminile” e da un “maschile”. Per il semplice fatto che non tutte le donne sono uguali, e non tutti gli uomini sono uguali, quindi non capisco chi dovrebbe potersi fregiare del titolo di “maschile” e “femminile” perfetto. Nella sua vita, il bambino che non sta 24 ore al giorno 7 giorni su 7 chiuso in casa con i genitori si troverà davanti centinaia di tipologie di maschio e femmina, e (penso) spontaneamente attribuirà le differenze al carattere delle persone, giustamente… finché qualcuno non arriverà a dirgli, questa è una cosa da maschio, questa è da femmina. Questo del comportamento maschile-femminile è uno schema che noi adulti imponiamo dall’alto.

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  5. Questo è un argomento che invece non abbiamo toccato. O forse una volta, ma era piccola, mi ha chiesto cosa vuol dire e le ho detto che è quando una femmina si innamora di un’altra femmina o un maschio di un altro maschio invece di innamorarsi tra maschi e femmine. Finito. Aveva penso 4 anni e la cosa non le poteva sembrare più naturale (era innamorata della sua migliore amica… 🙂 ).

    Bellissimo articolo. Soprattutto la parte finale, perché poi dire che per noi non è un problema è facile, ma quando è tuo figlio che ti fa rivelazioni così forti, ancora, per la società in cui siamo, non è facile fare la cosa giusta, ma soprattutto dire la cosa giusta.

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  6. E’ interessante notare che quasi tutte le mamme che frequentano questo sito hanno la sensazione che i ruoli genitoriali siano abbastanza intercambiabili nelle proprie famiglie. Io penso però che questa sia un pò una nostra sensazione, mi piacerebbe conoscere l’opinione di qualche papà al riguardo…
    La chiederei al Prof ma abbiamo TopaGigia a casa con la febbre e in questo momento stanno leggendo gli Aristogatti 🙂

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  7. @Marco, il periodo del “sentirsi esclusi” forse è più limitato a quando il bimbo è neonato. Se penso per esempio a una coppia di lesbiche, di cui una ha fisicamente messo al mondo il bambino e quindi magari lo allatta ecc., ecco penso in questo caso – e in questo periodo – è facile che l’altro partner si senta un po’ tagliato fuori dalla relazione col bambino, esattamente come capita ai papà in una coppia eterosessuale.

    @Morgaine e Serena, la penso anch’io così, che i ruoli sono fluidi e soprattutto non restano sempre gli stessi nel tempo. Nel nostro caso, per dire, nel primo anno di vita di mia figlia ero sicuramente io che ci passavo più tempo, adesso a tre anni e mezzo passa più tempo col papà che con me. Certo con papà fa giochi un po’ più fisici, io a lanciarla e riprenderla non ce la faccio (fisicamente!), e passare un pomeriggio nei campi a correre avanti e indietro e cercare scarabei scusate ma mi annoia terribilmente, andateci voi e divertitevi! 😀 ma le differenze tra il ruolo genitoriale mio e quello di mio marito sono più legate al carattere, non sono differenze di genere.

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  8. @ Morgaine

    In realtà non è nemmeno tutto così semplice, nel senso che per esempio, le rare volte in cui capita che ci siano bambini coetanei o più grandi che fanno gesti di “bullismo” o “mobbing” verso nostra figlia, io sono quella che cerca di intervenire il meno possibile (fatte salve le situazioni in cui è a rischio la sicurezza, ovviamente) perché considero fondamentale che mia figlia impari a difendersi da sola, mentre mio marito ha l’impulso di scattare per aria e dirgliene quattro… Quindi in questi casi lo vedo “iperprotettivo”. Qual è la mamma? Qual è il papà? Non saprei.

    Mio marito ha sempre cambiato e fatto il bagno alla bambina, è esemplare da questo punto di vista, ma ovviamente lo fa a modo suo: se lei gli tira pedate durante il cambio, io m’incazzo e lui ride 😀

    Verso mio marito posso essere quella che lo spinge a fare i conti con il mondo ma ho soprattutto dovuto fare lo sforzo di lasciarlo libero di essere egoista (ma sarebbe un discorso troppo lungo per farlo qui), e in questo senso sono stata attenta a “lasciar respirare” la persona. Mentre lui è quello che mi sprona a non avere paura.

    Diciamo che cercando di inquadrare a grandi linee i ruoli tradizionali, li trovo comodi e utili, ma ovviamente perché nel mio caso fanno sentire entarmbi utili e necessari l’uno all’altro e a nostra figlia

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  9. @Close: avevo intuito che fosse cosí, piú o meno.

    Ad esempio nella mia famiglia le funzioni che elenchi sono intercambiabili. In certi momenti vedo il mio partner come iperprotettivo rispetto a me, altre volte vedo me stessa come piú coccolona. In generale mi sembra di essere piú io quella che spinge nostro figlio ‘a fare i conti con il mondo esterno’.
    Anche mio figlio certe volte per farsi consolare vuole solo il papá, altre me.

    da noi funziona bene cosí, senza crisi di identitá. In un certo senso ci va meglio rispetto un una codificazione di ruoli piú tradizionale, perché ci dá la sensazione di poter staccare piú facilmente e con meno sensi di colpa quando siamo stanchi o vogliamo dedicarci ad altre cose che non la famiglia.
    Poi ovviamente questa é una soluzione che va bene a noi, per quella che é la nostra personalitá.
    Ero comunque curiosa di sapere cosa implicava una visione piú tradizionale, é una domanda che mi gira in testa da un pezzo.

