Chi è quest’uomo che ogni domenica viene da noi a tagliare la carne?

Nulla cade dal cielo e certe volte gli effetti sociali di campagne mirate si espandono subito, almeno in una certa misura e in certi strati della popolazione. Nel 1997-98 SIRE, che è l’ equivalente nei Paesi Bassi di Pubblicità e Progresso, ha lanciato una campagna dal tema: “I padri a casa sono insostituibili come al lavoro”.

Lo scopo era quello di far riflettere gli olandesi sul ruolo dei padri nell’educazione e nella cura dei propri bambini e di provare a stimolare gli uomini a partecipare più attivamente ai compiti di cura quotidiana. In primo luogo la campagna si rivolgeva a uomini con lavori full time sposati a donne che anch’esse lavorano (part time).

Il film si apre con la famiglia a tavola la domenica, padre in camicia stiratissima, figli lindi e pinti, tovaglia, tavola apparecchiata (e chi conosce un pochino l’Olanda sa che la tovaglia è un grosso optional già nei ristoranti). Tutti in silenzio.

Entra la madre con in mano l’arrosto che deposita davanti al padre, e lui, fedele al ruolo, afferra coltellaccio e forchettone. E in quel momento il bambino chiede: “Ma chi è quest’uomo che ogni domenica viene da noi a tagliare la carne?” La frase è diventata proverbiale.

Voi capite che io nel 1997, nel mentre che mi chiedevo cosa avrei potuto fare da grande in Olanda, avevo capito che l’andazzo generale (allora) non mi lasciava altra scelta che mettermi a lavorare per conto mio, perché diciamocelo, le madri che lavorano non erano viste proprio benissimo da nessuno. E i servizi di cui godevano erano scarsetti.

Mi sono messa in proprio perché sapevamo di voler fare figli, il maschio alfa era già entrato nei meccanismi aziendali per cui usciva la mattina e rientrava la sera dopo essersi goduto tutte le code in autostrada e io non potevo reggere l’idea di dovermi giustificare la mattina davanti a un capo perché arrivavo con un minuto di ritardo perché il bambino… che già sono italiana e i miei minuti di ritardo contano quanto 10 minuti di ritardo di un tedesco, toh, poi uno dice i pregiudizi razziali.

In questi 15 anni, perché ho fatto prima ad avviare l’agenzia che ad avviare un erede, le cose sono cambiate parecchio. Ma sono tutte cambiate dall’alto.

Per esempio le scuole un paio di anni fa sono state obbligate a offrire un servizio di sorveglianza, fino a quel momento sporadico e volontario, a ricreazione che permettesse ai genitori di lasciare i figli a mangiare e giocare a scuola tra le 12 e le 13, invece di prenderseli, portarli a casa, fargli mangiare un panino, e riportarli in orario, per poi riprenderseli alle 15. Io me la ricordo la mia vicina tutti i giorni dalle 12 alle 13 a fare avanti e indrè con l’autobus  e la bambina.

Poter mettere i bambini al nido, anche se (temporaneamente) non hai un lavoro è stato un altro grosso passo avanti. Anche se le regole cambiavano ogni momento, come sempre avviene per i pionieri (e quindi il nido privato che costa un botto, veniva in parte rimborsato con le tasse, in parte i datori di lavoro avevano un contributo obbligatorio, adesso invece devi dimostrare che anche il genitore che lavora di meno lavora comunque 22 ore alla settimana per giustificare gli sgravi, ma meglio di un calcio in culo).

Certo, è stato un passo avanti motivato dal boom occupazionale che c’è stato tra il 1997 e l’11 settembre 2001, in cui tutti gli sforzi possibili erano mirati a rimettere a lavorare tutte le laureate che dopo tutto quello che i loro studi erano costati allo stato, se ne stavano a casa a godersi i figli. Hanno aperto tanti di quei nidi, incoraggiato, pensato a sgravi fiscali e anche così le liste d’attesa duravano 2 anni, toccava iscrivere il figlio prima di concepirlo. Aprire i nidi, fare i protocolli di qualità, riqualificare e mettere a lavorare del personale, anche quello ha fatto bene all’ occupazione, specie femminile.

