Lettera da una professoressa

La scuola, gli alunni e i professori, visti da dietro la cattedra, da una professoressa che (vi assicuro) ha lasciato un segno nella storia di chi l’ha incontrata

particolare dalla Scuola di Atene di Raffaello
particolare dalla Scuola di Atene di Raffaello

Una conversazione con la professoressa Franca Peri, la mia professoressa di lettere del liceo. Una donna che ha insegnato per tutta la sua vita, che ha visto passare generazioni e generazioni di allievi, che ha visto le nostre storie scorrere su quei banchi per tre anni. Tre anni in cui diventavamo il suo quotidiano e il suo progetto. Gli alunni, i colleghi e la scuola dal suo punto di vista: alle mie domande ha risposto con piccoli scorci di storie vissute, aneddoti che in poche parole offrono il senso delle lunghe giornate di scuola e il senso della professione di insegnante. Soprattutto ha risposto con onestà intellettuale, quella che ora mi rendo conto essere sempre stata la sua più grande qualità..

Avevo posto diverse domande alla Prof. Peri: sono diventate un discorso inscindibile, fluendo dall’una all’altra.

    Come si fa a motivare e ad appassionare allo studio un adolescente, in quella fascia d’età dove tutto sembra più urgente e interessante di un libro di scuola?
    Come ci si fa ascoltare dagli adolescenti? Visti da un’insegnante, noi genitori, cosa possiamo fare per sostenere i ragazzi nello studio, senza diventare invadenti od ossessivi?
    Il ragazzino che “va male a scuola” chi è? Cosa rappresenta per l’insegnante?
    Significativamente, partiamo proprio da quest’ultima domanda, che riguarda la persona più importante per un (“vero”) insegnante

Il ragazzo che va male a scuola costituisce una sfida per l’insegnante, direi anzi che è il suo primo obiettivo, il suo punto d’onore. Ci sono sempre motivazioni altre, che non dipendono dall’intelligenza.

Io ricordo come fosse per me importante il primo giorno in cui entravo in una classe nuova. Cercavo di osservare tutti attentamente per vedere se qualcuno mi stava antipatico, dato che
l’antipatia di solito è reciproca. Me ne chiedevo il perché e mi impegnavo a sgombrare il campo al più presto possibile.
La materia che avevo scelto di insegnare facilitava il mio compito. Di solito cominciavo con una poesia, facendo notare, oltre alle parole, immagini, suoni, colori, ritmi, ecc, per far capire che la poesia è un’opera d’arte che mobilita tutti i sensi. Di solito i ragazzi sono sensibili
alla musica, la loro musica; altri più alla pittura e al disegno.

Guardandoli bene in faccia, capivi tante cose. Se qualcuno tentava di disturbare, non mi sognavo di punirlo, gli chiedevo che cosa volesse dire, se era un segreto o se poteva fare partecipi tutti noi, ecc. insomma gentilmente lo sfottevo e tutti ridevano.
Il segreto sta nei primi momenti nel non chiedere solo di ascoltare; in seguito questo sarà necessario, ma il ragazzo non lo farà più passivamente.

Nascono naturalmente subito i problemi alle prime classificazioni negative.
Ricordo che un giorno un ragazzo che aveva preso 4 al compito di italiano mi accompagnò a casa all’uscita chiedendomi il perché. Gli risposi: “perché non do di meno in un compito di italiano”. Cominciò a contestarmi, dicendo che io non sapevo che lui era capace di vendere un
frigorifero agli Esquimesi, ecc, gli ho detto che facesse pure, ma che, se voleva continuare con me, doveva capire in che cosa sbagliava e correggersi… Diventò uno dei miei migliori alunni e poi professore universitario di facoltà letterarie.

Ricordo un altro episodio, di una ragazza con una gamba zoppa; prese un votaccio e venne a protestare che lei stava male; le dissi che io non trattavo con la sua gamba, ma con la sua testa, ben più importante… ne nacque un’intesa profonda… e poi si fece anche operare alla gamba.

Che cosa voglio dire? Che un insegnante non solo deve prepararsi, correggere bene i compiti, interrogare con intelligenza, ecc., ma deve trattare con verità, non considerarsi mai superiore perché non lo è.

Ricordo una volta in consiglio di professori: quella di matematica cominciò a distribuire giudizi sprezzanti sull’uno o altro ragazzo. Mi fece salire la mosca al naso e le dissi che doveva rendersi conto che tra quei ragazzi ce n’erano molti che valevano più di noi, che sarebbero diventati persone importanti, più di noi che eravamo arrivati solo a fare un mestiere modesto.
Noi avevamo il dovere di fare bene il nostro mestiere, di attribuire voti giusti, anche negativi, ma non potevamo permetterci di giudicare oltre.

Che cosa possono fare i genitori? Si tocca un tasto dolente per la mia esperienza. Ricordo tante madri, che venivano a parlare di sé, non dei figli; padri assolutamente assenti, anche se adorati dai figli (ricordo un celebre scrittore, che si permise di dirmi che non poteva perdere tempo con suo figlio).
Io credo che i genitori facciano bene a mostrare interesse chiedendo ai figli quello che capita a scuola, pettegolezzi compresi, se possono diano una mano nei compiti per casa, non per sostituirsi ma per partecipare.

    Lei ha visto passare davanti ai suoi occhi ben più di 50 anni di scuola italiana, mettendo insieme gli anni di insegnamento e quelli successivi in cui ha seguito i suoi nipoti. Cosa è cambiato? Come sono cambiati i professori e i ragazzi? Cosa ci sarebbe da recuperare della scuola passata e cosa c’è di valido in quella attuale?

