No kids, please!


Oggi, su blog e social network, sono in molti a rimbalzare questa notizia.
In alcuni alberghi, locali, bar, voli aerei, non sarebbero graditi i bambini. Anzi, sarebbero proprio banditi.

Stamattina ne parlavamo con Serena ed entrambe condividevamo opinioni ambivalenti sulla questione.
Sicuramente l’idea che i bambini siano “vietati” in certi posti, (che immaginiamo con l’adesivo sulla porta “io qui non posso entrare” e il disegnino stilizzato del bimbo), è decisamente un po’ sgradevole. Ma che esistano luoghi del tutto inadatti ai bambini è pur vero.
Ovviamente dovrebbero essere i genitori a valutare adeguatamente e a non portare i loro figli in luoghi improbabili. Ma se il genitore non valuta? Se sbaglia clamorosamente la valutazione?

Allora qui c’è da intendersi sul divieto, prima di urlare al trionfo della generazione no-kids.
Vietare l’ingresso ad una famiglia con bambini è un comportamento sgradevole e, a mio parere, di per sè molto poco costruttivo. Secondo me dispone negativamente la clientela in genere: a me non piacerebbe sapere che un certo posto è vietato a qualcuno, non mi sento ben disposta a frequentare un posto che pone dei divieti.

Orientare è un’altra cosa. Esporre pubblicamente una comunicazione (che sia una pubblicità, un volantino, un cartello, un’indicazione alla prenotazione), che avverte che quello non è un luogo adatto ai bambini e che potrebbero soffrire della loro presenza lì, sia i bambini stessi che tutti gli altri avventori, lo ritengo un servizio in più. In fondo mi aiuta a scegliere.
Che un villaggio turistico indichi chiaramente che non è adatto ai minorenni (perchè il mojito scorre a fiumi anche alle 10 di mattina), mi aiuta a non prendere cantonate per le vacanze. Che il volo aereo destinato a traghettare turisti esclusivamente in quel villaggio sia precluso ai minori, più una logica conseguenza che un divieto.
Se un locale elegante vuole offrire un ambiente molto soft e molto silenzioso ai suoi clienti è bene che lo chiarisca nella sua comunicazione commerciale, così eviterò di trovarmi in imbarazzo portandoci il pargolo reduce da una corsa al parco. E se poi il pargolo è così educato da fare il baciamano alle signore e mangiare le ostriche con l’apposito coltellino? Beh, la statistica non è a suo favore, ammettiamolo! Intanto il gestore mi ha avvisato, per questo mi sembra corretto che non sia un divieto, ma un’indicazione.

Quello che non mi piace affatto sono i comportamenti subdoli e nascosti: nell’articolo del Corriere si parla di ristoranti che negano tavoli, dicendo che non c’è posto, a chi ha figli, ma un minuto dopo prenotano se si omette di dire che i commensali sono under 10 (è capitato anche a me, con una cena di fine anno); bar presuntamente chic che negano l’ingresso per l’aperitivo a chi si presenta con i bambini senza aver preventivamente dato alcuna indicazione in tal senso; proprietari che si rifiuta di affittare un appartamento, ma solo quando scoprono che la prole è numerosa, accampando motivazioni surreali.
Siate chiari. Gestori di locali, proprietari di immobili, non è che non vi capiamo: sappiamo che molti genitori non si curano dei comportamenti molesti dei loro figli, sappiamo che i bambini sono faticosi e spesso rumorosi ed anche distruttivi a volte. Sappiamo che, per chi non ha figli, può riuscire difficile entrare in sintonia con i bambini e che certi posti sono proprio inadatti alle nostre creature. Ma siate educati: un’indicazione è più efficace di un divieto!

Se mi dite “non è il caso”, sono prontissima ad accettare il suggerimento, se mi dite che è “vietato” mi stranisco un po’ e magari evito quel posto anche quando sono senza figli, ma se mi prendete per scema… beh, proprio non ci sto!

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28 thoughts on “No kids, please!”

  1. no comment….sono italiana ma vivo all’estero…precisamente a new york,,,meno male che le cavolate erano li e non in italia

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  2. Closethedoor, come dicevo io: sta notizia mi sembra un po’ “fuffa”, inconsistente. Il post l’ho scritto proprio perchè rimbalzava su fb come il caso del giorno, un po’ per vedere l’effetto che fa.

