Mio figlio ha bisogno di me

sul-lagoMio figlio ha bisogno di me.

Non è un bisogno grande, un bisogno estremo, qualcosa legato alla salute o alla sopravvivenza.

Non intendo il generale bisogno di me come madre, come genitore, che lo accudisca e lo educhi. Sarebbe fin troppo ovvio in quel senso: certo che ha bisogno di me e della mia presenza, come di quella di suo padre.

Intendo un bisogno “puntuale”, attuale, minuto e circoscritto. Mio figlio ha bisogno di me, ora, adesso, magari per poco. Ed io? Io posso scegliere se esserci, oppure no?

Questo strano post è una riflessione di cui sentivo il bisogno da giorni. E’ scaturita dalla quotidianità di questo periodo: il Piccolo Jedi ha iniziato la prima media.
Anni di lavoro costante per renderlo indipendente, organizzato, adattabile, sicuro. Anni passati a pensare che il miglior modo di esserci era rendere la mia presenza sempre meno indispensabile, almeno da un punto di vista pratico. Allacciati le scarpe, rifai il letto, apparecchia, ricordati da solo che devi lavarti i denti, impara a organizzarti i compiti, studia da solo, gestisci le tue cose nello spogliatoio della palestra, sii ordinato, trova un metodo.
Sempre la convinzione ferma che il mio lavoro era renderlo capace di fare e non fare per lui.

E poi in pochi giorni ritrovarsi un bambino disorientato: un tuffo improvviso in una realtà per lui complicata. Confusione. Sua e mia.
Non riesco a prendere appunti, non seguo, non capisco neanche che compiti devo fare. Aiutami.

Aiutami.

Sai cosa fai se un figlio ha bisogno di te, anche un bisogno piccolo, visto dai tuoi occhi di adulto? Ci stai. Metti da parte la paura di stargli troppo addosso, metti da parte il senso di inadeguatezza perché, diamine, non sei riuscito a renderlo forte e indipendente. Metti da parte il lavoro, i tuoi impegni e ci stai.
E non è una scelta. Perché, se sei onesto con te stesso, una scelta non ce l’hai. Non puoi fare altro che esserci. E d’altra parte ringrazi Dio di poterci stare: perché decidere del tuo tempo è un privilegio.
Quindi, semplicemente, ci stai.

Rimetti la tua sedia accanto alla sua mentre fa i compiti, quella sedia che avevi tolto con tanto impegno, giorno dopo giorno durante la scuola elementare. Ti prendi il tempo per parlare con lui, per passarci anche un po’ di tempo libero, semplicemente per fargli sentire che ci sei.

E capisci che sarà così in tante altre occasioni: tutte quelle in cui “tornerà a casa” stanco, sconfitto e disorientato. Capisci che non c’è scelta: ci sarai, perché la scelta l’hai già fatta un giorno di tanti anni fa e quindi ora ci sarai perché è il posto che ti sei scelto.
Accetti che la sua dipendenza da te ha ancora una storia lunga davanti. Accetti di essere una persona molto importante per lui. Accetti di avere una responsabilità per sempre. Accetti lui, con le sue paure e te stesso, con le tue.

Sui quotidiani si legge che Mohamed El-Erian, manager di un grande gruppo finanziario statunitense, ha lasciato il suo posto di potere e successo perché la figlia gli aveva chiaramente mostrato di aver bisogno di lui. Anche in quel caso era un bisogno nelle piccole cose: esserci il primo giorno di scuola, esserci alla partita di calcio.
Questo post non è stato ispirato da questa notizia, ma, leggendola, l’ho trovata estremamente coerente. Nessuno di noi ha così tanto da perdere come lui, no? Quindi per tutti noi esserci è ancora più semplice. E soprattutto non è una questione di lavoro o di impegni: è una questione di testa.

