Educare al pensiero critico

Uno dei compiti più difficili e allo stesso tempo importanti che a mio parere un genitore dovrebbe assumersi è quello di insegnare a pensare con la propria testa. Magari per qualcuno questa non è una priorità assoluta, ma io credo che proprio per la spinta all’omologazione che la società impone, il pensiero critico sta diventando una capacità fondamentale.
La capacità di pensare con la propria testa, o pensiero critico, fortunatamente può essere insegnata (e non è mai troppo tardi per esercitarla nemmeno per gli adulti, ma questa è un’altra storia).
La mia determinazione verso l’insegnamento ai miei figli del pensiero critico, crolla immancabilmente ogni volta che mi trovo ad impartire un ordine con nessuna voglia di metterlo in discussione e di affrontare tutta la serie di perché, percome, e ma, che puntualmente derivano 🙂
Però fortunatamente il morbo della Rottermeir non mi colpisce spesso (ok, diciamo non spessissimo) e riesco più o meno sempre a ricordarmi che preferisco che ragionino con la loro testa. Ma come si insegna il pensiero critico?
Sono certa che esistano fior fiori di manuali in merito, ma io per il momento sto andando un po’ ad occhio e mi regolo così.

In linea generale per me è importante insegnare a chiedersi il perché delle cose, facendolo noi per primi al posto loro soprattutto quando sono ancora piccoli. Chiedere perché pensi questa cosa, o come pensi che funzioni questo oggetto insegna al bambino a non dare nulla per scontato, nemmeno l’acqua che esce dal rubinetto di casa. Anche quando conosco la risposta alle domande li invito a ragionarsi per trovare una spiegazione plausibile. E’ evidente che la capacità di un bambino di elaborare spiegazioni e seguire ragionamenti complessi vagliando possibili scenari, aumenta con l’età. Per questo bisogna scegliere di mettere in discussione certe cose in base all’età e allo sviluppo del bambino.

E’ anche importante incoraggiarli a chiederci il perché, e dedicare tempo (quando lo abbiamo) a dedurre insieme una risposta. Di nuovo bisogna sempre tenere presente l’età e il livello di sviluppo e di conoscenze. Chiaro che se a 3 anni mi chiede perché il sole è in cielo non gli parto necessariamente con la spiegazione dei sistemi tolemaico e copernicano (ehm, ok magari è pure capitato 😉 ) però cerco di parlare del fatto che il sole è caldo, è fatto di fuoco, e “seconde te che succederebbe se il sole fosse qui sulla terra vicinissimo a noi?”
E di fronte alle domande e alla curiosità, evitare di dare risposte certe che chiudono il discorso e provare a rigirare le domande a lui. Chiaramente questo dipende dalla domanda che viene fatta, ma in moltissimi casi ci si trova anche di fronte alla situazione in cui non esiste una risposta univoca. Non sto parlando necessariamente di massimi sistemi, ma anche questioni molto terra terra possono aiutare a sviluppare uno spirito critico, tipo quale di queste cose è più dura, o più grande, o più piccola.

Di fronte ad una affermazione da parte dei miei figli provo a porgli la domanda perché o come mai pensi questa cosa, come sei arrivato a questa conclusione. Questo lo faccio anche se si tratta di una di quelle cose che mi fa alzare la pressione a mille, tipo: “le femmine non sono brave ad arrampicarsi”. Anche se il mio istinto mi farebbe urlare “cosa diavolo stai dicendo? CERTOCHELEFEMMINESONOBRAVEADARRAMPICARSI!!!”, cerco un approccio più efficace, del tipo, “ah, dici, e come mai pensi questa cosa?” A quel punto se la situazione lo consente magari provo a fargli esempi che non corrispondono a quello che lui ha affermato, ad esempio la sua amichetta X è bravissima ad arrampicarsi, tipo quella volta quando…, poi provo a ragionare insieme sulle possibili spiegazioni di certi comportamenti che lui ha notato, tipo sul fatto che le femmine di classe sua non giocano mai a pallone con i maschi in giardino. E si parte da lì.

