Oggi è un giorno difficile da spiegare

Oggi è un giorno difficile per scrivere.
Stamattina ci siamo scambiate un paio di mail con Serena e la sensazione di entrambe era che nessuno dei post pronti per la pubblicazione fosse adeguato.
Hai anche tu la sensazione che qualsiasi cosa pubblichiamo oggi è fuori luogo? Cioè si torna a vivere la vita normale, a parlare di pannolini?
Serena, è un pezzo che qui non si parla di pannolini e a volte mi dico che invece dovremmo ricominciare a farlo… Perchè i pannolini sono semplici: si usano, si sporcano, si gettano. E poi dopo ce n’è sempre uno pulito e fresco per ricominciare.
Oggi mi manca l’idea rassicurante di “parlare di pannolini”, come metafora del parlare di cose concrete, tangibili, certe.
Oggi, invece, mi mancano delle certezze.

Sabato mattina ho scritto questo post, che è stato condiviso un numero impressionante di volte su facebook e sul quale ho letto molti commenti. Mi era uscito così, di getto, senza pensare. Mi era uscito in un momento in cui mi sono girata verso Andrea e volevo spiegargli cosa era accaduto, ma le parole non mi sono uscite e ho rinunciato.
Quel post era sbagliato. Mi sono resa conto dopo che erano parole senza speranza. E se smetti di condire di speranza anche le parole, cos’altro rimane? Cosa racconti ai figli? Io la responsabilità di dire che non c’è futuro, non me la prendo.

Paradossalmente il terremoto è più semplice da spiegare: in terza elementare sanno tutto di terremoti, di come e perché. Eh, sì… però… sembra più facile.
Come lo spieghi che in Italia ci sarà sempre un terremoto senza giustizia? Ci sarà sempre un terremoto dopo il quale, chi è stato colpito, si sentirà anche tradito?
Non è così semplice: non è questione di faglie, di scosse e di sciami. Un terremoto è questione di case che tramano, di notti in bianco, di vestiti addosso e borse sull’uscio. E’ tutta un’altra cosa rispetto alle figure sui libri.

E a questo punto ti poni un dubbio. Che, lo riconosco, è un dubbio di lusso. Un dubbio che si può permettere chi non ha una figlia saltata in aria su una bombola del gas innescata da “un uomo solo arrabbiato con il mondo” (la premessa per dire poi che anche stavolta dovremo accontentarci di restare senza colpevoli), un dubbio che si può permettere chi non ha messo a letto i bambini vestiti, pregando tutta la notte un Dio qualsiasi di poterli svegliare solo a mattina.
Il dubbio è: come glielo spiego ai miei figli?
Perchè lo so che quelle parole che mi si sono smorzate in gola sabato mattina, prima o poi dovranno uscire.

Spiegare… ma cosa? Qualcosa che non capisco neanche io? Forse non è onesto, allora, spiegare.
Qualcosa però posso spiegarlo: c’è un sentimento prezioso che manca da troppo tempo in questo Paese. Il senso civico.
Il senso civico è quella convinzione profonda che il Paese in cui vivi è tuo e ti riguarda. Quando cammini per strada, da casa a scuola, quella strada è tua. E se qualcuno la insanguinerà o, una volta squarciata, non farà niente per ricostruirla, sta facendo del male a te, proprio a te. E se non sarà la strada che separa la tua casa dalla tua scuola, ma un’altra strada, che percorrono altri bambini, da qualche altra parte, be’, anche in quel caso stanno facendo male anche a te.
Però se quella strada è tua, lo è anche la responsabilità di mantenerla sana e di percorrerla tutte le mattine.
Informati, impara, studia, leggi, ascolta. Rispetta e pretendi rispetto. Accetta le differenze, praticale e coltivale. Poi paga le tasse, pretendi che servano a far funzionare lo Stato e la sua democrazia, se così non è usa la tua arma: il voto. Credi sempre che puoi fare la differenza, non disinteressarti, non chiuderti in casa.

Da oggi cercherò di spiegarti perchè trent’anni fa cadevano gli aerei in mare e saltavano in aria le stazioni, ma nessuno è mai stato responsabile; perchè vent’anni fa una bomba squarciava l’autostrada e portava via un uomo che fino a quel momento la gran parte degli italiani aveva ignorato. E perchè sabato quell’altra bomba ha ferito i cuori delle persone civili che abitano questo Paese, riavvolgendo il nastro di venti o trent’anni.
Da oggi cercherò di spiegarti perchè l’Aquila non è rinata, perché i terremoti in Italia segnano prima drammi e poi scandali.
E cercherò di spiegarti che, comunque, puoi fare qualcosa, conducendo la tua vita con senso civico.
Vi consegniamo un Paese che non ci piace e che non abbiamo avuto la forza di cambiare. Almeno cerchiamo ora di prepararvi a essere diversi, più sani, più determinati.

