Mamme cattivissime

Il fatto che il libro della filosofa francese Elisabeth Badinter dal titolo “Le conflit. La femme et la mère” (Il conflitto. La donna e la madre) sia stato pubblicato in italiano con il titolo “mamme cattivissime?” fa sicuramente pensare su come queste tematiche siano viste nella cultura italiana, come se non bastasse il libro stesso a fornirci materiale su cui riflettere. Un libro che ha venduto e stravenduto, ma soprattutto ha smosso molte acque e ha fatto discutere ampiamente sull’argomento, persino in Francia.

La tesi principale della Badinter è semplice: la donna è stanca del suo ruolo di madre, perché è un ruolo che non dà soddisfazione, che mina la libertà personale e che viene vissuto come pieno di doveri. Il movimento child-free si inserisce proprio in questo contesto e la sua crescita è dovuta proprio alla visione della maternità come una prigione. Nessuna politica sociale a sostegno della maternità sembra dare frutti, nemmeno quella scandinava, e questo conferma che è proprio la donna che non vuole fare figli. La donna francese è l’unica che continua a sfornare figli perché abituata per motivi storici a delegare la cura dei figli e a continuare a vivere il suo ruolo di donna come il più importante e irrinunciabile (perdonate la sintesi eccessiva, ma che comunque mi sembra sufficientemente accurata).

Una buona parte del libro è dedicata alla descrizione di come le correnti naturaliste, impersonificate in quelle organizzazioni che spingono per riportare la maternità al suo ruolo naturale (a detta loro), stiano in realtà contribuendo a rinchiudere la donna nel suo ruolo di madre, agendo non solo attraverso la loro propaganda ma anche infiltrandosi in organi chiave quali ad esempio la World Health Organization, e influenzandoli nella divulgazione delle raccomandazioni senza, a detta della Badinter, una base scientifica a riprova delle loro convinzioni. Pur non condividendo pienamente il suo punto di vista mi sono trovata mio malgrado a riflettere su questi aspetti. E’ fuor di dubbio che il ritorno all’allattamento al seno rispetto al biberon è a totale svantaggio della libertà della donna, e mentre da un lato i vantaggi dell’allattamento sono stati evidenziati da diversi studi, la conseguenza psicologica sulla madre-donna e sul rapporto di legame con il bambino, non sono stati ugualmente analizzati, e al contrario vengono spesso passati come di importanza secondaria. Io credo invece che proprio l’aspetto del benessere psicologico della relazione madre-figlio dovrebbe essere messa al primo posto rispetto a presunti vantaggi dell’allattamento al seno, e forse si dovrebbe investire nel garantire un sostegno adeguato alla maternità anche nel ricordarci che l’allattamento è una cosa privata. Nel modello scandinavo, tanto criticato dalla Badinter questo avviene regolarmente, e il ruolo della nurse che segue la puerpera c’è anche quello di verificare il suo stato di salute psicologica per intervenire eventualmente suggerendo anche un allattamento misto. Eppure le statistiche mostrano che i paesi scandinavi hanno la quasi totalità di allattamento al seno, forse proprio grazie al fatto che l’allattamento è vissuto come naturale ma non obbligatorio, e il sostegno che si riceve è fondamentale per la sua riuscita.
La Badinter se la prende con l’istinto materno usato come bandiera per osannare il ruolo di madre insostituibile, con le teorie pedagogiche che portano il bambino ad essere al centro dell’educazione e della vita delle madri (ma i padri?), e non può mancare il rifiuto dell’epidurale per chi lo vede come prova da superare per poter dimostrare di essere delle madri degne di questo nome. Come sapete bene la sua posizione su questi temi non è lontana dalla nostra come abbiamo spesso discusso su questo sito, e pur trovandomi spesso d’accordo con quello che dice la Badinter non riesco a fare a meno di stizzirmi per il come e per il modo in cui tutto ciò viene espresso. Ho come la sensazione che un certo femminismo sia rimasto fermo a qualche anno fa, e continui a ripetere le stesse cose senza ascoltare quello che vogliono le donne.
Provo a spiegarmi meglio.
E’ evidente che certi meccanismi denunciati nel libro dalla Badinter stanno avvenendo, e molto probabilmente stanno avvenendo proprio nei termini da lei indicati. Però mi chiedo se non è il caso di preoccuparsi anche del perché. E’ troppo facile dire che c’è gente che fa lobby in una certa direzione, che ci sono persone che dis-informano basandosi su teorie para-scientifiche, ma bisogna riconoscere che c’è anche una recettività sviluppata rispetto a questi temi. Prendendo ad esempio il tema epidurale, è evidente che la medicalizzazione estrema che si vive in certi (anche troppi) ambienti ospedalieri ha portato le donne ad impuntarsi per il riscatto di uno spazio che viene sentito come proprio.
Forse qualcuno si è dimenticato di ascoltare le esigenze delle donne in tal senso? E allora è anche normale che se un gruppo di fanatici decide di cavalcare l’onda la cosa può prendere la mano e andare facilmente oltre quello fino a passare sull’altro lato della barricata. Dal niente al tutto. Dalla medicalizzazione estrema al parto in casa in acqua, dal biberon all’allattamento esclusivo al seno, dall’affidare i bambini alla balia a lasciare il lavoro per dedicarmi a mio figlio 24 ore su 24.

