Incentivi economici agli studenti?

letturaE’ giusto pagare i figli per leggere dei libri? Qualche tempo fa parlavo con una mia amica di come riuscire a convincere i nostri figli a leggere da soli, oltre quello che devono fare per compito. Lei mi ha confidato il suo segreto: per ogni mezzora di libro letto, il figlio conquista tempo per i videogiochi.
Lei era molto soddisfatta di questo metodo, dichiarando che aveva risolto due problemi. Da un lato a discussione per il tempo dedicato ai videogiochi, dall’altro il figlio legge sempre meglio e acquista sicurezza nella lettura.
Io sono rimasta un po’ stupita, visto che l’idea di dare un incentivo ai miei figli per fare una cosa che ritengo piacevole non l’ho mai presa in considerazione. La mia reazione a caldo è stata quella di pensare che così facendo si toglie ai bambini la scoperta del piacere della lettura, e che la lettura venga vista solo come moneta di scambio per ottenere qualcosa che valutano più divertente. Inoltre mi sembra di mettere delle etichette in questo senso alle varie attività (leggere è noioso e quindi devo compensarti per farlo). Insomma la cosa non mi ha convinto completamente e mi è venuta una gran voglia di giudicare.

Quindi mi sono messa a studiare la faccenda.

Ho così scoperto gli studi fatti da Bradley M. Allan and Roland G. Fryer che hanno condotto esperimenti su studenti americani per verificare se le teorie di base dell’economia potessero funzionare anche condizionando i meccanismi dell’apprendimento. Agli studenti è stato quindi offerto un incentivo economico per migliorare la loro performance scolastica. Gli esperimenti sono stati condotti in varie città, e con studenti di età diverse, ma soprattutto con modalità differenti. Alcuni studenti venivano premiati per gli inputs, ossia per azioni che sono considerate positive per l’apprendimento (leggere libri, arrivare in orario a scuola, comportamento in classe) altri per outputs, ossia per il raggiungimento di obiettivi (superare i test con un certo voto).

Ad esempio, studenti di seconda in una scuola di Dallas ricevevano 2 dollari per ogni libro letto e per rispondere ad un semplice test di verifica che il libro fosse stato letto sul serio. Il risultato è stato un aumento diretto del numero di libri letti per alunno che è risultato a sua volta in un aumento della capacità di lettura.
Studenti di quarta a New York City sono invece stati pagati in base ai risultati dei test, guadagando soldi a patto raggiungere un voto alto in un test. Il risultato è stato che nonostante l’entusiasmo iniziale gli studenti non hanno migliorato i risultati ai test finali.

I risultati di questi esperimenti hanno quindi evidenziato dei meccanismi interessanti:

Incentivare l’impegno è meglio che ricompensare i risultati. Quando l’incentivo è su cose pratiche e ben definite che dipendono esclusivamente dalla volontà dell’alunno c’è un risultato positivo. Ai bambini è chiesto di leggere i libri o di andare a scuola (in aree in cui c’è una bassa frequentazione scolastica) e quello lo sanno fare, e lo fanno. Quando l’incentivo è sui risultati, non si misura nessun effetto positivo. Le domande poste agli alunni pagati in base ai risultati hanno rivelato infatti che i ragazzi non avevano la minima idea di come migliorare la loro performance. Hanno risposto cose tipo “devo rileggere bene le domande del test” o “devo controllare le mie risposte” ma nessuno ha detto “devo leggere meglio il libro di studio” o ha pensato che una soluzione potesse essere di chiedere aiuto all’insegnante per capire argomenti difficili.

L’incentivo deve riguardare skills che gli studenti hanno. Pagare gli studenti per leggere libri ha portato ad un miglioramento marginale nella loro capacità di lettura. Pagare perché si comportino bene non ha portato miglioramenti significativi. Immagino che questo possa dipendere dal fatto che quei bambini non sanno comportarsi bene, o forse il loro comportarsi male è legato a altre mancanze, skills di gestione di conflitti, emotività, situazioni famigliari difficili, cose insomma che loro stessi non sanno come risolvere. E quindi l’incentivo economico non porta nessun vantaggio.

Agire su più fronti. Quando gli incentivi riguardavano sia gli studenti, che gli insegnanti e i genitori, e quando altri fattori collaterali venivano messi in gioco, i risultati erano migliori. Sarebbe interessante sapere però se i miglioramenti sarebbe stati tali anche senza incentivo economico, ma agendo contemporaneamente su tutti i fronti. Una scuola migliore, in cui insegnanti e genitori collaborano, aiuta l’apprendimento degli studenti e la loro motivazione a prescindere.

