I labirinti del rimpianto

E’ un tema particolare, quello di questo mese, che, come scriveva giustamente una lettrice qualche mese fa, ci dà l’occasione per guardare con un po’ di onestà le ombre di quella scelta che si fa o si può fare prima di decidere di poter essere o non essere genitori. Mettere un po’ di luce, in essa, nelle sue emozioni e sentimenti, per liberarla anche un po’.

Lo sappiamo: alcune scelte le facciamo riuscendo ad essere chiari e onesti con noi stessi pienamente, limpidi e cristallini nell’ascoltare e nell’accogliere quello che le riguarda, governando, come provetti direttori di orchestra, tutte le informazioni che le riguardano: provengano dal nostro livello razionale, da quello emotivo, o dalle sensazioni. Diamo loro la voce, una alla volta, facciamo in modo che si rispondano, si corrispondano e le accompagniamo a una conclusione che rispetti un’armonia in cui ci troviamo a nostro agio.

Altre decisioni invece possono radicarsi su aspetti ancora fragili di noi stessi, essere condizionate da situazioni di cui non possediamo la via d’uscita, di cui non possediamo tutti gli elementi di informazione per poterle davvero decifrare. Anche la gestione delle nostre stesse emozioni può essere condizionata da eventi del nostro passato, legami e relazioni viziate (penso ai rapporti di dipendenza e co-dipendenza) che non siamo pronti a risolvere, a sciogliere e ad apprezzare. Ma, lo sappiamo bene, la vita non aspetta che noi si sia pronti per chiamarci a una scelta o all’altra. Come un metronomo, ci chiama a suonare la battuta seguente, e allora prendiamo delle scelte o semplicemente agiamo e poi a un certo punto ci guardiamo indietro.

rimpianti materni
Foto Berend Botte utilizzata con licenza Flickr creative commons

Che cosa vediamo, allora? Ma soprattutto, con che occhiali, guardarsi indietro, per illuminare l’oggi?

Guardavo poco tempo fa l’Atlante delle emozioni pubblicato da Paul Eckam (l’ispiratore di Inside Out, per intenderci, e di Lie to me) e notavo come – al di là delle cinque emozioni su cui poi si è basato il film e anche molti post di questa rubrica, ne citi altre tre, l’orgoglio, la vergogna, la colpa, che mi sembrano tutti soggetti simpatici con cui tentare di fare amicizia in questo mese.
Sono diventata genitore ma non ne posso più.
Non sono diventata genitore e sto bene così anche se tutti dicono che
Non sono diventata genitore e mi manca un pezzo
Sono diventata genitore e sto bene così anche se tutti dicono che

Conosco bene, molti di questi pensieri, applicati a questo o all’altro ambito della nostra vita. Conosco i labirinti contorti dei sensi di colpa, abili a riportarti sempre al luogo di partenza, o in luoghi che sembrano, quelli di partenza, tenendoti in realtà fermo (Dr. Seuss lo chiamarebbe The Waiting Place), in attesa di risolvere il tuo duello contro te stesso se hai fatto o meno la scelta giusta per quello che sei.

Il fatto è che non esiste una partitura già scritta. Siamo noi, la partitura che si stende man mano che agiamo e di cui possiamo o meno riconoscere l’armonia segreta. Le emozioni difficili possono funzionare come il contrappunto speciale che fa emergere dal passato le note che abbiamo trascurato, le armonie che abbiamo perso. Devono e possono aiutarci a comprendere se un ambito della nostra vita sta soffrendo, ha bisogno di esprimersi.
Non sono giudici delle nostre scelte, sono segnali di parti di noi che vogliono solo essere un po’ ascoltate e farci scoprire una melodia nuova che solo noi possiamo comporre.

My two cents

Johnny vive intensamente come se un domani non ci fosse mai,
di rimpianti ne coltiva a volte, ma i rimorsi quelli mai
(I Nomadi, Johnny)

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