Questo commento della mia amica Claudia su fb, che ho ripercorso nelle mie parole, mi ha dato una scossa: “Trent’anni fa ero una bambina, aerei cadevano in mare senza un perche’, bombe rabbiose esplodevano nelle stazioni affollate di pendolari, d’estate. Vent’anni fa ero ragazza, stavolta le bombe frantumavano case e chiese, cancellando in un istante, asfalto, alberi e persone oneste. Oggi che sono una donna e guardo triste, da lontano, il mio Paese, vedo che nulla è cambiato: si mettono bombe davanti alle scuole per ammazzare i sogni dei giovani, i musei restano chiusi, la TV, impertinente e sguaiata, no.

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18 thoughts on “Oggi è un giorno difficile da spiegare”

  1. @closethedoor: non vorrei essere fraintesa, da soli tutto risulta limitato e un intervento macroscopico è fondamentale. Ma dare sempre e comunque la colpa agli altri (in questo caso allo Stato) è sbagliato e non costruisce niente. Gli aquilani hanno faticato e continuano a spostar mattoni, come lo stanno facendo i modenesi e come lo faranno i brindisini.

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  2. Grazie Silvia, ho letto il tuo post. Grazie per la sensibilità che avete dimostrato.E mi dispiace non riuscire a esprimere, in parole, il sentimento di chi, a Brindisi, si è svegliato all’improvviso con quel boato.E’come se ci avessero strappato il cuore.

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  3. @ Lucia

    anche io ero un po’ prevenuta sugli aquilani che non ricostruiscono senza un segnale dall’alto, pur avendo avuto notizia delle carriole di aquilani che andavano a ripulire le strade, sequestrate dalla polizia, e pur conoscendo il blog dell’aquilana “Miss Kappa” che riporta questo dialogo surreale

    -Come va all’Aquila?
    -Non ci possiamo lamentare
    -Quindi tutto bene?
    -No, ho detto che non ci possiamo lamentare

    Ecco, dopo aver guardato Draquila della Guzzanti, le mie perplessità si sono trasformate in un grande “?!” sopra la mia testa.

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  4. Silvia, te l’ho già scritto in privato e lo ripeto qui: il post di Sabato scorso l’hai scritto di pancia, pentendotene un istante dopo. “Era buio, non regalava speranza” mi hai detto tu. Ti ha scossa il fatto che fosse stato condiviso da tantissima gente, non solo sui social network, ma moralmente.
    Io ribadisco che la notizia di una ragazzina di 16 anni che salta in aria non può regalare luce, né speranza. Una notizia così fa tremare di rabbia chiunque, un genitore trema il doppio. Non è stato un post sbagliato, ma umano.
    Anch’io avrei voluto scrivere qualcosa, però mi sono astenuta. Questo perché mi ritengo incapace di esprimere in modo equilibrato la mia rabbia, la mia paura, il mio scoramento. Ho provato a farlo, ma qualsiasi cosa scrivessi mi sembrava retorica, o sbagliata.
    Tu hai avuto il coraggio di buttare fuori i tuoi sentimenti e l’hai fatto bene. I sentimenti non sono mai sbagliati, Silviè. Ho visto altre persone liquidare “la faccenda” con quattro parole messe in croce così, tanto perchè qualcosa dovevano pur scrivere. Persone che si arrogano il diritto di fare informazione. Se non si ha la sensibilità per scrivere qualcosa di sensato, meglio tacere… Tu non hai ostentano falso dolore, o pietismo, tanto per alzare due lettori in più. Tu sei tante cose, Silvia cara, e sei anche una madre. Una madre, in certe occasioni, trema di rabbia e di dolore. Il doppio di chi i figli non li ha.

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  5. La cosa che più mi rattrista è che la maggioranza ha deciso che lo Stato è qualcosa che di lontano, da combattere. Lo Stato siamo noi, quando chiediamo lo scontrino, quando non parcheggiamo dai disabili, quando convinciamo nostro figlio che fuggire non è la soluzione. E se bisogna spostare i mattoni caduti dal campanile, io lo faccio: non aspetto che arrivi un ministro per consigliarmelo.
    Oggi ho scritto che non è sbagliato ammettere di aver paura, purchè la paura sia il motore per cambiare.

