Io sono razzista. Il bias implicito.

Il bias implicito è alla base dell’atteggiamento primordiale istintivo che ci permette di prendere decisioni rapide in situazioni di pericolo. E’ quello che ci permette di catalogare in fretta persone o situazioni come buone o cattive, pericolose o tranquille. Ognuno di noi è in qualche modo condizionato da questo bias, ma la consapevolezza aiuta a razionalizzarne l’utilizzo e impedire di farci sopraffare da stereotipi. 

Una volta di 18 anni fa, prima di emigrare in Svezia, ci capitò una piccola esperienza dalla quale abbiamo imparato molto. Un paio di scarpe nuove si sono scollate dopo averle indossate una volta sola. Da bravi studenti in bolletta, le abbiamo riportate indietro, ma i proprietari del negozio ci hanno risposto di arrangiarci. Allora abbiamo attuato un piano diabolico: ci siamo vestiti bene, giacca e cravatta lui, come delle persone serie, e siamo tornati con le scarpe in mano di sabato pomeriggio quando il negozio era pieno di gente, pronti ad effettuare un nuovo reclamo. Sapete già come è andata a finire? Naturalmente il proprietario ci ha cambiato immediatamente le scarpe, scusandosi per il disguido.

Bias implicito e stereotipi

Foto ©Gary Millar usata in licenza creative common
Foto ©Gary Millar usata in licenza creative common

Esiste un meccanismo primordiale che pur non giustificandolo, arriva comunque a spiegare il motivo per cui siamo tendenzialmente razzisti. Si sto parlando anche di te che leggi questo post con l’aria di chi è superiore, e sto parlando anche di me che lo scrivo, pur con molta consapevolezza.
Si tratta di un istinto che ha lo scopo di aiutarci a preservare la nostra stessa vita. Gli psicologi lo chiamano bias implicito e non siamo sempre consapevoli di averlo.
Proviamo per un momento a proiettarci in una foresta di millemila anni fa. Siamo soli, fa freddo, abbiamo fame e per questo ci siamo spinti oltre la zona a noi familiare. Improvvisamente ci troviamo di fronte ad un altro essere vivente mai visto prima. Il nostro cervello ha frazioni di secondo per decidere se considerarlo un amico o un nemico. Deve farlo utilizzando i pochi mezzi che ha a disposizione, in un lasso di tempo che non permette analisi approfondite, non concede discussioni o ripensamenti. Fare la scelta sbagliata può costarci la vita.
Il cervello si aggrappa quindi a schemi precostruiti, che sono generalmente basati su grandi approssimazioni, sulla distinzione tra “cosa nota” e “cosa ignota” ovvero su esperienze pregresse. Abbiamo solo frazioni di secondo per decidere se è un amico o un nemico e non possiamo soffermarci ad andare oltre le caratteristiche fisiche più evidenti.

Questo è a grandi linee il senso dell’esistenza degli stereotipi: dovrebbero permetterci di distinguere velocemente tra buono e cattivo. Nella società moderna le cose non sono così semplici, la società è più complessa e le distinzioni tra buono e cattivo sono molto più difficili da fare. Il meccanismo istintivo però è sempre attivo, e si adatta come meglio può per cercare di fare classificazioni, ordinare sensazioni, semplificare la complessità attraverso associazioni rapide quanto semplicistiche: “bianco-buono”, “donna-inferiore”, “uomo-pericoloso” (soprattutto se sei una donna che gira da sola di sera in una strada deserta), e così via.

E’ importante notare come lo stereotipo, o gli stereotipi che utilizziamo per prendere questa decisione istintiva, sono diversi a seconda della situazione, del momento, e di chi siamo noi, e questo dipende appunto dalla complessità della società e delle situazioni in cui ci troviamo ad usare questo meccanismo. Ossia non sono bias universali, anche se alcuni sono bias trasversali (ad esempio quelli di genere, per cui uomini e donne occidentali mediamente utilizzano lo stesso stereotipo nei confronti delle donne).

