Genitori sufficientemente buoni

genitori-imperfettiL’altro giorno sfogliavo l’inserto di un periodico d’informazione locale nell’albergo dove lavora mio fratello, e una bellissima foto mi ha colpito. L’inserto era dedicato alle opere di artisti locali e la foto, nello specifico, rappresentava un uomo abbastanza giovane che dimostrava la mia età o poco più: trentadue, trentatré anni. Era tatuato e con i capelli rasati, e reggeva con grande delicatezza una bambina minuscola, appena nata. Ho adorato quella foto e ho messo in borsa una delle copie dell’inserto. Mi piaceva perché mi piacciono le rappresentazioni della realtà non stereotipate, le bellezze pasoliniane, se volete.
A casa, ho continuato a sfogliare e ho letto alcune delle “recensioni”, che volevano essere complemento “letterario” dell’iconografia.

La prima che ho letto era scrittura puramente estetica. Bella e arzigogolata, l’unica emozione che mi ha suscitato è stata la curiosità di sapere cosa mai l’interprete aveva voluto dire.
Poi ho letto la “recensione” della foto con l’uomo e la bambina e mi sono arrabbiata.

Parlava di due ragazzi di meno di trent’anni, della loro infanzia difficile, dei loro “errori”, del loro “randagismo” nel senso culturale del termine, credo. Parlava della nascita di una bimba prematura, considerata dall’autrice la loro unica speranza per mettere la testa a posto. Parlava del loro non sapere bene che fare, di quella bambina.

Ma il fatto è che nessuno sa bene che fare di un bimbo appena nato, neanche le coppie “regolamentari” e sposate, alle quali, in questo modo, si attribuisce indirettamente un paradigma che esse stesse non possono essere in grado di onorare.
Leggevo il testo, e pensavo che nella foto non avevo visto il randagismo, l’inconsapevolezza. Io avevo visto delicatezza, e tenerezza e protezione. Istinto.
Mi sono arrabbiata, primo, perché siamo nella provincia della provincia, e un conto è farsi ritrarre da un amico fotografo, sapendo che è un artista e che pubblicherà la tua immagine. Sono scelte, c’è chi le fa, più o meno consapevolmente. Altro paio di maniche è quando, sotto alla foto, c’è un’interpretazione sommaria della tua vita. Uno stigma.
Poi mi sono arrabbiata, soprattutto, perché ci sono scelte che fanno un male cane, e nessuno ha il diritto di giudicarle, per l’esigenza estetica di dar vita a un racconto mediocre.
Si parlava dell’infanzia difficile dei due neogenitori, dei parenti tossicodipendenti, di malattie e morti. E si ipotizzava che queste due persone forse non sarebbero mai divenute davvero adulte, se erano state così sole durante l’infanzia.

C’era garbo, nell’ipotesi di colei che ha scritto, certo.Ma il garbo non basta. Tu devi solo scrivere, non devi emergere, non devi ipotizzare, non devi dare opinioni. La scrittura più bella, secondo me, è quella silenziosa. Quella che restituisce un’immagine com’è, senza filtri, senza interpretazione.

Perché tu non lo sai, credo, cosa vogliono dire le visite a tuo padre in comunità e cosa vogliono dire i tuoi nonni distrutti dal senso di colpa. Tu non sai quant’è faticoso il percorso di rimozione dei fantasmi e non sai cosa vuol dire avere i conati di vomito per un prelievo di sangue, da adulti. Tu non lo sai, e non puoi ipotizzare che sia naturale la “caduta nel tunnel mitizzato fin da piccoli già attraversato dai parenti”. Qui dentro c’è un giudizio a cui non hai diritto.
Questo giudizio è pericoloso per tutti noi genitori. E’ un giudizio preconfezionato sui nostri figli. Un etichettamento. Una fabbrica di senso di inadeguatezza, anche per chi non ha alle spalle storie troppo sofferte o troppo complesse, che viene eletto in qualche modo depositario di una genitorialità “corretta”. Una genitorialità corretta che pesa come un macigno.

Questo giudizio nasconde anche un’impossibilità ideologica di concepire che non siamo meli e non generiamo mele: siamo persone e generiamo persone, tutte diverse. Non generiamo scatole vuote da riempire di ideologie forse anche sbagliate, non generiamo esseri dal destino predetto, che è quello di seguire le nostre orme.
Io alle mie figlie vorrei insegnare solo il senso critico. Nel frattempo, non posso essere neutrale e far finta di non avere idee mie proprie. Ma voglio che loro siano abbastanza intelligenti da sostenere, un giorno, che ho detto solo cavolate.
Però vorrei che fossero anche così mature da non pensare che ho fatto solo cavolate.
Così equilibrate da accettare che le scelte dei genitori, per forza, hanno ricadute sui figli, ma che anche non muoversi per non fare loro male sarebbe una scelta non priva di conseguenze.

Così consapevoli da accettare che noi genitori non possiamo che essere sufficientemente buoni, quando messi davanti ai nostri figli, ai bambini che siamo stati e ai genitori che abbiamo avuto.

– di Polly Wantsacraker

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22 thoughts on “Genitori sufficientemente buoni”

  1. Che dire? sono pienamente d’accordo su ciò che ho letto…Le mie figlie mi hanno(anche giustamente) criticata…ma mi hanno amata così come sono stata, una madre che ha cercato di amarle, senza far troppe cavolate e che nonostante tutto(inclusissimi tutti gli errori e i limiti) le ha cresciute ‘libere’.

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  2. come faccio a tacere la mia ammirazione per questo post?
    NOn sono però convinta sulla conclusione. Non si è tutti genitori sufficente buoni no matter what, ahimè. Però che lo possiamo essere no matter what was before, quello ci voglio, ci devo credere e mi fa un gran bene ricordarlo.

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  3. Tribunali dei minori diniego all’acquisizione degli atti alle parti decreti non notificati alle parti ed ai loro avvocati ma solo notificati agli operatori tramite fax cosa sta accadendo? chi ha responsabilità? un giudice che diniega l’acquisizione degli atti e soggetto a denuncia?

    sono il papà di una bambina che da troppi anni si ritrova a dover combattere contro quei mostri del SS che dicono di tutelare la minore ma non lo fanno per niente non aiutano per nulla al mondo la famiglia e negano alla minore di incontrare i parenti.

    aiutatemi vi prego e la mia unica bambina e queste persone stanno facendo di tutto anche carte false per portarmela via anche se io personalmente l’ho già tolta da una situazione di estremo pericolo.

    un padre distrutto fisicamente e moralmene

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  4. Condivido il senso dell’articolo e ne farò tesoro, perché credo che per natura siamo portati a classificare persone e comportamenti e a dare dei giudizi. Questi giudizi però non dovrebbero essere pre-confezionati…se da un lato è inengabile che sia più difficile trovare la propria strada in un contesto familiare e sociale difficile, questo non deve portare a pensare, se vedo una persona con tatuaggi e piercing, che debba essere chissà cosa. Alla fine è sempre una forma di razzismo.
    Penso però che riuscire a sentirsi persone o genitori “abbastanza buoni” vada al di là di essere vestiti precisi o meno, io potrei classificarmi come persona “normale”, con famiglia standard, mutuo etc., ma penso sempre di non essere “abbastanza” (presente, brava, paziente…etc).

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