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  6. @supermambanana, sono d’accordo con te quando dici che “ci saranno sempre squilibrati con manie omicide”.
    Però in Italia quando accadono queste cose si insinua sempre il dubbio che non si tratti “solo” di uno squilibrato, che ci sia qualcosa dietro, che non sia un evento isolato che possa rientrare nel normale corso della vita, per quanto tragico.
    Con questo dubbio non riesco a pensare che il mondo sia cambiato negli ultimi trent’anni, perché in un attimo mi ritrovo catapultata indietro nel tempo agli stessi momenti e mi sembra di annaspare.
    E per quanto cerchi di non farmi coinvolgere dalle dietrologie e dalle teorie dei complotti, mi viene da pensare che la storia si ripete di nuovo senza che ne impariamo nulla.
    E se il terremoto alla fine riesco a spiegarmelo e magari potrò spiegarlo a mia figlia quando sarà più grande, questo attentato mi fa più paura. Ma mi sforzerò di trovare almeno le domande giuste con lei.

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  7. Io vedo che si evoca tanto lo Stato, lo Stato…..e le istituzioni sono tutte belle in fila solo quando ci sono le telecamere e i flash: ma quale Stato? Che non protegge i figli, che non tutela la salute e che adesso non finanzerà le vittime del terremoto…e adesso i miei genitori sono stati ufficialmente evacuati da casa, adesso che Mirandola è sulla bocca di tutti e tutti sanno dov’è, con le chiese cadute e le case lesionate…”lo Stato” dopo aver (giustamente) fatto sentire la sua voce per il terribile omicidio di Melissa, lascia altri cittadini abbandonati.

    Questo Stato che non mi pento di aver lasciato anni fa non si merita proprio di essere chiamato Patria.

    Certo che le cose sono cambiate: in peggio.

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  8. Come ho già scritto, sono d’accordissimo con Francesca qui sopra, il post di sabato era lungi dall’essere sbagliato, per il momento a caldo in cui è stato scritto, perché secondo me tutti ci siamo sentiti così. Oggi è lunedì e si riparte, anche con rabbia se vuoi Silvia.

    Per esempio mi domando: cos’è il senso civico? Perché io per esempio mi aspetterei che la direzione del posto in cui lavoro mandasse qualche circolare riguardo le procedure di emergenza previste per noi. E invece il silenzio è totale, come dire, “Tanto non si può prevedere, speriamo che non arrivi”. E perché io mi sento perfino eccessiva mandando una mail in cui chiedo notizie? Perché da noi non c’è la cultura della prevenzione e della sicurezza. Sulla ricostruzione si aprirebbe invece un capitolo penoso, perché dopo avere visto “Draquila” le domande sorgono a fiotti…

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  9. non so se mi piacciono questi commenti sul ‘non e’ cambiato niente’. Non credo che sia vero, che non e’ cambiato niente. Se non altro perche’ tutto il mondo e’ diverso ora da come era 30 o 40 anni fa, e di questo non possiamo non renderci conto e non esserne contenti. Questi due eventi, per quanto tragici, sono due eventi che rientrano nel normale corso della vita. Ci saranno sempre calamita’ naturali, ci saranno sempre squilibrati con manie omicide. Mi ha disgustata molto, quello si, il chiacchiericcio di questi ultimi giorni, il proliferare di parole inutili, soprattutto in rete. Ma i due eventi in se’ rimangono nella loro tragica “purezza” (non so se riesco a spiegarlo, e’ una cosa che ho bene in mente ma difficile da esprimere) che non credo sia difficile spiegare ai bambini, ne’ dovrebbe influenzarci nelle nostre paure quotidiane, o peggio influenzare loro. La scuola dei miei figli si prepara in questi giorni ad accogliere fra un paio di settimane un gruppo di bambini della Bielorussia che passera’ un mese con loro a scuola, cosa che accade ogni anno ma in scuole diverse nella nostra regione (e in molte altre in UK e in continente). Boy two, dall’alto dei suoi sei anni, ci spiegava ieri a tavola dell’esplosione, delle polveri velenose, del cibo che ancora oggi “marcisce” (dice lui), dei bambini che stanno male. Non erano ben consci del tempo, per loro 25 anni fa e’ una vita e al contempo solo ieri. Ma sapevano che anche soltanto respirando aria non contaminata per 4 settimane a questi bambini viene regalato qualche mese di vita in piu’, un pochetto in piu’ ogni anno che vengono fra noi. La gravita’ della spiegazione era frammista alla voglia di conoscere questi bimbi, a cosa possiamo fare per giocare con loro, e impariamo un po’ di parole in russo. E alle domande su cosa e’ un terremoto, cosa e’ uno tsunami, e puo’ succedere in England mommy? Che c’entra questo direte voi, non so mi e’ venuto in mente perche’ non c’era paura nelle loro domande, c’era forse “occupazione” ma non “pre-occupazione”, non “paura”, come si fa ad avere paura quando il domani e’ un concetto astratto? Beata innocenza? Forse. Ma credo che concentrarsi sul presente, e sul silenzio, sia comunque cosa buona e giusta anche per noi, una volta di piu’.