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12 thoughts on “Mio figlio ha bisogno di me”

  1. No. Lui (il tizio che lascia il posto) è quello che ha meno da perdere. Non ha problemi a pagare le bollette, non ha problemi a trovare un nuovo lavoro, non ha problemi con la baby sitter, non ha problemi a portare la figlia/la famiglia in vacanza, a pagarle l’università o un’istruzione superiore in un paese dove la maggior parte delle persone può solo sognarla.
    Lui ha fatto le scelte che voleva quando voleva.
    Il 90% delle persone oggi non può. Perché affinché lui e quel pugno di persone come lui potessero in tutta tranquillità fare quel che volevano alloggiando in villa con piscina e altre cosucce indispensabili, milioni di persone sono state private non tanto della villa, ma soprattutto della libertà di scelta: di quanti figli avere o non avere (in paesi poverissimi dove la contraccezione è un lusso o ignota, o in paesi meno poveri dove non ci sono servizi pubblici e salari sufficienti, ad esempio), quando averli, che vita offrire loro e a sé stessi, che conoscenze, che sviluppo intellettuale, espressivo, di esperienze.
    No, il signore non ha poi molto da perdere. Siamo noi ad avere perso prima di avere avuto, per dare opportunità a quelli come lui di arrivare al livello di top manager e poi, per il nobile scopo di fare il padre, di potervi rinunciare senza paura di non poter pagare il dentista o il mutuo (e da quelle parti ne sanno qualcosa, dei costi delle cure mediche, per non parlare di chi perde la casa non riuscendo a finire di pagarla).

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  2. Bellissimo. Io però non la chiamerei dipendenza. Sei, siamo, un affetto, per ora forse il più grande che conoscono. Io non vorrei mai che le mie figlie si sentissero capaci di fare a meno del mio affetto, del mio aiuto se posso, della mia comprensione che è incondizionata anche se, credo, parziale, in qualche modo pregiudicante, nel senso che come genitori tendiamo a “etichettare” un po’ i figli e non vederli come si vedono loro stessi, probabilmente. Vorrei che si lavassero i denti senza che io lo dica 45 volte, però non vorrei che quando hanno un disagio si chiedano “posso chiedere appoggio a mia madre o è meglio che me la sbrigo da sola?”.

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  3. Io la sedia la lascerei lì. La sfida sarà rinnovata ogni volta, credo. Penso a persone che conoscono che ancora a 50 anni hanno bisogno della mamma. È legittimo e giusto, se la mamma c’è. Il bello sarà capire come gestire quella sedia, quanto ingombrante dovrà essere… a saperlo già, quanto più facile sarebbe. Bellissimo post

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  4. Un bellissimo post, una riflessione toccante, piena di equilibrio di emozioni …
    a me la lacrimuccia viene perché non sempre è una libera scelta esserci o meno…
    ci sono catene sociali – prendi lavori con orari assurdi- che scelgono per te

    non è una scelta libera dover rinunciare a lavorare per essere genitori oggi

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  5. Molto molto in piccolo sto provando le stesse emozioni e paure da quando mio figlio ha iniziato la primaria. Mi si gonfia il petto quando mi dice che non ha bisogno di me per vestirsi o quando si mette in fila da solo in attesa della maestra e mi saluta da lontano, ma la lacrima è sempre lì (anche adesso che scrivo) quando mi ringrazia di preparargli la cartella “Perchè non so ancora leggere e quindi non so che quaderni devo mettere, ma quando saprò leggere mi aiuterai lo stesso un pochino?”.
    E sottoscrivo tutto quello che dice Lucia, as usual.