Resta il fatto che grazie alla diffusione dei part time, normalmente tra le donne, se lasci il bambino al nido o doposcuola più di tre giorni, ti continuano a guardare malissimo. Ma sempre le madri, non i padri.

Poi è arrivata la crisi, un sacco di padri, come il nostro, ci si sono trovati per forza a casa, anche se gli ammortizzatori sociali, santi e benedetti, evitavano grandi tragedie economiche, e magari se la madre invece un qualche lavoro era riuscito a tenerselo, per forza di cose chi stava di più a casa si assumeva sempre più compiti. Anche per questo, quando si rimettevano a cercare un lavoro, magari lo cercavano e lo trovavano anche loro part-time.

Questo è servito anche ad ampliare la mentalità in proposito, ma senza gli incentivi, le pubblicità, l’incoraggiamento, il fatto che era diventato più trendy dire: “si, naturalmente per me è importantissimo vedere i miei figli crescere”, piuttosto che: ”No, sono ancora disoccupato, ma che farci, non si trova niente”, non si sarebbero fatti questi grossi passi.

Che i padri si possano prendere un congedo di paternità (non retribuito e non obbligatorio a parte i tre giorni per contare le contrazioni e andare in anagrafe) o un part-time per seguire i figli nel frattempo è sempre più accettato in sempre più settori e non solo quelli statali (quando i miei figli andavano al nido, c’era sempre la storia che: “nella mia funzione il part time è inaccettabile”, adesso, pare, di meno, evidentemente sono andati in pensione un bel  po’ di quei manager con cinque figli e la moglie nella casa in campagna a permettergli di fare carriera e nelle aziende è entrato sangue fresco paterno).

Il punto è che agli olandesi li ha rovinati la guerra. Con il fatto che il paese prima è stato neutrale e poi occupato, gli uomini non sono stati mandati al fronte ma sono rimasti a casa a fare quello che facevano prima: lavorare per mantenere la famiglia mentre la moglie gestisce l’economia domestica. Quindi le donne non sono mai davvero dovute subentrare nei posti di lavoro lasciati liberi dalla carneficina bellica (una situazione opposta rispetto alla Russia, per esempio, dove tra guerra civile e due guerre mondiali, una generazione o due di uomini è sparita negli anni produttivi, tutte quelle operaie del sol dell’avvenir mica erano solo propaganda, è che gli uomini all’epoca gli erano proprio finiti).

Ma si diceva degli olandesi: siccome non c’erano, prima, ragioni demografiche o economiche che spingessero le donne sposate e con figli a lavorare in massa fuori casa, siccome tutti i servizi, a partire dalla mancanza di asili agli orari scolastici anteguerra esistono basati sulla madre che se ne occupa da sé, siccome persino le maestre fino al 1972 venivano licenziate il giorno del loro matrimonio e le poche eccezioni erano il risultato di cause in tribunale o concessioni della regina, l’idea generale fino a poco tempo fa era quella della madre che deve stare a casa con i figli.

Con questa divisione radicale dei compiti in famiglia che veniva da una spinta esterna, ci volevano altrettante spinte esterne per spostare l’ago della bilancia. I risultati sono che anche se i padri che vogliono occuparsi dei figli adesso hanno un paio di scuse in più, visto che diventa sempre più socialmente accettabile, si capisce però anche che c’è molta strada da fare.

Per fortuna ci sono i divorzi pacifici e l’affido condiviso: ai padri la metà del tempo con i figli gli tocca e se la prendono molto serenamente. A noi madri degli amichetti tocca spesso chiamare due volte per prendere appuntamenti tra bambini, perché non so mai chi ha chi quel giorno, ma va benissimo.

Ecco, la Pubblicità e Progresso ha fatto grandi cose in questo paese. L’unica che è rimasta fregata sono io, che mi sono innamorata di un figlio maggiore di madre giovanissima per le sue innate doti di cura e il suo istinto paterno, e poi la vita, il lavoro e la carriera hanno fatto di me una vedova bianca con un lavoro più che full time da svolgersi preferibilmente nelle ore notturne. Così i pomeriggi li posso dedicare ai bambini.

