Il piano del parto

piano-partoIo ho partorito entrambi i miei figli in una struttura per il sostegno del parto naturale in quel di Stoccolma. Si tratta di una struttura all’interno di un ospedale, in cui si seguono alcune regole e procedure che tendono a rendere il parto il meno medicalizzato possibile. La partoriente viene messa in una sala travaglio da sola, e non insieme ad altre partorienti in varie fasi più o meno avanzate, e quindi si risparmia prima di tutto le urla delle altre, poi ha più libertà e calma per concentrarsi sul proprio parto. Inoltre la partoriente può scegliere come muoversi, se muoversi, che posizione assumere e le vengono offerte tutta una serie di oggetti improbabili per trovare la posizione giusta e alleviare il dolore, tipo palle per saltare, materassi di varie forme, sedie, panchetti misteriosi, oltre alla possibilità di immergersi in acqua.
Il ginecoloco non entra in sala se non ci sono complicazioni di tipo medico, e la partoriente viene seguita da un’ostetrica che sta con lei nei tempi e modi scelti dalla donna (sempre a meno di complicazioni).
Proprio per tutta questa serie di scelte possibili, alla donna che partorisce viene richiesto di presentarsi in reparto con valigia e piano del parto.

In pratica si tratta di una breve descrizione di come vorremmo fosse il nostro parto ideale, che viene utilizzato come guida dall’ostetrica presente in sala parto per sapere come comportarsi nei nostri confronti.
Il mio piano del parto ad esempio includeva l’uso di qualsiasi metodo fosse possibile impiegare per alleviare il dolore: agopuntura, TENS, infiltrazioni di acqua sterile sottocutanee, e gas esilarante, ma allo stesso tempo dichiaravo che avrei preferito evitare l’epidurale, pur lasciando aperta la possibilità di farla. Inoltre il mio piano includeva la richiesta di essere informata di ogni decisione presa dal personale medico. Richiedevo la presenza di mio marito in sala parto. E richiedevo che l’ostetrica mi aiutasse attivamente suggerendo posizioni e aiutandomi nella respirazione.

Diciamo che il piano del parto mi ha aiutata a concentrarmi su questo momento e a fare mente locale su cosa avrei voluto, pur sapendo che al momento clou le cose possono cambiare notevolmente, e quindi cercando di non rimanere delusa se una parte del piano non fosse proprio andata come avrei voluto.
Il piano del parto infatti non è un contratto, ma solo una guida per farsi conoscere dall’ostetrica in una situazione in cui c’è spesso poco tempo per le presentazioni formali. Insomma appena varcata la soglia del reparto, mentre te stai li che inspiri ed espiri, lei si prende il foglietto che tuo marito prontamente tira fuori dalla valigia e se lo legge.

Mi è sempre sembrata una bellissima idea, e molto utile per tutti.
Al mio primo parto (prime contrazioni lunedì notte, nascita del Vikingo a mezzogiorno del giovedì) le ho provate un po’ tutte, fino a raggiungere l’epidurale anche in seguito a ossitocina a go-go. Il problema è che il parto dopo aver fatto l’epidurale si è fermato, e alla fine il Vikingo è stato tirato fuori con la ventosa.
Nonostante le innumerevoli domande poste a ostetriche e medici, mi è stato detto che era impossibile sapere se fosse stata l’epidurale a far fermare il parto, ma che pensavano fosse improbabile. Io ovviamente da brava mamma testona, mi sono comunque convinta delle seguenti cose:

1. il gas esilarante che ha preceduto l’epidurale non è stata una buona scelta. Ho perso il controllo, e il dolore ha preso il sopravvento. Il che mi ha fatto richiedere l’epidurale
2. se non avessi fatto l’epidurale non avrebbero avuto bisogno di tirarlo fuori con la ventosa

inutile dire che i medici con cui ho parlato hanno cercato di convincermi che non aveva senso fare queste ipotesi, e che ogni supposizione lascia il tempo che trova visto che io in quel momento urlavo e avevo chiaramente bisogno dell’epidurale. Ma tanto è che al secondo figlio nel mio piano del parto ho aggiunto che non avrei voluto usare il gas esilarante, e che avrei voluto evitare l’epidurale.
Sul meccanismo del dolore mentre ero incinta del secondo mi sono informata più che per il primo parto, ho letto, ho rielaborato, ho elucubrato a ruota libera (e se lo avete perso leggetevi quello che scrivevo pochi giorni prima). In seguito alle mie folli meditazioni sul tema del dolore, ho detto a GG con molta chiarezza verso la fine della gravidanza (e ripetuto al momento di salire sul taxi per andare in ospedale): non importa se ti urlo che voglio l’epidurale. Tu l’epidurale non devi farmela fare. Capito?