Insegnargli che il modo in cui percepiamo le cose può dipendere dal nostro stato d’animo, o da una esperienza precedente. Un modo molto semplice per far capire questo concetto è di mostrare come la sensazione di freddo o di caldo dipende dalla temperatura del nostro corpo. Se veniamo dall’esterno in inverno e abbiamo le mani fredde, se tocchiamo un oggetto caldo questo ci sembrerà più caldo che se toccassimo lo stesso oggetto dentro casa. Questo può aiutare il bambino a mettere in prospettiva il relazionarsi con certe emozioni, quali la paura in situazioni poco familiari, o viceversa il sentirsi sicuri quando un ambiente lo si conosce bene, e gli errori di valutazione che possono derivare dal nostro stato d’animo.

La parte più difficile e delicata per me è invitarli a mettere in discussione l’autorità, anche quando l’autorità sono io. Quando io invito i miei figli a fare qualcosa, e loro si rifiutano, magari fingendo di non sentire quello che dico, ci troviamo proprio di fronte al confronto diretto. Allora gli spiego che possono chiedermi il perché di quello che sto dicendo, possono anche spiegarmi le ragioni per cui non vogliono farlo, e magari si discute insieme per trovare una soluzione accettabile. Quasi sempre. Gli spiego anche che ci sono situazioni in cui è importante che facciano subito quello che dico e magari poi ne parliamo a posteriori, ma che esistono situazioni in cui l’esperienza di mamma e papà è superiore alla loro e quindi ci permette di prendere decisioni che loro non sono in grado di prendere. Qui si entra nel discorso tra la differenza tra autorità e autorevolezza, ed è per questo che è un punto delicato, ma per me non meno importante.

In genere bisognerebbe evitare di dire frasi come “si fa così e basta”. L’approccio dogmatico è da evitare anche se riguarda un comportamento che vorremmo dare per assodato, come il “si saluta” o “si ringrazia”, ed è magari preferibile parlare dell’effetto che ha sugli altri. Si saluta non perché è buona educazione (cosa significa buona educazione?), non perché si fa così e basta, ma perché potenzialmente la persona che abbiamo di fronte sarà contenta del nostro saluto, o del nostro ringraziamento.

L’unica eccezione a questa regola per me è quella di non mettere il ketchup sulla pasta, quello non si fa e basta, perché lo dico io 😉

E voi come educate i vostri figli al pensiero critico?

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33 thoughts on “Educare al pensiero critico”

  1. Cresciuta a “si fa così perché lo dico io”, mi chiedo spesso se riuscirò ad evitarla questa frase. Però poi mi dico che tanto male non sono cresciuta e che forse anche se mi scappa ogni tanto, tipo per il ketchup sulla pasta, non succederà niente di grave 😉

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  2. Il mio la fa in piedi solo fuori casa se costretto da cause di forza maggiore. In casa solo seduto. Problema risolto…Ahhah

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  3. solidarieta’ a @lastaccata e alle mamme dei maschi tutte riguardo allo spinoso tema “impugnatura corretta del pisello nell’atto di minzione”

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  4. Fondamentale che sia inserito nella crescita e nell’educazione di un bambino. Perchè il cercare il senso delle cose ci spinge a essere curiosi. E l’essere curiosi è il miglior pregio che posso agurare a mio figlio. La curiosità accende il pensiero, ci spinge a porci delle domande su noi stessi e anche, ed è fondamentale, sugli altri. Perchè per me è importante che lui capisca che non è solo. E che ogni sua azione ricade inevitabilmente sugli altri che lo circondano ( vedi pipì fuori dal water eh LU ? ). Se si sviluppa un modo di vedere globale, nel senso positivo del termine, il mondo intero sarà un cestino in cui cercare, scoprire, imparare, condividere. E soprattuto apprezzare, responsabilizzare e rispettare. Il rispetto degli altri e delle diversità nasce dalla conoscenza e la conoscenza si sviluppa con il chiederci il perchè delle cose.
    Bellisimo post, scritto molto bene. Chiaro e interessante.
    Complimenti davvero.