Ma non finisce qui. Nell’analisi delle varie politiche sociali in giro per l’Europa, la Badinter si scatena al meglio, snocciolando statistiche in merito alla quantità di congedo parentale, materno e paterno, in base ai modelli sociali scelti.
Il modello scandinavo sembra sfuggirle dalle mani, e in particolare riferisce statistiche che non molto aggiornate (e lo ammette lei stessa) per sostenere la tesi che persino nei paesi scandinavi in cui tanti soldi della spesa pubblica vengono impiegati in politiche di sostegno della maternità la crescita dei figli non sta aumentando (appunto statistiche vecchie, perché invece è in crescita e da una ricerca rapidissima in rete ho trovato statistiche che dicono il contrario, ad esempio qui e qui). Certo il suo modo di leggere le statistiche è che i padri non stanno a casa quanto le madri (verissimo) ma il fatto che negli ultimi 10 anni si sia triplicato il numero di padri che si dedica alla cura parentale mi sembra un segnale evidente di come le cose stiano cambiando nella direzione giusta, come spiegavo anche in questo post.
Sulle statistiche che riguardano l’impiego delle donne in ambito lavorativo in Svezia e non, non sono ancora riuscita a fare qualche ricerca sensata, e quindi rimando la discussione ad un prossimo post. Però non ho potuto fare a meno di ripensare ad un rapporto che metteva in relazione l’alta fertilità francese con la stabilità economica, e di cui avevo discusso qui. Sarebbe molto interessante capire in che modo la cultura diffusa della mère francese si inserisce in questa analisi economica, e se la tesi della Badinter non sia invece basata sul suo giudizio personale di come sia giusto essere donna e madre.

Detto ciò è un libro che mi sento di consigliare a tutte/i perché dà comunque molti spunti di riflessione importanti su come viviamo il nostro ruolo di madri e di donne, e che a me ha fatto riflettere veramente molto, ponendomi di fronte ad una valanga di interrogativi a livello personale sul come io vivo la maternità.

Chi di voi l’ha letto? Che ne pensate?

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31 thoughts on “Mamme cattivissime”

  1. In Austria e in Germania invece mancano gli asili nido e anche alla scuola per l’infanzia spesso non tengono i bambini oltre le 13.

    In pratica le austriache e tedesche vengono incoraggiate con assegni familiari ad abbandonare il posto di lavoro finché il bambino non ha 3 anni – infatti le coppie austriache e tedesche che hanno 2 figli di solito li hanno vicinissimi di età, in modo che poi quando il secondo figlio scollina i 3 anni la mamma rientra sul posto di lavoro.

    Il problema è: chi ti prende dopo 3-5 anni di assenza?

    Questo poi si riveste, temo, di retorica sul ruolo della mamma nei primi anni di vita del bambino, ed ecco il “naturalismo” e l'”annullamento”.