Cominciamo con i professori. Come sempre e come in tutte le categorie, ci sono quelli bravi, quelli discreti e le… scarpe: ieri, come oggi, come domani.
La preparazione che si richiedeva per l’ingresso in ruolo ai miei tempi (fine anni quaranta)
era la seguente:
– Due esami scritti: composizione italiana e composizione latina.
– Solo dopo aver superato gli scritti (con punteggio da 18 a 30) si affrontavano gli orali di letteratura italiana (tutta), di letteratura latina (tutta) e storia (tutta), con numerosi testi e si doveva preparare una lezione pratica per il liceo che veniva assegnata un giorno per l’altro (a me è capitata un’ode di Orazio).
Quando ho fatto il concorso io, c’erano 148 cattedre a disposizione, ma ne sono state assegnate soltanto poco meno di cinquanta.
Poi le cose sono cambiate e, a mio parere, l’iniziativa più devastante sono stati i cosiddetti corsi abilitanti, che hanno avuto varie propaggini. Si andava a sentire, si faceva atto di presenza, senza accertamenti, senza esami finali. Poi ci sono stati i concorsi regionali, ecc. ecc.
E’ stato tutto uno scadimento, invece di un necessario aggiornamento. Ciò non toglie che ci siano ancora oggi professori bravi, ma lo Stato non offre nessuna garanzia.

In questo periodo in molte scuole superiori, per utilizzare le due ore che di solito i professori riservavano ai ricevimenti dei parenti, e non “sprecare” nessun soldo, hanno avuto l’idea di frantumare le cattedre e di dare qualche ora di una classe, unita a qualche altra di un’altra classe, ad uno stesso insegnante, variando l’accoppiamento l’anno successivo.
Non c’è niente di più deleterio, perché impedisce ogni programmazione a lungo raggio.
E’ il criterio della mobilità che va avanti, senza badare alle conseguenze.

Oggi i professori bravi hanno molte cose in più, ad esempio una seria apertura al mondo contemporaneo, e anche alla musica, al teatro, ecc., alle letteratura straniere, al mondo globalizzato, alla produzione extrascolastica.

I ragazzi. C’è di mezzo il computer, in cui i ragazzi sono maestri.
Questo da un lato è positivo perché permette immediatamente una ricerca a livello mondiale, ma
dall’altro erode la capacità critica, il senso vero della ricerca e soprattutto della complessità della cultura.
Su questo, però, non posso esprimere giudizi, perché sono una incompetente.
Quello che rischia di venir meno è la passione della lettura, che io ritengo fondamentale.

Un’ultima cosa. Ritengo che, ieri come oggi, sarebbe bene far collaborare i ragazzi, in modo che si aiutino fra di loro. Questa è una forza notevole: lo è stata ieri, lo è oggi, lo sarà domani.

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5 thoughts on “Lettera <em>da</em> una professoressa”

  1. Sono un ex alunno liceale della Professoressa Peri (sezione C, diplomato nel 1982). La considero un modello di serietà umana e professionale. Ricordo ancora che un giorno per rimproverarci della scarsa attenzione in classe, raccontò del suo passato di insegnante ad analfabeti calabresi, attenti alla sua lezione anche sotto gli ulivi. Per me, di umili origini, è stato un ulteriore stimolo a continuare a impegnarmi con serità negli studi. Grazie alla sua capacità di capire gli interessi veri di noi alunni, ho passato un’intera estate a consultare libri alla Biblioteca Nazionale sulla Repubblica Napoletana del 1799: ho imparato che studiare significa ricerca e approfondimento critico dei contenuti. Benchè avessi una passione per la ricerca storica, ho percorso gli studi di medicina ma lei è rimasta sempre un modello da seguire. Sarei molto felice se la professoressa potesse ricevere queste mie poche righe in segno di profondo rispetto e riconoscenza.

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    • Vedo solo ora questo messaggio e l’ho girato a mia madre, che ci tiene a farti sapere che si ricorda molto bene di te come di uno dei suoi alunni più brillanti e impegnati e che le farebbe piacere incontrarti e avere tue notizie dopo tanti anni. Se ti va vi metto in contatto (Chiara.peri@gmail.com)

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      • Anche io ho cercato un contatto con la professoressa tramite un mio collega in ospedale a Velletri: il dottor Anastasi. I miei recapiti sono: Cell. 3392371293, e.mail: marcellopicchio@libero.it. mi farebbe veramente molto piacere ncontrste la professoressa.
        Saluti, Marcello Picchio.

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  2. L’onestà intellettuale e il rispetto profondo dei ragazzi. Al di là delle nozioni apprese, queste due cose per me hanno fatto la differenza per me fra l’esperienza delle scuole medie (in cui avevo una professoressa di italiano e matematica che ci trasmettevano questo) e quella delle superiori (in cui qualche volta mancava la prima, e qualche volta anche il secondo). E’ veramente bello quando incontri una persona come la professoressa Peri.

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  3. Ho i brividi. Non so come spiegarlo ma in queste parole sento un’atmosfera che mi provoca malinconia, anche se non l’ho mai vissuta…qualcosa che ha a che fare con la capitale, la cultura, gli anni 70, la poesia e anche lo Stato buono, quello che ti accoglieva dando a tutti l’istruzione necessaria alla libertà dal bisogno e soprattutto alla crescita personale: pensieri allo stesso tempo figli di un’epoca e senza tempo. Ecco forse che cosa leggo: fare un mestiere con amore, accoglierlo ed esserne accolti, essere parte di un tutto importante.
    I miei sono pensieri sparsi, di una figlia degli anni ’80, atterrata nel mondo del lavoro quando il sistema che aveva promesso bugie, mostrava la corda. Vedere attraverso questi occhi quello che ho perso, prima di averlo, mi emoziona molto.

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