Ecco, solo una donna in preda agli ormoni impazziti, e che ha dimenticato il dolore del primo parto (unico motivo per cui si continuano a fare figli) può dire una cosa del genere. E il povero marito ha tentato di obiettare timidamente, ma poi ha deciso che era meglio annuire e farmi stare calma.
Il racconto del mio secondo parto lo potete leggere qui, quindi non entrerò più di tanto in dettagli. Ad un certo punto l’ostetrica mi ha detto “leggo nel piano del parto che non vuoi il gas esilarante. Perché?” Io le ho spiegato che la prima volta ho perso il controllo e non mi è piaciuto. Lei mi ha risposto che evidentemente ne avevo preso troppo, e che il trucco è proprio quello di prenderne quanto basta per calmare il dolore ma senza perdere il controllo. Mi lascio convincere, e quindi partiamo con il gas esilarante. Lei consegna la maschera a mio marito che ha il compito di togliermela nel momento in cui si arriva a metà contrazione proprio per evitare che io ne prenda troppa. Le prime tre contrazioni vanno bene. Ci stiamo riuscendo. Alla quarta contrazione crollo. All’apice del dolore quando lui sta per togliermi la mascherina lo fulmino con gli occhi, e lui non osa toglierla. L’ostetrica inizia a dire che così non va, e gli dice di toglierla prima la prossima volta. Arriva un’altra contrazione gli strappo la mascherina dalle mani e me la tengo stretta sul viso. Non so cosa sia successo esattamente dopo, so solo che l’ostetrica mi ha tolto la mascherina e io ho iniziato a urlare EPIDURALE!!!!
Ora potete immaginare cosa è passato nella testa di mio marito: cazzo! E ora? Mi ha confessato solo a posteriori di non sapere assolutamente cosa fare. Ricordandosi della mia minaccia si è trovato in un vicolo cieco.
Fortunatamente l’ostetrica a quel punto ci ha spiegato che non c’era tempo per l’epidurale quindi dovevamo procedere con la spinale, e così il marito poveretto ha tirato un sospiro di sollievo. Tecnicamente parlando infatti si trattava di altro, e quindi, non aveva ricevuto ordini assurdi da una donna a forma di pallone in preda agli ormoni impazziti.
Ormai sono passati due anni e ci si ride su, ma ovviamente quel momento lui l’ha vissuto con terrore.
Il piano del parto insomma si è rivelato un ottimo mezzo per rifletterci a priori, ma anche per avere poi la libertà di dimenticarselo quando ci si trasforma nella bestia umana che è la donna partoriente.

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93 thoughts on “Il piano del parto”

  1. Ciao Serena, non ho letto tutti i commenti.. Volevo solo dirti che il tema di questo mese mi fa pensare di essere molto fortunata: io ho partorito in ospedale di provincia del nord-est d’Italia. L’ho scelto per un unico motivo: perché mi avevano detto che il bambino appena nato viene subito dato tra le braccia della mamma e attaccato al seno. Mi sembrava bellissimo (le mie sorelle hanno entrambe dovuto aspettare che il bambino venisse portato al nido, lavato, vestito ecc ecc, prima di poterlo abbracciare… Assurdo!).
    Ma in effetti scopro che a quanto pare si tratta di un ospedale d’avanguardia: la prima parte del tuo post sembra una perfetta descrizione di quell’ospedale. (escluso il piano del parto, di cui ho scoperto l’esistenza solo ora che vivo a Londra!): sala travaglio in solitaria, che è poi anche sala parto, ostetrica disponibile a proporre ogni genere di posizione e “attrezzo” per alleviare il dolore, medici sempre fuori e disponibili solo a chiamata, epidurale a richiesta. Insomma cose così.
    Anche nella cara vecchia Italia 🙂

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  2. Luna
    Se in Svezia dici Che sei medico ti trattano pure peggio…non ho trovato Mai grande solidarieta’ nemmeno con il pediatra dei miei figli, solo col medico di base ho un ottimo rapporto e devo dire che e’ una dottoressa molto brava. Per il resto, non dico Mai a nessun medico Che sono un collega, a meno Che non mi chiedano Che lavoro faccio.
    Almeno in Italia avrei saputo dove andare…

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  3. Lucia, meno male che è andata bene….più o meno , diciamo…
    Mi meraviglio che, pur essendo medico (così ho capito) , non ti abbiano ascoltata a fare subito un tc , esponendoti ad un rischio così grande, aggravato dall’ipertono uterino da ossitocina.

    In ogni caso qua in italia sarebbe andata probabilmente allo stesso se avessi partorito in una di quelle strutture dove l’imperativo è il parto naturale o il “dobbiamo fare pochissimi cesarei, al di sotto del 15%” ….dove spesso si ottengono risultati simili.

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