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  2. Alessia sono molto toccata dalla tua testimonianza, grazie di averla data. Solo una cosa al volo mi pare per Claudia

    “Se non ricordo male la grossa differenza nel tasso di natalità la fanno le famiglie con più di due figli, che in Francia sono molte di più. Perché sia così, non è chiaro. ”

    In Francia una famiglia che ha il terzo figlio ha lo status di “famiglia numerosa” e riceve un assegno famigliare in più. Si capisce che il governo punta proprio ad aumentare il numero di famiglie con 3 figli, probabilmente pensando al mantenimento del sistema pensionistico, non è un caso che in Italia con la denatalità attuale, in molti hanno lanciato l’allarme sul fatto che fra circa 25-30 anni il sistema salterà (è quello che vuole evitare la Ferrero con il suo “sacrificio”). In generale le politiche familiari e i servizi alle famiglie con figli sono portate avanti piuttosto bene.

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    • Grazie Close per le precisazioni. Aggiungo che le tate non sono pagate in nero perché si riceve un contributo dallo stato per pagarle. Poi magari sono comunque donne e immigrate, però pagate regolarmente.

      Claudia sono d’accordo quando dici che se fai un figlio poi dovrebbe essere anche normale volerci stare insieme e non delegare necessariamente. Però magari in una cultura come quella francese se tu madre ti dedichi ad un hobby poi non ti devi subire le critiche di routine e goderti il tuo tempo libero 🙂

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  3. Salve a tutte,
    io ho letto il libro in oggetto e l’ho trovato parecchio interessante; vi spiego perchè…sono mamma di 2 bimbi uno di 4 e uno di 2 anni;prima ero ingegnere meccanico, carriera brillante, dedita al lavoro e alle mie passioni artistiche, ero insegnate di danza, coreografa,e mille altre cose; mio marito lavora in un’altra città e ci vedevamo solo i weekend…ho affrontato la prima gravidanza come fa una donna in carrira(mio figlio per poco non nasceva nell’azienda in cui lavoro a 34 settimane)poichè lavoravo dalle 6 di mattina alle 11 la sera (preparando la mia assenza per l’evento)sono arrivata al parto stanchissima,ma il “dopo” è stato un inferno; reflusso patologico grave con deficit di crescita è stata la patologia del primo anno ed ancora oggi il bimbo subisce le conseguenze di questa malattia
    che (probabilmente) poteva essere evitata se avessi vissuto più tranquillamente i quasi 8 mesi di gravidanza (che sicuramente sarebbero arrivati a 9)..ho affrontato tutto come dovrebbe fare una mamma “tecnica” ed e stato un disastro!!!Lui vomitava e piangeva di dolore di fatica, sentivo che mi chiedeva un aiuto che io non sapevo come dargli e i 1000 consulti pediatrici(tecnici) riuscivano solo a disorientarmi..sono rientrata in azienda dopo 5 mesi di obligatoria e sono stata trattata malissimo da tutti nonostante non facessi pesare la grave difficoltà che privatamente vivevo. Poi c’è stato un aborto complicato, il terremoto dell’Aquila (la mia città) e il mondo mi è finito di crollare addosso…poi come per miracolo è arrivato il secondo figlio..con lui ho adottato un approccio naturalistico..ho vissuto la gravidanza,la nascita, l’allattamento, ho preso la maternità facoltativa..di lui ho ricordi dei suoi primi anni (del primo ho rimosso tutto a parte una sensazione di terrore)però l’esperienza ha anche qui lati oscuri..”io” non esiste più..ci sono solo i miei figli..le mie passioni sono ormai da tempo dimenticate, il lavoro è fonte solo di continua frustrazione,perchè sicuramente le donne sono discriminate ma è vero che la dedizione e la concentrazione di prima non sono più erogabili perchè prima di tutto ci sono loro. Di fatto sono un’altra persona…oggi mi chiedo cosa sarò rimasta/diventata quando i miei figli avranno acquisito un pò di autonomia; cosa vedrò guardarmi allo specchio. Il libro “mamme cattivissime” da voce al lato oscuro della maternità naturalistica, che da una parte permette di vivere “il nostro desiderio di essere mamma” dall’altro distrugge la nostra individualità. io che ho toccato i due estremi credo che entrambi siano sbagliati,ma ciò che più è sbagliato è la NON CONOSCENZA dei pro e dei contro che dominano le 2 filosofie, cosa che ci permetterebbe di SCEGLIERE e non solo di subire quello che sia la società in cui viviamo o i nostri sensi di colpa ci obbligano a vivere.Di SUBIRE perchè il problema infondo è questo..in un caso o nell’altro non siamo più padrone della nostra vita perchè il rimorso da una parte e l’annullamento dall’altra distruggono tutto quello che abbiamo costruito fino al momento in cui diventiamo “mamma”.