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  10. Continuo a pensare che il post di sabato non fosse sbagliato.
    Quello che hai scritto di pancia è servito a molti, per realizzare che toccato il fondo si può solo che risalire.
    Si tratta “solo” di capire in che modo possiamo farlo “insieme” ai nostri figli per concedergli una possibilità che forse sarà quella “determinante” per il loro futuro.

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  11. Condivido in pieno lo scoramento del tuo post di sabato, ammetto che l’ho letto e ho pianto.
    Ho pianto perché vent’anni fa avevo la stessa età di quelle ragazze (vabbè, 2 anni in più, lo ammetto) e avevo scioperato per quegli attentati, avevamo occupato la scuola, avevamo parlato, discusso, cercato di capire e di dire basta. E per un momento avevamo creduto che qualcosa stesse cambiando.
    Poi purtroppo non è cambiato nulla, anzi, siamo scivolati più in basso. Ed è questo che mi mette più tristezza.
    Poi è arrivata la mia piccola che mi ha detto “mamma, sorridi!”. E oggi sotto casa mia c’era un corteo di studenti che manifestava contro l’attentato, incurante della pioggia.
    E allora magari una speranza c’è ancora

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  12. Ma la storia del nostro Paese la possiamo raccontare. Perchè siamo tutti rimasti gelati di fronte alla bomba che esplode davanti a una scuola? Perchè venti o trent’anni fa è accaduto altro. Perchè i terremoti ci lasciano sgomenti anche oltre i danni e le vittime? Perchè le città non le abbiamo ricostruite.
    Ovviamente mi riferisco a bambini in gradi di comprendere, per età, questi discorsi. Io non voglio spiegargli che la vita è piena di farabutti, perchè non è affatto necessario: vorrei fargli capire che quei farabutti lo riguardano. Sono un suo problema. Lui potrà sempre fare qualcosa. Prima di tutto imparare a risolvere il conflitto con il compagno per la penna blu e non ammirare mai nessun farabutto.

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  13. Io voglio aspettare a farmi domande e darmi risposte. Voglio aspettare che si sappia cosa è successo, prima di cercare i perchè. Questo è il momento della confusione, dello shock e dell’irrazionalità per me. Per mia fortuna non devo ancora spiegare a mia figlia, che ha tre anni e non chiede. Posso permettermi questo lusso, di poter capire prima di dover spiegare a chi si aspetta qualcosa da me.
    Lo stesso senso civico di cui parli, Silvia, coinvolge chi ci deve dare gli elementi per capire e motivare. Almeno questo dobbiamo poterlo pretendere, perchè i nostri figli nell’innocenza della loro infanzia, ancora non vaccinati come noi dall’abitudine di non ricevere risposte, le vogliono queste risposte. E ne hanno diritto, specialmente stavolta che la questione li riguarda direttamente.

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  14. A volte con il silenzio si comprende di più.
    I bambini hanno una visione della realtà molto differente dalla nostra e anche con mille parole non potranno mai comprenderne il corretto significato. Loro sono ancora piccoli, lasciamoli vivere senza tentare di spiegargli che la vita è difficile e piena di disonesti e farabutti. Per i bambini la vita è già difficile quando litigano con il compagno per la penna blu
    Piuttosto facciamo loro conoscere tutte le cose belle che ci sono nel mondo, l’amore, la cultura, i colori e i profumi della vita!

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  15. Anche io ho condiviso il tuo post, perché sabato ha messo nero su bianco quello che tutti sentivamo: lo shock, lo scoraggiamento, la paura.
    Dopo si riparte, è giusto, anzi, è obbligatorio, non è possibile non farlo: lo dobbiamo proprio ai piccoli, a quelli nostri-nostri che abbiamo in casa e a tutti gli altri, che come dici tu, sono anche un po’ nostri. Perché sono nostre le scuole, le strade, l’ambiente, ma soprattutto sono nostri i bambini e i ragazzi.

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