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  6. Alessia, ci saremo tutti a leggere con lui quella lettera ai compagni di classe.
    Siamo stati tutti bravi. Ha ragione Barbara, è bene che ogni tanto ce lo ricordiamo

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  7. Ci hai messo dentro talmente tutto che mi sono commossa e sono rimasta senza altro da dire. L’equilibrio e la maturità che servono ad essere genitori, eccoli. Sono tutti nel saper cambiare testa all’occorrenza. E nel saper vedere le opzioni, quelle vere, non quelle proiettate. (E brava)

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  8. Mio figlio è Asperger e sto lavorando tanto sul concetto di autonomia e indipendenza, perchè se per un altro bambino/ragazzo è difficile diventare indipendente e sicuro di sè, per mio figlio lo è ancora di più. E’ difficile farsi da parte quando si trova in difficoltà ed è difficile capire se ciò che hai fatto per supportarlo è la cosa giusta o meno, ma si va per tentativi, un giorno dopo l’altro. Al terzo giorno di quarta elementare mio figlio torna a casa con un avviso scritto di suo pugno, in cui mi scrive “Sono stufo di essere maltrattato da tutti”…. cosa fare? Andare a scuola a fare fuoco e fiamme (ancora), parlare con le mamme dei compagni di classe (ancora), andare dal dirigente scolastico (ancora) o… idea! Gli chiedo cosa vorrebbe dire ai suoi compagni e mi ritrovo ad aiutarlo a scrivere una lettera in cui racconta ai compagni chi è lui e cosa vuole e afferma che non accetterà più di essere trattato in quel modo da nessuno… E improvvisamente ti rendi conto che tutto il lavoro fatto e che tutte le lacrime versate e l’impegno che ci ho messo sono servite a qualcosa, il mio ragazzo sta crescendo e vuole affermare sè stesso, vuole prendersi la briga di affrontare il mondo a viso aperto. E tornerò a sedermi accanto a lui ogni volta che me lo chiederà e tornerò ad insistere sulle piccole autonomie ancora e ancora, fino all’ultimo respiro, finchè lui me lo chiederà. Un passo avanti e uno indietro, come in un eterno balletto che non mi stancherò mai di danzare insieme a lui 🙂

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  9. Grazie Silvia. Grazie perché con queste descrizioni mi hai fatto capire che sto facendo bene..e che il tempo che mi posso permettere di dedicare a Luca, non è un tornare indietro, ma un privilegio nel poterlo accompagnare in un cammino di vita in cui ha bisogno ancora della mia mano..sono convinta che i nostri due ometti e come loro tanti altri, pur non ammettendolo magari nemmeno a loro stessi avranno bisogno di noi ancora x molto tempo, e la consapevolezza di poterci e doverci e volerci essere a me fa stare davvero bene…anche se ieri abbiamo finito i compiti alle 22.00 😉

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  10. Hai ragione, è questione di testa. E io ci ho messo un paio d’ anni per accettare questa cosa, che non era una scelta, non era la cosa che faceva bene a me in quel momento, non era neanche la cosa che faceva bene a mio marito che sapeva di essere lui quello più adatto tra i due a mettere su un sistema di starci per loro. Per due anni ci siamo stati come abbiamo potuto, prendendoci i rischi professionali insiti in questo, chi di più, chi di meno, chi meglio, chi peggio, chi a modo suo, chi stravolgendo i suoi modi.

    Ne siamo usciti, non è stato semplice, abbiamo dovuto cambiare testa prima che ritmi quotidiani. Ma ne è valsa tantissimo la pena, e come mi ha scritto una cara amica con cui mi sono sfogata un pomeriggio prima dell’ estate, siamo stati bravi. Sembrano le cose scontate per un genitore, invece c’ è bisogno di volontà, di resistenza, di senso del dovere, anche quello, oltre che di amore. E non sempre questo ti arriva nel momento che farebbe bene a te. ma ti cambia la testa, ti cambia la vita e ti regala altre scelte e prospettive. Allora come l’ Anna l’ ha detto a me a giugno, io lo dico a te: sei stata brava, siete stati bravi. Ogni tanto qualcuno ce lo deve ricordare.

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  11. Non è un passo indietro, è un grandioso scalino che tu lo hai aiutato a salire. Renderli indipendenti è bellissimo ma diventa completo solo quando, nella loro individualità, avranno capito di poter chiedere aiuto. Gli adulti più irrisolti sono quelli che non sanno chiderere, e sono tanto tristi da vedere.
    Brava!

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