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  4. claudia e serena, sulle statistiche e’ verissimo cio’ che dite, non so come si mette il regno unito nella classifica della Badinter, ma di certo so che l’UK era al secondo posto per tasso di natalita’ l’anno scorso (13%, subito dopo l’Irlanda) e che nel 2011 c’e’ stato un boom di nascite inaspettato, del 2.4%, non si verificava da 40 anni. Guarda caso a seguito di un governo che ha, fra polemiche e sbagli, comunque attuato moltissime politiche familiari (del governo in corso mi astengo da commenti). Per comparazione, il tasso di natalita’ della francia l’anno scorso era del 12.8% (era al terzo posto) e la svezia era al quinto con 12.3%. (L’Italia fra le ultime, al 9.3%, e la germania e’ l’ultimissima invece!) Fonte qui: http://epp.eurostat.ec.europa.eu/cache/ITY_PUBLIC/3-28072011-AP/EN/3-28072011-AP-EN.PDF (tabella in ultima pagina).

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  5. Nemmeno io ho letto il libro, ma da quello che emerge da questo post (e da qualche intervista letta subito dopo l’uscita del libro in Germania), il fastidio mi viene dal suo ergersi a interprete della vera natura femminile. Una donna in realtà vuole X, se pensa di volere Y è perché è stata plagiata, poveretta. Mi sembra lo stesso discorso alla base del divieto per le donne francesi musulmane di indossare il velo. Per essere libera, devi fare come dico io.

    E invece no, perché come diceva giustamente qualcuno sopra, ci sono tanti modi di essere madre quante sono le persone (ancora di più aggiungo io, almeno tanti quanti sono i bambini). E a me sembra che, in quanto a libertà di scelta, siamo molto più avanti oggi rispetto a 30-40 anni fa. Possiamo scegliere se e quanto allattare, e grazie al martellamento sulla bontà del latte materno possiamo contare, per i nostri figli, su un latte formulato di qualità infinitamente superiore rispetto a quello che ci siamo puppate noi. Possiamo decidere di lasciare i nostri figli al nido a tre mesi o di mandarli all’asilo a tre anni con tutte le vie di mezzo, possiamo scegliere tra mille diverse direzioni il ginecologo che ci segue / l’ospedale dove partoriremo / il corso preparto “zen” o supermedicalizzato e tutte le vie di mezzo, il pediatra omeopata o fan dell’antibiotico, come ci pare.

    Il problema è garantire questa libertà di scelta anche nella vita reale, e non solo sulla carta. A questo obiettivo secondo me si avvicina più la tanto criticata (dalla Badinter) Germania, piuttosto che la Francia in cui, se ho capito bene Serena, 10 settimane dopo il parto una mamma DEVE tornare a lavorare. Dettagli sul sistema tedesco, sicuramente migliorabile soprattutto per quanto riguarda l’offerta di nidi e asili, li fornisco su richiesta 🙂 non vorrei dilungarmi più del mio solito (troppo).