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  3. allora silvia, prendo te come interlocutore ma e’ una cosa generale da sassolino che mi devo levare. Spesso quando capita di parlare con/di expat si arriva al cortocircuito che si pero’ anche a me capita che nel paese X succeda Y, mentre in italia no, e ho conosciuto inglesi (tedeschi, svizzeri, svedesi metti tu) che facevano cosi e cosa’. Tutti abbiamo le nostre esperienze, la mia ad esempio, qui da 15 anni a gennaio, e’ che nel quartiere dove vivo, tipicamente un quartiere da famiglie, i bimbi sono molto coccolati, ascoltati, fermati per strada e commentati come dici tu di napoli etc. Ma non e’ questo il punto, e’ la mia esperienza. Stessa cosa quando si parla ad esempio del discorso di genere, e ma certo che ho conosciuto inglesi (eccetera) maschilisti o chenneso. Quando dico che un paese e’ attento alle famiglie o qualsiasi altra cosa non posso considerare il comportamento dei singoli, per quanto tanti, ma devo vedere cosa la societa’ civile ha deciso e impostato per il paese in questione, o con convenzioni o con leggi. Un mio amico che fa l’apicoltore per hobby una volta mi parlava del fatto che un alveare e’ si’ composto da tanti individui, ma e’ anche un organismo unico, che pensa e si comporta come un organismo unico. La metafora della swarm intelligence tanto cara oggi a chi studia la rete ad esempio ha un fondamento. Quindi la family friendliness io la giudico dal fatto che si e’ stabilita fra leggi e convenzioni una piattaforma di base nell’approccio verso famiglie che e’ imprescindibile, e che non dipende dall’inclinazione o estro di pochi, non dipende dall’illuminazione di un prime minister, ma e’ stata creata dalla collettivita’ per la collettivita’. Entrare in un ristorante o in un museo e sapere che ci sono cose che i bimbi possono fare ti rende tranquilla, ora tu mi puoi dire che il cibo e’ junk ma questo non dipende dalla volonta’ di danneggiare i bimbi ma da un altro tipo di attitudine al cibo, non e’ che gli adulti mangino meglio per dire, che in italia anche esiste, pur non essendo codificata in un menu speciale: ogni volta che mi capita di andare al ristorante in italia la litania e’ sempre la stessa “e ai bimbi? Delle belle penne al filetto di pomodoro?” che uno dice no porca miseria i bimbi possono avere quello che abbiamo noi (e magari anche ti devi sentire il commento del “e ma questo e’ pesante per un bambino” e vabbe), cosa dovrei concludere da questa prassi? E per il posto speciale nelle cerimonie religiose, io ho visto e sentito con i miei occhi in italia sacerdoti redarguire ad alta voce e dal pulpito ‘i genitori di questo bambino chiaramente non sanno come ci si comporta in chiesa’, cosa dovrei concludere sulla attitudine qui? Insomma io non sostengo affatto che gli inglesi o chenneso siano MEGLIO soltanto che sono riusciti a creare un alveare migliore dell’insieme delle singole api, cosa che non e’ da poco.

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  4. Rispondo soprattutto @Rossana, ma in generale:

    Premesso che anche all’interno dell’UK le cose cambiano da regione a regione, direi che e’ opportuno chiarire le idee su cosa e’ davvero child friendly.

    Se da una parte e’ vero che trovi sempre i fasciatoi, ci sono spesso le nursing rooms, il seggiolone, il menu’ per i bambini e qualche gioco in giardino li trovi in tutti i family pubs, ci sono tante attivita’ e posti da visitare indirizzate specificamente ai bambini, il messaggio che qui i bambini non sono proprio graditi secondo me arriva in maniera piu’ sottile: il menu’ per ii bambini non e’ una selezione di porzioni ridotte di quello per gli adulti, ma in genere una collezione di junk food in formato allettante “perche’ tanto quello mangiano”; i posti il cui target sono le famiglie sono posti in genere che stordiscono i sensi in modo insopportabile, con luci colorate e lampeggianti di tutti i generi, musichette a tutto volume, video ed animazioni in ogni angolo, “perche’ e’ quello che gli piace”; se vai in chiesa (abbassate i fucili per favore, e’ un esempio) i bambini non stanno con te durante il servizio, li si manda a frequentare il concomitante children’s work “perche’ cosi’ non si annoiano”; se vai ad una riserva naturale, ti indirizzano verso i percorsi interattivi/attrezzati per i bambini “perche’ cosi’ possono imparare nel modo per loro piu’ divertente”, e cosi’ via.

    Dopo oltre 10 anni qui e 8 studiando il marito anglosassone, sto cominciando ad imparare a leggere tra le righe di questo popolo understated (per carita’, sempre cosi’ corretto!) e a vedere che c’e la possibilita’ molto concreta che quello che in realta’ vogliono dire e’:

    – menu’ speciale perche’ tanto i bambini non mangiano cose da adulti;

    – attrazioni speciali, perche’ se non li stordisci come davanti alla TV non li si regge;

    – posto a parte durante l’esercizio della fede perche’ altrimenti danno fastidio e tanto non capiscono;

    – percorsi interattivi a parte perche’ non possono imparare dalla natura stessa e non gli si puo’ insegnare ad osservare e tacere;

    e cosi’ via, nascondendo sotto la patina della fornitura di un servizio un pregiudizio enorme nei confronti dei piu’ piccoli/giovani che li relega a cittadini di classe B, se va bene, e che comunque ci si rifiuta di includere, insegnare, guidare, contenere, indirizzare…… accogliere, appunto, nella societa’ in cui, teoricamente, li stiamo preparando ad entrare.