Questo bias implicito inconsapevole nella complessità della società moderna è un meccanismo fallace, e che il più delle volte ci porta a prendere decisioni semplicemente sbagliate.

Cosa ci condiziona di più portandoci ad affidarci al meccanismo di bias inconsapevole? E se è inconsapevole cosa possiamo fare per evitarlo?

Prendere coscienza dei propri stereotipi

Prima di tutto prenderne coscienza. Proviamo ad osservare le nostre reazioni di fronte alla presenza di un bambino straniero nella classe dei nostri figli. Come trattiamo un mendicante per strada? Come reagiamo di fronte ad un gruppo di mamme che fa scelte educative diverse dalle nostre? Cosa pensiamo degli omosessuali o dei transgender? Come ci comportiamo quando vediamo una persona disabile in autobus?
Se pensate di non essere razzisti, prendetevi qualche minuto per fare un test.
The Implicit Association Test sviluppato ad Harvard ha proprio lo scopo di valutare il livello di “razzismo implicito” ossia di associazioni e stereotipi che ognuno di noi utilizza per razza, religione, genere, età o orientamento sessuale.
Io mi sono divertita a farlo, per conoscere il mio condizionamento inconsapevole sulle donne e la scienza, e ho scoperto di avere una leggera predisposizione nel pensare che gli uomini siano meno adatti delle donne ad occuparsi di scienza. Nel mio caso insomma, lo stereotipo non è troppo condizionato dalla cultura diffusa, che tende a predire l’esatto opposto, ed è forse più condizionato dalla mia esperienza personale.

Prendere tempo di fronte a decisioni importanti

La mancanza di tempo è il nostro peggior nemico. Proprio perché si tratta di un meccanismo istintivo, incontrollabile che agisce nell’arco di una frazione di secondo, se abbiamo poco tempo a disposizione, è più facile affidarci al nostro “istinto” invece di approfondire la faccenda. La mancanza di tempo è tipica delle situazioni di pericolo, reale o percepito, ed è quindi strettamente legata alla paura. Situazioni in cui è necessario agire velocemente, ad esempio se sei un poliziotto che pattuglia le strade di uno stato americano in cui il numero di armi da fuoco in mano ai cittadini è altissimo, e ti trovi di fronte ad un gruppo di ragazzi di colore, e hai una fottuta paura che gli altri spareranno prima di te. Ma la mancanza di tempo non è tipica solo delle situazioni di pericolo, spesso è legata più semplicemente allo stress. Ad esempio nel caso in cui siamo responsabili di assumere qualcuno per un posto di lavoro, e abbiamo ricevuto centinaia di CV da analizzare, e abbiamo anche un mucchio di lavoro di altro tipo da svolgere. Il tempo da dedicare per la selezione di una short list di candidati è minimo, e sarà facile utilizzare schemi e stereotipi per fare prima (partendo ad esempio dall’assunto a priori che una donna non sia un buon ingegnere, o che un uomo non possa essere un buon insegnante, o che una persona di colore non sia adatta a svolgere mansioni di concetto, eccetera).
Attenzione, anche se razionalmente, leggendo queste righe, pensate che voi assolutamente non siete così e che non ci pensereste mai, potreste essere condizionati da questo meccanismo istintivo più di quanto pensate, provate a fare il test!