    La questione della scarsa natalità secondo me è mal posta. La Germania ha un tasso di natalità molto basso rispetto alla Francia (è poco sopra l’Italia se non ricordo male), ma se si va a guardare i numeri, si vede che la percentuale di donne senza figli in Germania è molto simile a quella francese. Quindi la scarsa natalità non è dovuta a chi non vuole figli, quel numero difficilmente verrà scalfito da politiche familiari più o meno illuminate. Se non ricordo male la grossa differenza nel tasso di natalità la fanno le famiglie con più di due figli, che in Francia sono molte di più. Perché sia così, non è chiaro. Ma se la soluzione è essere obbligati a lasciare i figli di due mesi al nido, beh, io per dire a quella condizione preferisco non farne 🙂

    A proposito… ma tutti ‘sti bambini che hanno bisogno di una balia 8-10-12-14 ore al giorno… chi li tiene, mio nonno in carriola? O per caso un’altra donna? Magari extracomunitaria e sicuramente sottopagata? Parliamone.

    Per andare sul personale: il mio modo di essere mamma è un tale miscuglio di natura e carriera che becco critiche da tutti i lati. Ho partorito nell’ospedale “ecologico”, ma con ossitocina, epidurale immediata e infine cesareo. Mia figlia l’ho mandata troppo presto all’asilo, lavoro troppo, l’ho allattata per troppo tempo, l’ho portata troppo tempo nella fascia, la lascio troppo “con estranei”, le sono schiava perché ancora non sono andata in trasferta senza di lei (però ci sono andata con lei, svenandomi of course), sono proprio egocentrica quando oso addirittura avere un hobby impegnativo, però lei è troppo il centro del mio mondo quando dopo le prove del coro preferisco tornare subito a casa a leggerle la favola della buonanotte piuttosto che andare con gli altri al pub. Eccetera eccetera. Non penso di essere strana, penso che ognuna prenda dalle varie correnti quello che più le si addice, e vada avanti con la sua vita. I motivi per non fare figli, secondo me, sono altrove.

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  6. Non lo letto ma mi ha incuriosita…

    Della maternità si dice di tutto e il contrario. C’è il modello supermamma, e il modello “delego ad altri”. E’ come se si dovesse essere mamma in un certo modo, solo che nessuno ancora ha trovato quello giusto, e così tutte ci affanniamo a soddisfarli… tutti! Libere, professionali, ma anche presenti e amorevoli, belle ma con poco tempo, mamma del parco, ma con pc portatile così lavoro, sempre fuori casa ma brave cuoche, allattamento al seno ma trova il tuo tempo…

    Il fatto di “delegare” e di vivere la propria libertà, a volte mi fa sorridere. Insomma, diventare madre e padre è un impegno, e il più delle volte lo si prende consapevolmente. E’ un po’ come il matrimonio: non sei obbligato, se lo vuoi fare prendi degli impegni precisi (fedeltà, aiuto, convivenza, condivisione, ecc…) legali e morali, sei tenuto a rispettarli, e se tutto va bene li prendi perché ti fa piacere. Insomma, se non ti va di passare anni con quel tipo, non lo sposi no? Poi per carità, non si sa mai come va a finire, ma se ti sposi parti dal presupposto che le serate in discoteca a “caccia” sono finite. E la cosa non dovrebbe dispiacerti nemmeno un po’. un figlio è un impegno più grosso, ok, e non c’è il divorzio. Ma chi fa figli e poi passa al bibe per non perdere il suo tempo, a priori… Non voglio giudicare, spero mi si legga nel senso “ironico” perché io sono tutto meno che a favore dell’allattamento al seno a priori, ci sono donne che ne soffrono, che piangono, so quanto fa male, e allora ben venga il biberon, anzi, il LA ne ha tirati su di pargoli, e direi anche bene! Ma fare un figlio e pretendere che tutto sia come prima, insomma, forse non hai valutato bene la situazione… Mi riferisco al “modello francese” del delegare il più possibile.

    Certo che ancora mi fa pensare quanto si parli di mamme. Un figlio vuol dire che la mamma, e la mamma sceglie questo, e la mamma subisce quello.. E questi papà ancora dove sono? Lì in ombra. Sarebbe davvero bello condividerla di più questa maternità, ma qui di nuovo si torna alle politiche che lo permettono (se lavorare in due ci costa più di uno stipendio tra nido-tata & co, se lui guadagna più di lei, ovvio che lei sta a casa e fa la mamma, lui lavora e fa straordinari…) e alla cultura (se lui ancora non sparecchia, cosa pensi faccia davanti a un pannolino?).