Però più i figli crescono più il padre si prende i suoi impegni fissi con loro, ci parla, li consola quando piangono, risponde alle domande difficili sui casi della vita. Se penso agli uomini taciturni e dediti al lavoro che affidavano tutto dei figli alle mogli della sua genealogia, mi rendo davvero conto della perla che ho sposato. Ma si tratta del tipico uomo che ha giurato che lui avrebbe fatto diversamente da suo padre.

Peccato che sia vegetariano. E allora la carne la domenica tocca tagliarla a me.

Prova a leggere anche:

Previous

E se il femminismo passasse dai papà

Difettose: un libro sulla maternità difficile

Next

14 thoughts on “Chi è quest’uomo che ogni domenica viene da noi a tagliare la carne?”

  1. Salve a tutti! Dopo tanto silenzioso leggere mi appaleso anch io! Molto illuminante questo post, mammamsterdam, e anche i commenti però come giustamente nota Close ci sono troppe variabili in gioco, come per esempio la struttura economica che in UK era già più dominata dall’industria mentre in Italia ancora vigeva una vasta e radicata cultura contadina, per dirne una. Il fatto che dei progressi sociali in Olanda siano stati ottenuti solo perchè calati dall’alto (oltre che probabilmente per la promozione di un humus culturale recettivo) mi fa riflettere sul fatto che forse allora è proprio necessario imporre le quote rosa (forse è OT, scusate).
    Poi, Silvia, che il blog si evolva non può che fare bene! E a me piace molto (e come potete immaginare non solo a me!!)
    Ciao e grazie del bel lavoro che fate
    Chiara

    Reply
  2. Mi sembra di leggere il riassunto di “Pane nero” negli ultimi commenti… Le donne italiane e la guerra, quando le campagne fasciste avevano un ritratto preciso e inderogabile della donna giusta “non troppo bella, curata ma non troppo, che non si trucca e non perde tempo a farsi bella, dedita a casa e marito, con tanti figli, che cuce e cucina, che parla poco e ascolta tanto…”, insomma, la donna a casa che rispetta l’uomo, che invece a casa sta per mangiare e basta. Poi arriva la guerra, gli uomini spariscono e… e improvvisamente non possono più prendere loro le decisioni. E le donne iniziano a farlo, iniziano ad avere bisogno di un lavoro, iniziano a lottare per trovare il cibo, i partigiani iniziano ad avere bisogno di loro, e te le trovi in bicicletta piene di coraggio e paura…

    sono fuori argomento?

    Certo che sarebbe bello capire cosa manca qui, coraggio? Io vedo famiglie che ne hanno tanto. Vedo padri che fanno i padri quanto le madri, a volte di più. Poi vedo quelli che sembra vivano ancora nel secolo scorso. Mentalità? Mah, c’è chi non immagina la vita senza lavoro, e c’è chi non accetta ancora la donna che non fa la casalinga. Credo che ci sia di tutto e di più. Sinceramente credo che qualcosa dovrebbe partire dall’alto, siamo pronti ad abituarci a questi padri che fanno i padri, ma forse da bravi italiani prima devono obbligarci per un po’… Come il casco in moto, le cinture in auto, il divieto di fumo nei locali, borbottiamo tanto, ci obbligano, ci adeguiamo e va a meraviglia (o quasi). Forse ci serve questo? Solo che a quanto pare in alto non sono interessati!

    Reply
  3. @supermambanana – E’ una cosa che ha colpito soprattutto la working class. Le middle e upper classes non mandarono via i figli. Il divario di classe nel concetto di famiglia è enorme. Le famiglie con radici nelle working classes non hanno un concetto di “pasto comune”. Nella maggior parte delle case non c’è neanche un tavolo, per lo più i bambini mangiano tra le 16 e le 17 con un piatto sulle ginocchia e i genitori più tardi, da soli, sempre con un piatto sulle ginocchia. Niente vacanze, escursioni insieme o momenti di scambio. Nel dopoguerra, inoltre le working classes furono quasi tutte spostate dalle grandi città alle “città nuove”. Gran parte delle cittadine dell’Hertfordshire e del Bedforshire sono state stati costruite nel dopoguerra. Presero intere famiglie e da Londra le spostarono là dove costruivano le fabbriche. Un’intera generazione cresciuta con estranei, rimandata da genitori (ormai estranei) e poi sradicata. E’ successo anche alla famiglia di mio marito. Diverso è il caso delle Middle classes, che hanno un concetto saldo della famiglia e delle relazioni (e il tavolo ce l’hanno eccome).
    @silvia – magari ci penso e un bel pezzettino ce lo faccio.