Ci sono centinaia di studi in cui i bias impliciti sono stati misurati su varie categorie di persone in ambiti totalmente diversi. Sono famosi gli esempi in cui due versioni dello stesso identico CV con l’unica variante nel nome del candidato maschile o femminile, viene distribuito a delle persone che devono valutarlo, e puntualmente il CV dell’uomo è valutato meglio di quella della donna. Meno famoso è forse il caso delle audizioni cieche effettuate per un orchestra sinfonica. Semplicemente nascondendo i candidati a suonare il loro pezzo nascosti dietro una tenda, ha portato ad un aumento del numero di donne selezionate dalla giuria rispetto alle audizioni tradizionali. Test simili sono stati effettuati confrontando le probabilità di essere chiamati per un colloquio con CV identici ma di persone appartenenti ad etnie diverse. Altri test hanno evidenziato un comportamento diverso in medici per la diagnostica di malattie su afro-americani rispetto a bianchi. La lista può continuare all’infinito, ed è facile immaginare che si estenda veramente ad ogni ambito, una maestra a scuola con alunni di etnia diversa, un impiegato ad uno sportello pubblico che tratta in modo diverso un giovane rispetto ad un anziano, o un negoziante che valuta diversamente uno studente squattrinato che gli riporta un paio di scarpe scollate, rispetto ad un signore in giacca e cravatta 🙂

Quattro consigli per superare gli stereotipi

Una volta presa coscienza del nostro livello di razzismo implicito, possiamo adottare alcune tecniche per impedire che questo condizioni le nostre scelte in modo sbagliato, oltre che, a lungo andare, aiutarci a modificare la nostra visione stereotipata.

1. Prendetevi tempo. Tempo di guardare ogni CV prima di decidere chi assumere, o tempo di conoscere una persona prima di esprimere un giudizio in merito, tempo di capire se il nuovo compagno di classe di vostro figlio non abbia qualche aspetto speciale da offrire

2. Fate una lista oggettiva delle caratteristiche che pensate siano importanti in un amico (o in un dipendente, o in un alunno), e valutate se la persona che dovete/volete giudicare ha quelle caratteristiche oppure no.

3. Spingetevi oltre i vostri limiti. Se sapete di esser prevenuti verso le persone obese, provate a frequentarne alcune. Se sapete di essere prevenuti verso le persone religiose, provate a parlare con uno di loro per capire il suo punto di vista. Più entrerete in contatto con chi non conoscete, più imparerete a conoscerlo, diminuendo di conseguenze i vostri pregiudizi nei suoi confronti

4. Imparate a chiedere scusa. Quando la fretta o una situazione di stress vi fa agire in modo sbagliato, abbiate il coraggio di chiedere scusa. Già solo da questo atto potreste imparare moltissimo, e potrebbe aiutarvi ad accorciare le distanze.

Il fatto di essere tutti implicitamente razzisti in qualche ambito, chi più chi meno, non ci autorizza ovviamente a comportarci in modo razzista. Prima di tutto perché sono sbagliati gli stereotipi su cui basiamo il nostro razzismo, e poi perché il nostro razzismo ci porterebbe inevitabilmente a fare scelte sbagliate. Però credo che sia importante partire da una presa di coscienza di quelli che sono i nostri limiti come individui, e dei principi che possono guidare il comportamento istintivo nostro e di chi ci sta intorno. Non siete d’accordo anche voi? #noisiamodipiù

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10 thoughts on “Io sono razzista. Il bias implicito.”

  1. Fatto. 3 in italiano e 1 in inglese.( Leggera preferenza per “le altre persone” rispetto gli “arabi musulmani” e neutrale negli altri).
    “Illuminante”… Ma davvero tanto! Grazie.
    Quanta strada ancora da percorrere. : (

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    • Grazie a te Miriam per essere tornata a dirci il risultato del tuo test. Il senso di questo post era proprio quello di prendere coscienza di quanta strada abbiamo ancora da fare persino noi, che ci crediamo non razzisti. Interessante il fatto che il risultato è diverso nelle due lingue, segno che i linguaggio stesso colpisce nell’inconscio molto più di quello che pensiamo. Non è inusuale ad esempio trovare più semplice affrontare certi discorsi in una lingua diversa dalla lingua madre in cui alcuni meccanismi istintivi vengono mediati e razionalizzati, rispetto a quello che succederebbe nella propria lingua.