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  10. Io vedo la mamma come la figura primaria di accudimento del bambino, quella che offre soprattutto la protezione e il conforto nei momenti di crisi – ma anche la libertà, l’autonomia, lo spazio vitale perché il bambino… respiri! Invece per me il papà è la figura che protegge sia la mamma che il bambino dal mondo esterno e contemporaneamente li sprona entrambi a fare i conti con il mondo esterno, per non soccombere ma anzi per avere iniziativa.
    Sono stata abbastanza stereotipica/stereotipante ? 😀 Comunque questo è il modo in cui vivo le mie relazioni in famiglia e mi sembra che differenziare i ruoli in senso positivo, cioè non escludente per il padre, sia fondamentale perché anche i papà siano felici come genitori.

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  11. Uhmmm… in che cosa consiste esattamente il ruolo di ‘mamma’?
    E quello di ‘papá’?
    Da quello che ho capito, viene dato il ruolo di ‘mamma’ al genitore che sta piú tempo col bambino.

    È possibile allora che nella nostra famiglia i ruoli siano molto sfumati (mi ritrovo nella descrizione di Barbara) e non ben definiti proprio perché congedo parentale e permessi vari di malattia sono stati e sono ancora divisi in modo pressoché equo, e quindi non ci sia un genitore che sta in prevalenza col figlio?

    Pensavo anche a Marco che definisce se stesso come piú ‘mamma’ perché ‘più ansioso, scassapalle, paranoico…’: in 2/3 questa descrizione riconosco il mio moroso (ansioso e paranoico), e solo per 1/3 me stessa (scassapalle, ma ansiosa proprio zero!).

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  12. Claudia, starai scherzando??? Io sono la frustrazione in persona! Mio marito non credo si senta escluso dal momento che G lo adora e spende ogni secondo con lui quando è a casa. Non penso possa dire che nostro figlio `e più attaccato a me che a lui. Ovvio, ci son cose che G vuol fare solo con me (tipo addormentarsi per esempio…), ma daddy rimane il compagno di giochi preferito di G.
    Io, da casalingo, devo fare i conti con la solitudine, la noia, la frustrazione di non poter neanche andare in bagno senza un’audience, la mancanza di stimoli e di conversazioni adulte….. Insomma, mi capite no?
    E poi io sono più ansioso, scassapalle, paranoico… Suppongo che sì, la ‘mamma’ sono io… E le dinamiche di coppia/famiglia, sono le stesse.

    Marco

    P.S.
    rispondo velocemente perché è l’ora del bagnetto, poi cena e nanna (speriamo…).

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  13. @Close da qualche parte tempo fa ho letto un articolo che conferma la tua sensazione. Era uno studio sui problemi che sorgono nella relazione marito/moglie dopo l’arrivo di un bimbo, e si chiedeva se anche nelle coppie omosessuali si creassero le stesse dinamiche. Ebbene sì, il partner che passava più tempo a casa con il pupo era frustrato perché… – non sto a elencare, tutte ragioni da mamme 😉 – mentre il partner che continuava a lavorare come prima si lamentava di sentirsi escluso dalla relazione “mamma”-bambino ecc. In generale il genitore che passava più tempo col bambino tendeva ad assumere il ruolo femminile e l’altro il ruolo maschile.

    Però mi interessa sentire Marco, se non sbaglio è lui che accudisce il figlio nel quotidiano?

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  14. Marco, come quasi mamma del terzo figlio maschio, la tua storia mi ha commosso. Farò tesoro dei tuoi consigli il giorno che uno di loro farà outing sulla propria omosessualità, se dovesse succedere. Nella speranza che negli anni che mancano il nostro paese si evolva un po’ culturalmente….

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  15. @ Morgaine la Fée

    Hai toccato un bel tasto, in effetti devo dire che anche io ho questa resistenza di fondo di fondo sulla genitorialità omosessuale.
    Spero di non offendere o irritare Marco e forse vado OT, ma vorrei parlarne perché mi considero piuttosto aperta sulla questione del riconoscimento dei legami omosex e sono coinvolta indirettamente, avendo familiari e cari amici omosessuali – ma dico se “pure io ho queste perplessità”… ce n’è ancora di strada da fare per abbattere l’omofobia.

    Premetto che la differenza maschio/femmina ovvero padre/madre io la trovo utile, nel senso che la uso proprio coscientemente nel rapporto fra mio marito e mia figlia, perché dato che il ruolo del pater familias è sbiadito, in diverse occasioni mi è sembrato che mio marito non riuscisse a trovare un suo “ruolo” come genitore e mi è sembrato saggio offrirglielo: se mi capita di essere la madre ansiosa dal cuore di budino che sta male se la bimba piange, per fortuna che c’è lui che ci dà un taglio sennò si vizia; se io sto bene vedendo la bimba tranquilla, per fortuna che c’è lui che la fa correre ecc. (non ringrazierò mai abbastanza Silvia & Serena di aver postato l’articolo sul ruolo del padre nell’allenamento emotivo dei figli).

    Conosco due coppie di amici gay (una delle quali sarebbe senz’altro sposata da tempo se in Italia lo si permettesse) e mi sembra proprio che in entrambe ci sia un “maschile” e un “femminile”. Quindi forse la cosa si risolve proprio così, non c’è un’identificazione basata sull’anatomia o sul modo di vestire, ma su un modo di sentirsi.

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