Allineare il motivo di incentivo economico al risultato che si vuole raggiungere. Nel momento in cui si paga per gli input e non per i risultati, è importante sapere identificare quale comportamento o azione può contribuire al raggiungimento del risultato voluto. Leggere tanto per leggere o leggere per capire? Leggere libri brevi o lunghi? Se si paga per svolgere addizioni e si testa la capacità sulle moltiplicazioni, nonostante il miglioramento in un certo ambito matematico, l’incentivo potrebbe non risultare in un aumento delle capacità di risoluzione del test.

Quindi se si paga per un comportamento che sappiamo porterebbe a migliorare l’apprendimento, invece che per il risultato raggiunto può funzionare, a patto di riuscire a identificare tale/i comportamento/i.
Resta quindi un dubbio: pagare un bambino per ogni libro letto, diminuirà la sua motivazione intrinseca portandolo a perdere interesse per la lettura?
Per verificare questa ipotesi R.G. Fryer ha sottosposto ad un test di motivazione intrinseca un campione di bambini che aveva partecipato al programma di incentivi e un campione di riferimento che non aveva partecipato. Il confronto non ha dato risultati statisticamente significativi, e i due campioni sono risultati avere la stessa motivazione intrinseca. Ovviamente sarebbe bene effettuare lo stesso esperimento utilizzando più tipi di test di motivazione e ripetendo le misure dopo periodi di tempo più lunghi.
Un’altra domanda che resta aperta è il confronto tra i risultati dell’incentivo economico si paragona a quelli raggiunti da altre tecniche di motivazione, e quanto incide sulla spesa di uno stato per la scuola. E’ un sistema più economico di altri per migliorare la performance degli studenti?

Vi dico la verità, nonostante la lettura di questi esperimenti non mi sono entusiasmata troppo.
Identificare quella che è la task migliore potrebbe non essere così semplice: il successo nello studio è una faccenda complessa, con molte sfaccettature, e il risultato dipende da molti fattori. Se però si considerano piccole tappe, probabilmente un meccanismo di incentivazione potrebbe essere utile, e per questo mi vengono in mente considerazioni già fatte su questo sito sul premiare i bambini per un certo comportamento. Una cosa è certa, premiare i figli con un regalo se portano un buon voto da scuola, non è una tecnica vincente. Però resto comunque perplessa, e dopo qualche riflessione non mi sento pronta a pagare mio figlio per leggere dei libri, né in denaro, né in cambio di ore di videogiochi, e sono tutto sommato contenta che non lo faccia nemmeno la scuola.

Voi che ne pensate?

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9 thoughts on “Incentivi economici agli studenti?”

  1. Tra le storie che ho deciso di mettere da parte per meditarci su c’è questa che non so nemmeno se sia una storia vera e forse non è nemmeno importante che lo sia: ai tempi dell’università, un mio amico aveva una ragazza che veniva finanziata dai genitori sulla base dei risultati ottenuti. All’epoca, i voti erano in trentesimi, il numero di esami contenuto, i prezzi in lire. Un trenta equivaleva a tre milioni, un diciotto a 1.800.000. Non si trattava di una ricompensa extra, ma della cifra con cui gestire le spese a partire dal secondo anno, secondo la logica del “ti pago sulla base della qualità del tuo lavoro”. Un trenta quindi equivaleva più o meno a 10 mensilità d’affitto, mentre un diciotto bastava solo per sei mesi. E all’affitto bisognava sommare le tasse, il vitto, i trasporti, i libri, le fotocopie.
    Ripeto, non sono sicura che si tratti di una storia vera, ma un sistema simile applicato alla mia esperienza non avrebbe prodotto una cifra inverosimile, mi avrebbe permesso di non lavoricchiare sottraendo tempo allo studio per pagarmi gli sfizi e forse mi avrebbe dato quella motivazione in più per tentare un esame per il quale non mi sentivo abbastanza preparata. Non lo trovo molto dissimile da un prestito o un investimento per il quale bisogna produrre delle garanzie.
    Rapportato al mio corso di laurea quinquennale attuale e stanziando 500 euro a punto, la media del 28 corrisponderebbe a circa 600 euro mensili per cinque anni. Vi sembra una cifra ragionevole?
    P.S.: l’ex ragazza del mio amico, a cui non so se si riferisca questa leggenda, si è effettivamente laureata in ingegneria in tempi e modi consoni.