    Reply
  4. Io non sapevo questa cosa dei bambini affidati ad altri, ma poi ripensandoci mi pare sia successo un po’ dovunque.

    Reply
  5. Sono d’accordo con Supermam, anche perché gli uomini al fronte sono andati in quasi tutta Europa – anche da noi e le donne si sono messe a lavorare in fabbrica, ma l’evoluzione della famiglia non è stata in nessun modo identica. Le variabili sono troppe.

    Reply
  6. Rape’ ma lo sai che io non mi sento di poter dire che la famiglia britannica ne e’ uscita a pezzi? bisogna capire che vuol dire famiglia probabilmente. Se la famiglia e’ un insieme di persone che collaborano ad un interesse comune, mi pare che ci siamo. Se la famiglia e’ un pucci-pucci della zia, che hai mangiato oggi, ti fa bene lo sciroppetto, certo no. Sto semplificando, lo so, ma e’ che per me il concetto di famiglia e’ altamente sopravvalutato 😛

    Reply
  7. I figli crescono, i genitori crescono e dai pannolini si passa all’ attivismo (è per questo che scrivo qui, no? Questo non è un sito mammesco, è un sito genitoriale, anche se i maschi si guardano bene dal commentare. O l’ hanno poi fatto? vado a vedere sull’ altro post.)

    Reply
  8. Ma a noi mica manca l’ambizione… E a quanto pare il materiale umano lo abbiamo. Signore, quando volete cimentarvi congiuntamente nell’impresa della storia social-familiare d’Europa, noi siamo qui.
    (Temo che ci stiamo inoltrando in un terreno leggermente diverso da altri siti mammeschi… è un pezzo che non si parla più di pannolini e pappe da queste parti: credo sia un suicidio mediatico, ma mi piace!)

    Reply
  9. Vedi Rapè, non ci avevo mai pensato in questi termini. Alla famiglia britannica intendo, ad altre cose si. Ci sarebbe da riscrivere la storia sociale d’ Europa.

    Reply
  10. “Il punto è che agli olandesi li ha rovinati la guerra. Con il fatto che il paese prima è stato neutrale e poi occupato, gli uomini non sono stati mandati al fronte ma sono rimasti a casa a fare quello che facevano prima”

    Questa osservazione mi ha fatto molto riflettere: l’impatto della guerra in ciascun paese nell’evoluzione della famiglia. In Inghilterra gli uomini combattevano, le donne lavoravano nelle fabbriche d’armi. I bambini furono evaquati nelle campagne a vivere con estranei. Un’intera generazione che ha trascorso l’infanzia al di fuori della famiglia. La guerra con quest’organizzazione l’hanno vinta, ma la “famiglia” britannica ne è uscita a pezzi.

    Reply
  11. Poi intendiamoci, le donne che non hanno figli qui hanno fatto delle carrierone, e anche alcune che ne avevano, ma guadagnavano così tanto da pagarsi fior di nannies. Se fai la cassiera al supermercato o lavori in orario scolastico o te li fai guardare da tua mamma.

    Mia suocera per esempio ha avuto il primo figlio a vent’ anni, che si stava laureando in medicina, e ne ha fatti altri tre, sempre studiando, facendo le guardie, i tirocini eccetera. Ha sempre lavorato, ma quando i bambini erano piccolissimi aveva la suocera dietro l’ angolo, il marito con l’ ambulatorio a casa e lavorava otto ore alla settimana, aumentando mano a mano che i figli crescevano.

    Reply
  12. Interessantissimo. Hai sfatato il mito dell’Olanda avanguardista. In Inghilterra non era così estremo neanche in passato, ma certo è che le mamme con bambini sotto i 5 anni che lavorano, anche qui sono la minoranza.

    Reply

Leave a Reply to Teoria e pratica della paternità nei Paesi Bassi | mammamsterdam Cancel reply