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  2. Ottimo articolo Serena e verissimo il commento di @lorenza.
    Vero anche che si può essere “razzisti” in tanti modi. Per dire: ci sono anche neri xenofobi e omosessuali eterofobi. Così come chi è di sinistra spesso non dialoga davvero con chi è di destra.
    Solo un punto non incontra la mia esperienza: quando ci si scontra su un punto fondamentale su cui ci sentiamo irremovibili (tipo la religione), secondo me il dialogo finisce per diventare un inutile scontro dialettico, dunque la risolvo con un “questa cosa di te non la capirò mai, ti voglio bene senza riserve e capisco che la tua esperienza è diversa dalla mia, ma su questo punto è perfettamente inutile che tentiamo di convincerci vicendevolmente”

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    • Polly la mia esortazione a parlare con chi è religioso in caso ci si scopri razzisti nei confronti della categoria, è proprio quella di imparare a rispettare le idee altrui, per arrivare a dire capisco che la tua esperienza è diversa dalla mia, e lo rispetto e posso comunque parlare con te di altro. Ovviamente vale anche per chi è religioso ed ha un atteggiamento intollerante verso chi è ateo. Imparando a conoscersi si può scoprire che anche gli atei hanno una morale, e anche se magari non coincide completamente con quella religiosa potrebbe avere molti più punti in comune. Il tentare di convincere altri della propria opinione non è una forma di rispetto.

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  3. Io combatto contro il razzismo (il mio) da sempre. Sarà che provengo da una famiglia piccolo (piccolo) borghese lombarda, dove il razzismo per i meridionali era la norma (quante litigate con mia nonna quando diceva: è terrone ma è una brava persona…), ma da sempre mi impongo di evitare i giudizi preconcetti.
    Credo però che sia necessaria una prova pratica: si fa presto a dire di essere aperti se non si hanno contatti con altre realtà o se sono contatti “filtrati”. Ricordo il film “Bianco e Nero” dove la protagonista sfoggiava un atteggiamento di tolleranza e accoglienza, salvo poi rivelare un razzismo vecchia maniera nel momento in cui il marito la tradisce con una donna di colore.
    Per noi sarà un’occasione importante l’ingresso dei miei figli nella scuola pubblica, dove troveranno una realtà eterogenea (di etnia e di censo), spero che imparino che è normale e interessante essere di colori diversi .

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    • Grazie Lorenza, hai colto il segno. Uno dei miei crucci è proprio quello di vivere in una zona in cui c’è pochissima mescolanza di etnie e censo. Speriamo di riuscire ad ovviare in altro modo.

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  4. Come forse sai tengo corsi di interculturalità per personale di multinazionali che vengono mandati ad Amsterdam o devono andare in Italia o altri paesi e quindi molti degli esempi e delle ricerche che citi li conosco bene. Vedo inoltre funzionare proprio nel momento che si svolgono molti di questi meccanismi quando faccio d interprete per gruppi internazionali, come ad esempio i comitati aziendali europei, dove oltre al confronto tra colleghi di diversi paesi c’ è anche la contrapposizione sindacalisti-management.

    E comunque quella di mandare i CV con le mie informazioni cambiando nome e luogo di nascita è una tentazione che mi è venuta tante volte nei primi anni di Olanda, quando rispondevo appunto a tante posizioni per cui cercavano gente e non mi invitavano mai a colloqui. Sicuramente in buona parte ero io a non capire a quali domande reagire con le mie competenze, in tanti altri casi, boh.

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    • E’ anche per tutto questo che il ruolo di mediatore culturale è fondamentale. Alcune multinazionali ce l’hanno ben chiaro e cercano figure professionali apposite, ma sarebbe bello che gli insegnanti facessero formazione in questo ambito, soprattutto quelli che lavorano in aree ad alta immigrazione.

      Per il CV ti dico la verità che non so se ce la farei a mandarne uno cambiando nome, però so che in Svezia alcuni immigrati hanno cambiato nome all’anagrafe proprio per questo motivo, e da quando si chiamano Andersson caso strano trovano lavoro.

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