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  2. Mi da l’idea, almeno per quanto riguarda i bambini che frequentano le elementari che, più che il premio o il soldino, funzioni la competitività tra compagni di classe. L’anno scorso la maestra inaugurò un periodo di lettura, promettendo una menzione d’onore, su una lista qualsiasi, ai primi 5 che avessero letto un libro a propria scelta. Funzionò davvero, mai visto tanto entusiasmo in mia figlia per la lettura

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    • @deborah eppure la competitività sul piano individuale non è una buona strategia per i bambini che non riescono a stare al passo, e che di conseguenza si sentono sempre frustrati, e crescono con una bassa autostima in qualità di studenti. La competitività di gruppo invece funziona bene per tutti. Quindi ad esempio il raggiungimento di un obbiettivo per la classe, tipo vediamo se riusciamo a leggere 40 libri in totale entro la fine dell’anno. A scuola di mio figlio hanno riempito un grande recipiente di vetro di biglie: una biglia per ogni libro letto. Era un obbiettivo per tutta la scuola, ed è stato stimolante per tutti, bravi e meno bravi.

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  3. l’ altro aspetto, quello sul pagare per ottenere dei risultati, ci credo, non ci credo? Io direi che se dai un compito ben descritto, circoscritto e con una tempistica chiara e breve, potrebbe funzionare. La domanda però, anche la mia è: se dai lo stesso compito breve, circoscritto, in tempi brevi e con gratificazione finale, devi proprio pagare per ottenere lo stesso risultato? Mi piacerebbe saperlo.
    Io ho iniziato a studiare seriamente e fare i compiti solo all’ università e solo perché mi ero scelta una facoltà, lingue, molto affine ai miei interessi. Ma c’ erano altre due molle potenti: me ne dovevo andare da mio padre e dall’ Abruzzo. Da giugno a ottobre lavoravo in albergo 15 ore al giorno e non ho mai saltato una sessione, mi sono laureata con 100, lode, dignità di pubblicazione e pianto commosso della commissione, ma il voto non è mai stato il motivo per cui studiavo, quello vero era l’ emancipazione. IO dovevo uscire da quell’ albergo e laurearmi era l’ unico modo che vedevo come uscita. L’ anno che mi hanno pagata per fare l’ università, ovvero l’ anno dell’ Erasmus in Olanda, ho dato 12 esami (me ne riconobbero 3, ulteriore motivazione per cavarmi di torno al più presto). Quindi si, pagare aiuta molto, ma non so se lo sia per i presupposti che mi venivano insieme alla borsa di studio, per la serenità di potermi dedicare solo a cose che amo o altro. Dico solo che mi ha cambiato la vita per sempre.

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  4. Vorrei scindere la mia risposta in due aspetti, uno sugli incentivi alla lettura, che visto il modo in cui si sta narrativizzando l’ approccio scolastico e un mucchio di altre attività cognitive (non dico storytelling, ma ci siamo capiti). Quindi la lettura è sempre di più un’ abilità fondamentale, mentre, ad esempio, la bella calligrafia che pure una volta era materia fondamentale e, sembrava, insostituibile, nel frattempo abbiamo visto che fine ha fatto. Allora, sono perfettamente d’ accordo sull’ approccio integrato e di gruppo che dite voi, Serena e Supermambanana, perchè qui in Olanda lo fanno e vedo che funziona. A parte le biblioteche di quartiere, quelle scolastiche, e le visite alle stesse come attività regolare genitori e figli, le scuole e le biblioteche organizzano un sacco di cose per stimolare, premiare e rendere gratificante la lettura. Io stessa avendo fatto la mamma lettrice a scuola, ed essendo stata casualmente presente alla lezione di un’ altra volontaria agli stessi bambini un anno dopo, mi sono resa conto che anche quei 10 minuti a settimana seduti accanto a un adulto a cui leggere dei raccontini divisi per grado di difficoltà, fanno miracoli. Anche i libri di lettura a scuola sono divisi per livelli secondo un sistem adottato dagli editori, per cui in biblioteca o dovendo fare un regalo a un bambino, basta sapere a che livello sta leggendo ora e si trova un libro che non rischi di diventare troppo frustrante. vero è che questi libri prodotti apposta sono di una noia mortale, aridatece i classici per la gioventù. Ma non si tratta di creare degli amanti della letteratura, si tratta di insegnare ai bambini un livello funzionale di lettura che li aiuti nella vita. Per esempio abbiamo ogni anno la settimana del libro per bambini, creata da editori, librerie e scuole, in cui per una settimana si lavora su un tema (lo scorso anno era Supereroi, e a scuola i maestri e i bambini potevano mettersi un costume da supereroe, a me è rimasto impresso il maestro di ginnastica con un mantello rosa sul tetto del container dei giochi in cortile ad accogliere gli scolari, quest’ anno era Sport e gioco e hanno fatto delle miniolimpiadi, c’ è stata la giornata in cui dovevano portare un gioco per esercitare la mente, e vai di scacchi, memory, giochini vari. Il tutto condito da titoli ad hoc, che poi restano in classe il resto dell’ anno per ritornarci sopra. Tutto questo, dimenticavo anche di dirlo, condito dai consultori pediatrici che fin dalla prima vaccinazione non fanno che ripeterti in tutte le salse quanto sia importante leggere ad alta voce ai bambini, anche a quelli di quattro mesi. Infatti uno dei regalini classici dei lontani conoscenti è il librettino tattile da portarsi nel bagnetto o da usare all’ asciutto, si infila in una busta e te lo spediscono a casa senza manco la scocciatura di passare per la posta.
    Funziona per le capacità di lettura? Pare di si.
    Funziona per appassionare la gente ai libri? Anche qui, l’ Olanda è un gran popolo di lettori, comprano libri e li prendono in prestito dalle biblioteche. Poi magari son le 50 sfumature, ma leggere leggono e i libri li comprano e li regalano.
    Tutti questi bambini da adolescenti lo fanno il salto verso la letteratura di qualità? Almeno l’ equivalente dei Promessi Sposi e altre perle della patrie lettere, per amore o per forza li leggono? Manco per sogno, tranne forse al ginnasio, per forza. Per la maturità devono portare la lista consigliata di letture, 10 o 20 titoli da scegliersi in una rosa stabilita dalle scuole e ovviamente tutti tra Multatuli o Hella Haasse e Leon de Winter si scelgono quest’ ultimo che parla di sesso, pompini e altro in linguaggio molto esplicito. Ricordo che l’ anno della maturità di mio cognato, il disgraziato decise di portare tutte le lingue come materia d’ esame facoltativa e gli toccò leggersi in un anno tipo 15 libri in francese, 15 in olandese, 15 in inglese e 15 in tedesco, che poi alla fine per forza alcuni glieli dovette leggere la madre e fargli il riassuntino, o leggerseli sul bignami. Ma è il pensiero che conta. Se non hai letto almeno 20 titoli di letteratura mondiale non sei pronto a fare la maturità, mi sembra un bel messaggio. Tutto questo, come si vede, senza compensi finanziari.