    E’ ovvio che sto facendo una generalizzazione eccessiva per cercare di dare forma ad un qualcosa di molto elusivo (oh, goodness, no, we must be ever so polite!), ma ho davvero l’impressione che il pragmatismo corretto Inglese abbia creato una segregazione di fatto creando sia tutta una serie di locali/posti/attrazioni apposta per i bambini, che l’aspettativa che i bambini NON siano altrove.

    Ed e’ questa la situazione a cui alludevo affrettatamente nel mio primo commento, in cui se sei in un posto per i bambini, ai bambini e’ tutto permesso e tutto tollerato perche’ “sono bambini, che ti aspetti?”, ma se sei altrove ti fanno sentire fuori posto per averceli portati i bambini. Il che crea un problema di uovo e gallina: nei posti per famiglie abbondano quelle che hanno abdicato il loro ruolo di educatori (e qui sono tristemente frequenti, complice uno stato che per anni ha dichiarato apertamente che il crescere i figli e’ sopratutto responsabilita dello stato), i cui pargoli dunque si comportano da hooligans come sopracitati, ma piu’ ci sono bambini ineducati in vista nei posti per bambini, piu’ si radica il pregiudizio che i bambini sono dei animali allo stato brado da relegare nei posti appositi finche’ un giorno, non si sa come, diventeranno adulti e magicamente civili, meno I bambini saranno realmente accolti come persone che fanno anche loro parte della nostra societa’/comunita’. Un fasciatoio ed un seggiolone sono un prezzo molto piccolo da pagare per creare un ghetto di fatto….

    Come si ricollega tutto cio’ al post originario?

    Cosi’: un divieto esplicito di entrata in alcuni locali e’ orribile; appoggio appieno @melanele e @zauberei, vi ricordate lo sdegno quando in Svizzera si trovavano i cartelli “vietato l’ingresso ai cani ed agli italiani?” (dimostro la mia eta’ qui, lo so). E perche’ se il divieto e’ per gli italiani piu giovani non ci sdegnamo?

    Ho pero’ l’impressione, ed in qualche modo la varieta’ di commenti qui ed altrove lo conferma, che sia solo la punta di un iceberg-problema ben piu’ grande, quello di una societa’ dove il senso comune non e’ piu’ cosi’ comune, dove la civilta’ e la cortesia possono venire calpestate sotto l’egoismo ed il tornaconto personale, dove la responsabilita’ delle proprie azioni, inclusa quella di assicurarsi che i propri figli, pur nella piu’ sacrosanta affermazione del loro diritto di essere vitali, vivaci, esuberanti, in qualche caso amplificati ( 😉 ) siano mantenuti nei limiti di una civile convivenza, viene alle volte dimenticata perche’…. e’ faticoso, scomodo, spesso noioso.*

    E che in fondo la mia esperienza qui in UK mi dice che forse un divieto esplicito potrebbe anche essere uno dei modi piu’ ingenui di cercare di ottenere pace per il fronte no-kids, proprio perche’ come qui ed altrove, immediatamente crea antagonismo ed opposizione.

    *gli inglesi dicono: present company non included (esclusi i presenti). Mi sembra sempre un modo ipocrita di giustificare il pettegolezzo, ma in questa occasione mi mordo la lingua e lo uso; ricordiamoci che per quanto folta, la comunita’ di mamme su internet e’ una minorita’ selezionata per livello di istruzione, porfessionalita’, le scelte, almeno qualcuna, di fare il genitore in modo diverso dal mainstream….. 🙂

    @supermambanana: forse l’Italia non e’ piu’ un paese dove la famiglia e’ importante, ma e’ ancora un paese dove, malgrado la macanza di organizzazione (ma anche questo e’ uno dei nostri stereotipi tipici, no? 🙂 ) leggi fasciatoio, seggiolone, scaldapappa, etc., quando vengo la maggior parte delle persone da’ attenzione e si rivolge al mio 3-enne Newt come se fosse una persona normale, se un po’ piu’ giovane, e non come ad un alieno un po’ sporco…. 🙂

    P.S. al solito abbiate pazienza con l’ortografia, niente spell checker in italiano per me ancora, e con il tempo ridotto o scrivo i romanzi come questo commento o li edito/correggo. 🙂

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  5. Il gentile consorte tedescofono mi fa notare che nell’articolo del corriere c’è un’espressione tedesca “Neu für ältern ohne kinder” che in 5 parole contiene 3 errori di ortografia (non chiedetemi dove). Io mi insospettisco 😉

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  6. vero closethedoor. Infatti quando mi dicono che si l’italia e’ un paese dove la famiglia e’ importante (uno degli stereotipi belli che ci portiamo dietro, che ce ne sono eh?) io penso mah.