    E anche sulla medicalizzazione, sul parto… Ospedali dove non fanno l’epidurale, altri che invece programmano i cesarei appena si può ,le donne che sono spesso confuse, quasi sempre male informate (ovviamente ognuno spinge dalla sua parte), insomma, ormai anche il parto sembra un combattimento tra pubblicità.

    Sto divagando un po’ troppo 🙂

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  7. Ho comperato l’edizione originale francese, dovrò sbrigarmi a leggerlo per postare un commento prima della fine del mese 😉

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  8. Nemmeno io ho letto il libro, ma ho riflettuto molto sul mio modo di essere madre. Non può esistere un modello di madre perfetta (o di madre cattiva), ma spesso ho l’impressione che siamo noi stesse ad alimentare questi modelli giudicandoci l’un l’altra e issando la bandiera delle nostre convinzioni. Facciamo l’esempio dell’allattamento: ho allattato mia figlia per due anni (sì: due anni), ma mi sono arrabbiata moltissimo quando sono stata definita una “talebana dell’allattamento”, primo perché non mi piace l’espressione e poi perché non lo sono; non mi sognerei mai di dire a un’altra donna che deve fare come me. Semplicemente per me è andata così: volevo allattare un anno e ho allattato due. Sono convinta che esista un beneficio effettivo per la salute di mamma e bambino, ma so anche che può esistere un disagio per la donna e che ci sono implicazioni psicologiche ancora poco esplorate (come sottolinei giustamente), quindi se mi trovo a chiacchierare con una madre che non la pensa come me cerco di comprendere il suo punto di vista e di ampliare il mio. Scusate, mi sono dilungata molto, ma il punto a cui volevo arrivare è questo: mi piacerebbe che un giorno, spero non troppo lontano, si accettasse l’idea che non c’è un modo corretto di essere madre (o padre) perché non esiste un unico modo di essere persone. E che non ci può essere un modello da seguire. La mia impressione è che, invece, ci sia la tendenza continua a creare modelli e contrapporli tra loro, senza dialogare veramente. Quando si dialoga, quando si ragiona con senso critico e ci si confronta sul serio, mettendosi anche in discussione, le posizioni estreme (i modelli estremi) perdono tutto il fascino che certe volte sembrano esercitare. Quindi, per concludere, sono d’accordo con chi dice che le leggi possono aiutare, ma il vero grande cambiamento da promuovere è quello culturale.

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  9. uhu! (oggi non a finisco più) Volevo anche citare, in riferimento all’uso delle statistiche un po’ “disinvolto” che, come dici tu, si fa in questo libro, una frase che mia mamma, prof di matematica, mi dice sempre (non so chi ne sia il vero autore però): “Le statistiche non mentono, ma i mentitori spesso usano le statistiche!”