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  5. ecco, vedo che hai linkato il mio post in fondo, sulla grammatica inglese dell’elogio: una volta che i bimbi sono inseriti nella società-classe mi piace che il conto dei libri letti si trasformi in moneta di cui l’intera classe usufruisca (i “meriti” per la casa). Che diventi un incentivo individualistico (guadagno soldi per “me”) non mi trova molto in accordo. Ma del resto io non distribuisco neanche le paghette per dire 🙂
    Ma anche al di fuori del contesto comunitario, io trovo che metodi che spingano alla conquista di un target (come la National Reading Challenge che menzionavo qui https://genitoricrescono.com/cronache-da-una-british-summer/ ) funzionino molto bene, e si possono abbinare a premi in tema o a iniziative benefiche, col meccanismo della sponsorizzazione, cosa che hanno fatto i miei a scuola quest’anno: ciascuno poteva impegnarsi in una sfida, tipo leggere 5 libri in un mese, e si poteva far sponsorizzare da parenti e amici di famiglia (“3 sterline se ci riesci”!), con una formale promessa di pagamento raccolta su una scheda, alla fine della sfida, se avuto successo, i soldi raccolti da ogni bimbo sono messi insieme per un’iniziativa decisa a priori dalla scuola. Lettura, valore del denaro con le sponsorizzazioni, e attenzione al sociale, tre piccioni con una fava sola 🙂

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    • @Supermambanana mi piace l’idea di dare i soldi a qualche attività benefica. Mi chiedo però se questo funziona in UK dove già c’è un sistema di premi e di “case” e punti per le case, come ci hai spiegato tu in passato, ma se funzionerebbe in un sistema in cui non c’è questo spirito collettivo (vedi USA o Italia anche).Ma dello scambio tra mezzore di lettura e tempo conquistato ai videogiochi che mi dici? In un certo senso mi rendo conto che uno dei miei problemi principali è la monetarizzazione, eppure anche lo scambio non mi soddisfa del tutto.

      @Mammamsterdam per il tuo secondo commento direi che è più un discorso di borse di studio e di situazione tutta italiana in cui si resta in casa con i genitori durante gli studi universitari e oltre. Il che non ha a che fare direttamente con l’incentivazione economica.
      Sul primo commento direi che il punto è proprio quello: funziona per appassionare i bambini alla lettura? Forse no, perché il metodo di premio scelto non è allineato con l’obbiettivo, e forse non è nemmeno allineabile. La domanda è se facilitando l’operazione meccanica della lettura, il che avviene attraverso l’esercizio costante (magari incentivato economicamente) c’è un effetto secondario di appassionarsi. Ma credo sia difficile dimostrare questa correlazione diretta. Forse varrebbe la pena pagare i genitori per leggere libri ai figli piccoli, questo potrebbe essere più allineato al raggiungimento dell’obbiettivo 😉

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