Mi fido di te

Nel periodo dell’adolescenza la cosa più importante che possiamo fare per i nostri figli è quella di fidarci di loro. La cosa più difficile è farlo senza perdere la testa. 

Se pensate che io riesca a scrivere un post di quelli con i bollini in cui vi do consigli e vie di fuga dall’inferno dell’adolescenza vi sbagliate di grosso. Questo post sarà confuso e contraddittorio, empirico e sentimentale. Un corto circuito di parole e immagini messe a caso, insomma.

norman-rockwell

La prima, che lampeggia tra le altre come un semaforo giallo, è quella del quasi dodicenne sul marciapiede, insieme ad altri due suoi pari di altezza (un metro e cinquanta scarso, per l’esattezza), un attimo prima che attraversino la strada. Di colpo mi rendo conto che alcune frasi grammaticalmente sensate come “mamma esco”, “vado al parco” e “mi vedo con gli amici” corrispondono nella realtà a quella cosa lì: tre nani che si credono fichi in giro da soli per il quartiere. E allora mi giro e me ne vado via come se niente fosse, prima di cedere allo struggimento della genitrix commemorans e lasciarmi sfuggire un “sembra ieri che ti insegnavo a camminare!” che mi farebbe sprofondare nel girone delle madri rompi e imbarazzanti.

Che poi, ripensando ai discorsi tra genitori ai quali partecipo ormai da sedici anni, mi rendo conto che all’inizio c’è una grande ansia da record da prima volta: la prima volta in piedi, le prime parole, la prima cacca nel vasino. Però più passa il tempo più si tira il freno a mano. Sono pochi quelli che si vantano di essere stati i primi a mettere le chiavi di casa in mano ai figli. I recordmen lasciano il posto agli ansiosi, e si cerca un confronto tra dubbi esistenziali del tipo: a che età è giusto mandarli soli a scuola? E il primo viaggio all’estero? E il primo bacio? E la prima discoteca? Ovviamente seguono discussioni infinite, perché la risposta a queste domande è per ognuno una media tra le esperienze del genitore, il carattere e le richieste del figlio, l’ambiente in cui si vive, quello che fanno gli altri e l’improvvisazione da impreparato, quel guizzo di creatività che ti salva sempre in corner. Insomma tra i genitori che per necessità o indole ti rendono autonomo a otto anni e quelli che ti portano l’asciugamano dopo la doccia anche a 18, ci sono quelli normali, che cedono da un lato e tirano dall’altro, e cercano di fare meglio che possono.

Quando non so che fare penso sempre che il nostro compito è quello di renderli autonomi, e a quello dobbiamo puntare, anche se la strada verso l’indipendenza è incerta e tortuosa, e tutta in salita. Perché non è che un figlio ti diventa autonomo da un giorno all’altro. Si comincia con le piccole cose. Impara a vestirti, a metterti a posto le cose, a farti lo zaino, la valigia per il campo scuola, i compiti, scegliere da solo l’amico del cuore, litigare e fare pace, farti un panino, due uova, la pasta, scendere a comprare le figurine all’edicola sotto casa, poi il pane e il latte al supermercato, e di colpo hai preso un autobus, la metro, il primo treno, tutto da solo. Per controllarli, in questa strada lastricata di ricadute, usiamo tecniche che spacciamo come regole dalla validità assoluta. Il liceo nel quartiere per conoscere i compagni, il gruppo dei compiti su whatsapp per sapere cosa succede a scuola ed evitare che ci ingannino su voti e verifiche, il cellulare sempre acceso, il sesso rigorosamente a casa.

Eppure, per quanto possiamo proteggerli, lo spazio della loro solitudine, dell’infinita lontananza da ciò che siamo, aumenta. Si parte dalle cose semplici: sapersela vedere con un insegnante che non li apprezza, capire come ci si comporta in un gruppo ostile, essere desiderati o desiderare, parlare usando linguaggi che dobbiamo studiare come studieremmo una lingua straniera, appassionarsi di cose che noi non capiamo veramente, anche quando fingiamo di farlo. E si continua con le cose difficili. Che fai quando rischiano di essere bocciati, quando li sorprendiamo a fumare, quando troviamo un preservativo nello zaino? Nessuno ci dà una risposta, e ci tocca improvvisare tra comprensione, minacce, discorsi e pazienza.

Parte del mestiere di genitori durante l’adolescenza consiste nel sapere acquisire una vista multipla, quasi da mosca, e vedere i nostri figli nelle loro sfaccettature e possibilità di essere. Quello che sono ora è in parte quello che saranno, una specie di bozzolo in trasformazione, e la pazienza è l’unica arma a disposizione, insieme alla fiducia. Anche quando le cose vanno male, e soprattutto quando vanno peggio, e sono loro stessi a non avere fiducia nelle proprie capacità di farcela, noi dobbiamo attivare la supervista a schermi futuristici e dire “Mi fido di te”. Mi fido del fatto che supererai questo momento, troverai la soluzione, farai la scelta giusta, e diventerai non quello che voglio io o che vogliono gli altri, ma quello che tu vuoi essere, il tuo migliore te stesso, qualunque cosa sia.

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3 thoughts on “Mi fido di te”

  1. non so se ridere o piangere… mi sembra ieri che in rete cercavo notizie su allattamento e capricci e in un attimo mi sono trovata a parlare di indipendenza e chiavi di casa. grazie per le info da una mamma all’alba della preadolescenza

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  2. nel pieno della preadolescenza coni primi due figli …… io dico che non sono pronta che ho paura di non essere in grado di comportarmi nel modo giusto per loro…
    lasciarli spazio e indipendenza ….. può andare bene però …….non son pronta….. forse dobbiamoancoramaturare come genitori……
    peradesso non hanno fattto cavolate cheio sappia ……. e il dialogo c’è ….
    forse lapiù spaventata sono …..
    veronica

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