L’età ingrata (la mia)

Adolescenza: l’età ingrata per antonomasia, quella degli sconvolgimenti ormonali, delle insicurezze, del passaggio dall’innocenza alla consapevolezza che i punti di riferimento passati vadano sostituiti con nuove scoperte. L’età matura: per molti versi una seconda adolescenza. 

foto Ritratto della Duchessa de la Salle, 1925 Tamara de Lempicka
foto Ritratto della Duchessa de la Salle, 1925 Tamara de Lempicka
Se avete figli adolescenti e siete il tipo di persona che di fronte alla paura dell’ignoto tende ad aggrapparsi ad una solida base razionale, vi consiglio vivamente la lettura di un bel saggio di David Bainbridge dal titolo Adolescenti. Una storia naturale.  L’autore è uno zoologo inglese e docente di anatomia clinica veterinaria, che affronta l’argomento con il tipico humour del divulgatore britannico, senza però fare sconti al rigore scientifico, poiché chiama a supporto tutte le discipline, dalla paleontologia alla biologia fino alla sociologia, per spiegarci perché i teenagers si comportano da teenagers. Di tutti gli aspetti interessanti che Bainbridge affronta, due sono quelli sui quali vorrei ritenere la vostra attenzione oggi, perché mi portano ad una terza riflessione, che riguarda però non più i nostri pargoli, ma noi genitori.

Il primo punto, fondamentale, è che l’adolescenza non è un’invenzione dei tempi moderni, ma una fase strutturale della crescita e dello sviluppo individuale. Se è strutturale, è lecito chiedersi che ruolo possa svolgere una tale sarabanda nel grande gioco dell’evoluzione; e qui veniamo al secondo punto, che è il nodo centrale del libro. In qualche modo, secondo l’autore, ciò che avviene durante questo delicato periodo è una sorta di ricomposizione del nostro complicato mosaico ormonale, fisico e neurologico. Tutta la complessità delle informazioni e delle cellule che ci compongono si rimettono in ordine, passando per un grande disordine, e ci preparano ad entrare nella fase adulta con “l’armatura” giusta. Dal mio punto di vista strettamente letterario-centrico, mi dico allora che forse non è un caso che tutta la letteratura di formazione (sia alta, fantasy, alta e fantasy, classica, young, distopica o come volete voi) racconti in forma simbolica il passaggio da uno stato di innocenza a uno di consapevolezza attraverso il necessario superamento di una crisi o di uno sconvolgimento, in cui si perdono i consueti punti di riferimento per ritrovarne altri.

Ciò che cambia davvero ai nostri giorni, che ci fa pensare che questa fase sia un’invenzione contemporanea, è il modo in cui ne valutiamo gli effetti collaterali, cercando di confinare i ragazzi in un limbo di protezione giocosa da cui sembra non debbano mai uscire, come se fossimo noi i primi a temere che crescano, che raggiungano il famigerato traguardo della maturità. D’altronde, questo traguardo sembra essere stato rinviato a data da definirsi anche per noi, che adulti lo siamo innegabilmente.

Non so se capita anche a voi, ma sempre più spesso mi ritrovo a vedere coetanei che si comportano come ragazzini. Non che sia un male in assoluto. Ciò che abbiamo vissuto rimane in noi per sempre. In qualche angolo della nostra testa e anche del nostro corpo noi avremo sempre vent’anni. Ma è chiaro che dobbiamo fare i conti con i fatto che da quei vent’anni ne sono passati altri venti e non possiamo fare finta che non sia vero. Ciò che vive in noi di quella fase deve trovare un modo di esprimersi che sia più creativo e fruttuoso di una mascherata o di un rimpianto senza senso.

E qui vengo alla mia terza riflessione. Mi piacerebbe un libro che spiegasse anche la mia età ingrata, che tanto somiglia, per certi versi, a quella descritta nel libro. Personalmente, sono preda degli ormoni almeno quanto mio figlio, mi allargo proporzionalmente a quanto lui si allunga, e subisco la crescita di peli in luoghi un tempo giustamente glabri. Inoltre, mentre lui fa ordine nelle sue conoscenze, io sono impegnata a fare ordine nelle mie esperienze molto (ma molto) più che ventennali. Tutti i nodi che non avevo sciolto si sono messi in coda per venire al pettine, ho dovuto fare i conti con le paturnie, le insicurezze, i ricordi repressi, i sensi di colpa, i rimorsi, i rimpianti e anche qualche ex-fidanzato. Quanto a capire dove mi porterà tutto questo, non so. Mi chiedo cosa sia l’età della maturità, a parte il mal di schiena e il fatto che faccio sempre più fatica a recuperare una notte bianca. Non credo che abbia a che fare, però, con qualcosa che sia anche lontanamente la sensazione di aver deposto le armi (e non solo perché  da qui ai prossimi vent’anni mi vedo ancora a trottare – e anche lo stato mi vede così, non so se per cinismo o allegra fiducia nelle mie capacità lavorative);  ma al raggiungimento di uno stato profondo, in cui possa assomigliare sempre più a quella che sono veramente: una versione soprappeso della me stessa a tre anni, più tutto quello che ho imparato e visto nel frattempo.

O anche, semplicemente, una persona che ha fatto i conti con tutto quello che non va e che non è andato, ma anche con quello che va bene, qualcuno che non ha paura di osare, di perdere ma anche di vincere, che non ha paura di insegnare, che non teme la competizione e il confronto, che non si pone schemi di bellezza, che non cerca di piacere, che si piace, che gode del suo corpo, conosce i suoi desideri e ne fa un uso sufficientemente saggio. Qualcuno, insomma, che ha voglia di vivere.

Se è questa l’età matura, non sembra affatto male.

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