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  10. ciao Serena, bel post! Commento questo perchè non ho letto il libro… e sinceramente non so se lo leggerò perchè, dalla tua descrizione, mi è sembrato che porti avanti una visione abbastanza estremista delle cose, che io sopporto poco…
    Comunque, quello che mi sento di dire (concordando con quanto dici anche tu nel post) è che esistono delle sane vie di mezzo, che di solito sono le migliori e che variano da persona a persona.
    Anche io nei primi mesi mi sentivo in gabbia, non riuscivo a lavorare (io lavoro da casa) e la cosa mi deprimeva perchè amo profondamente il mio lavoro, e mi sono ripetuta più volte “ma chi me l’ha fatto fare!” (riferito al bambino, non al lavoro). Poi pian piano si conquistano nuovi equilibri e nuove abitudini. Inevitabilmente avere un figlio comporta delle limitazioni e dei cambiamenti dello stile di vita, ma i cambiamenti sono inevitabili anche per chi non ha figli, magari semplicemente perchè a trent’anni uno non ha l’energia e la voglia di fare le notti bianche come le faceva a venti. E questo vale sia per le mamme che per i babbi.
    E’ vero che l’allattamento al seno, il portage e tutte quelle cose che “richiedono” la presenza della madre, possono “rinchiudere” una donna nel suo ruolo di mamma, ma io credo stia al buonsenso di ognuna di noi dire “fin qui ce la posso fare” e quindi scegliere quanta parte della sua libertà “sacrificare” alle esigenze del bambino… una parte che può variare da persona a persona a seconda del lavoro che fa, delle sue esigenze personali e ovviamente, dall’aiuto che riceve, sia da parte degli altri famigliari che dalle istituzioni. Ed è importantissima perciò secondo me (al contrario di quanto sostiene l’autrice) la presenza di uno stato sociale forte e orientato verso i bisogni delle mamme.
    E’ vero, la cultura viene prima, e magari anche se lo stato mi offre dei nidi fantastici, io preferisco tenermi a casa il bambino, rinunciando al mio lavoro e realizzando me stessa esclusivamente nel mio ruolo di mamma. Ma magari lo faccio all’inizio. Magari ce lo mando una volta, il figlio al nido, per provare, poi due, poi tre e pian piano riconquisto quegli spazi di tempo e “libertà” a cui avevo rinunciato. Se questo aiuto non ce l’ho non ho nemmeno la possibilità di provare.

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  11. Anch’io non ho (ancora) letto il libro, quindi mi baso sul tuo post. Il mio pensiero è molto affine a quello della Badinter, a quanto capisco: anch’io mi sento molto “strozzata” da un modello di madre “naturale” completamente diverso dal mio sentire.
    Capisco quando dici che forse, se certe posizioni estremiste si diffondono (dall’una e dall’altra parte), è anche perchè c’è terreno fertile da parte delle menti che accolgono certi messaggi, ma credo che la chiave sia proprio nel promuovere la LIBERA SCELTA. Se come dici tu, se le donne si impuntano per un parto naturale è perchè si è promosso eccessivamente la medicalizzazione del parto, la soluzione non è cambiare direzione e ripromuovere il parto naturale: a mio parere, la soluzione è INFORMARE correttamente e lasciare la scelta secondo il personale sentire. La stessa cosa vale per l’allattamento: c’è quello al seno, quello con LA, quello misto, questi sono i pro, questi sono i contro, scegli tu.
    Se sono informata, posso scegliere. Se l’informazione è tendenziosa, sono influenzata nella scelta, e questo può creare futuri contrasti con la mia personalità.

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  12. Grazie Agnese! E’ che a me ogni posizione assoluta che si dichiara come detentrice di verità mi mette in allarme.

    @Barbara esattamente! E’ per questo che non mi piace la sua critica anche al sistema svedese, forse si aspettava che una politica sociale potesse portare a risultati lampo, non so, mi sembrano cose per le quali è necessaria almeno una generazione se non due.

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  13. Grazie Serena. Questo è l’unico sito in cui riesco a leggere un approccio integrato e veramente equilibrato alla questione della maternità di oggi. Dovunque vada trovo persone più o meno apertamente schierate (mamme “badinter” vs mamme “naturali”) e sto cominciando ad averne abbastanza.

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  14. Io non l’ho letto, quindi quello che scriverò qui è un commento al post e non al libro. Credo che sia molto ma molto importante non solo l’ambito socioculturale in cui si decide di mettere al mondo un figlio, ma la cultura di provenienza (oltre ovviamente alle inclinazioni e situazioni personali, sempre preponderanti). Io posso anche venire a vivere a Stoccolma e fare tre figli lì, facendo prendere a mio marito il congendo di paternità, godendo dei nidi eccetera eccetera, ma temo che il mio modo di considerarmi una madre “buona”, “capace” e “madre” in senso lato dipenderebbe comunque dalla mia estrazione. Insomma sto dicendo che secondo me le leggi devono venire prima, ma per i cambiamenti culturali c’è bisogno di tempo.

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