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  7. Premesso che l’articolo mi sembra scritto molto male e non vorrei che stessimo ad accapigliarci per un bluff, io oltre alla questione di principio posta da Melanele e Zauberei, guarderei anche al contesto in cui cade questo provvedimento.

    Viaggiando con mio marito se ci fermiamo in un autogrill in autostrada, 5 volte su 10 nei bagni non c’è un fasciatoio; nel bagno delle donne non c’è un seggiolino per il bimbo; al ristorante non c’è un seggiolone ; in autobus per salirci con il passeggino devi fare le acrobazie; in diversi supermercati, la carrozzina non passa alla cassa; sui marciapiedi affronti più o meno le stesse barriere architettoniche di un handicappato in sedia a rotelle. Cioè in pratica il bambino “non è contemplato”. Anzi, peggio: notizia di luglio 2009: cardiologa che allatta nella hall di un Family Hotel in zona Trento, gentilmente invitata ad accomodarsi in un’altra saletta o in camera sua perché scandalizzava gli altri clienti. Ripeto: *family* hotel italiano.

    Allora visto che da noi i divieti e le restrizioni vengono applicati al contrario, mi aspetto che questi locali no kids vengano presi d’assalto da famiglie con 8-9 figli sotto i 10 anni =)

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  8. Qui vicino c’è un posto dedicato ai bambini, che una volta era vietato agli under 8. Dato che era un luogo che frequentavamo abitualmente con gran divertimento prima che venisse messa la biglietteria all’ingresso, e avremmo frequentato volentieri anche pagando il biglietto, la prima volta che mi presentai con i figli al completo e mi dissero che non potevo entrare ci rimasi malissimo. Lo so che è off topic, ma un museo dei bambini vietato ai bambini davvero non si può sentire, e infatti non ci ho messo più piede 🙁

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  9. Anch’io ho subito pensato alla situazione in Uk, ma ne ho una percezione diversa da quella di SilviaN, (sarà perché ci vivo ancora da poco?).
    Ci sono alcuni pub che non ammettono proprio l’ingresso dei bambini, ma vabbè, finora mi è capitato una o due volte. Esci ed entri nel locale in fianco, niente di che.
    Ma negli altri locali, almeno dove sono stata io, generalmente i bimbi sono accolti, c’è seggiolone e il fasciatoio in bagno (ma quello c’è praticamente ovunque, pure nei bar), e spesso un menù speciale. e senza che per questo il clima sia invivibile.
    Ritengo che qui ci sia davvero una mentalità incredibilmente children-friend. In Italia??? Ce lo sogniamo….

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  10. accidenti quanti commenti, non riesco mica a leggerli tutti…

    però sono convinta che l’indicazione serva solo ai genitori attenti all’educazione. agli altri, a quelli che se ne fregano se disturbano, e che poi sono quelli che di solito hanno i figli più infastidenti (proprio perchè non danno peso all’educazione), un invito passerebbe inosservato.
    quindi chi non vuolei bambini fa anche bene a mettere il divieto.

    spero solo che d’altro canto nascano cartelli family-friendly, che in italia ce ne sono davvero pochi di posti in cui i bimbi sono veramente accettati, e non solo tollerati.

    purtroppo per colpa di qualche maleducato pagano tutti.

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  11. Sono d’accordo che l’indicazione è una cosa e il divieto un’altra. E che l’indicazione mi farebbe piacere (non sempre è facile capire dove stai andando) e il divieto mi sa di violenza, quasi.

    Ma non tutti sono nati per essere buoni genitori.

    E ho visto un bimbo in locali in cui le mie non le porterei mai (storia familiare assurda, ovviamente, e non c’è andato con i suoi genitori, che per altro stanno con lui solo se nessuno lo vuole). In quei locali dove dopo la cena si balla sui tavoli, e si fanno spettacoli di lotta (innocui, ma è un bambino!). E dove i grandi bevono. E per quel che ne so, dopo un bicchiere in più, anche lui assaggia, qui e là…

    Ecco, sono casi limite, ma ci sono (e che stretta al cuore vederli da vicino). E allora se non potessero entrare? Se alla porta dicessero agli amici dei genitori in questione “no, il bimbo non può entrare”?. Forse non sarebbe meglio per quel bimbo?

    Lo trovo bruttissimo vietare l’ingresso a un bambino, ma è vero che ci sono situazioni in cui se non è vietato entra, ed è ancora più brutto…

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