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  5. Cara la mia Vikinga, ci credi che la mia concezione di pensiero critico è assolutamente identica alla tua ketchup incluso, ovviamente (bleaaaaaah!)?
    E’una fatica immane, ma ho sempre adottato il tuo stesso identico atteggiamento. A sentire una psicologa infantile alla quale mi rivolsi, sfinita dall’allora treenne Superboy all’apice della sua carriera di amplificato, “questo lo fai perchè te lo dico io” non sarebbe in realtà un concetto controproducente nè traumatico per i bambini. Anzi, servirebbe a fargli comprendere meglio le cose. Mah! Forse è utile per imporre in qualche modo l’autorità, effettivamente un minimo funzionava (ma giusto un minimo, eh!).
    Io però ho sempre creduto che mio figlio, così come qualsiasi altro marmocchio del pianeta, fosse un essere pensante non “soltanto” un bambino.
    L’insegnamento del pensiero critico alla lunga uccide un genitore, anche quello più paziente e volenteroso, ma finché la mia fibra forte mi manterrà in vita continuerò a spiegargli sempre il perché e il percome delle cose, senza impartirgli ordini secchi come se fosse un barboncino da ammaestrare.
    Tutto questo discorso esula dal comando: “Porca di quella vacca, tienilo il pisellino quando fai pipì, se no la tavoletta del water te la faccio ripulire con la lingua!!”
    Quando sono esasperta mi scappa… Non la pipì, mi scappa questa frase becera. Lo so, sono un mostro.. ma di spiegargli che l’urina non è esattamente acqua di ruscello mi sono abbastanza rotta le scatole. Sono 6 anni che gli dico di non comportarsi come Benigni nel Piccolo Diavolo, ma niente… Non c’è verso!

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  6. @deborah certo, l’esempio passivo è importante quanto quello attivo. Non dimentichiamo anche che c’è una fase della crescita, generalmente precedente ai terrible two, in cui il bambino tende a cercare di compiacere gli adulti, per acquisire benevolenza. E’ una fase che secondo me va accettata come tale, anche perchè il bambino è forse ancora troppo piccolo per sviluppare un senso critico effettivo.
    Spiegare anche le regole di casa è molto utile, e io personalmente mi trovo bene a farlo ciclicamente. Alterno il “non si picchiano gli altri” messo come regola inappellabile a volte in cui mi metto a spiegare perchè non va bene. Cerco di far valere le regole e far passare il concetto di regola alla riflessione che le regole hanno quasi sempre un motivo, ed è importante conoscerlo e rifletterci sopra. Spero che questo messaggio passi…

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  7. Il pensiero critico nasce nel bambino in famiglia, quando in famiglia si respira. Ci vuole una buona dose di apertura mentale e bisogna avere il coraggio di mettere in discussione dogmi e sicurezze che nei bambini contano molto. Perchè, se è vero che in generale i bambini si dimostrano molto curiosi, ho anche notato che tendono ad essere anche conformisti, perchè comunque, in un mondo ancora tutto da esplorare, una buona dose di conformismo da loro molta sicurezza.
    Credo di dover insegnare a mia figlia che il sentiero della vita non è tutto bello spianato, prevedibile o conosciuto, perchè sarebbe anche tanto noioso. Ma, continuando nella metafora, la via è spesso incerta, va affrontanta di volta in volta, tenendo ben svegli occhi, cervello e cuore, perchè non c’è mai una situazione uguale all’altra e perchè deve essere sempre la nostra coscienza che ci guida e non una collettivamente acquisita.Spero che scelga sempre una sua via, anche se poco battuta..

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  8. Educare al pensiero critico è una delle cose a cui io e marito teniamo di più.
    Non ho ricette particolari, se non quella che si parte dalle piccole cose. Noi li stiamo educando ad osservare molto le cose e le persone, a guardare come si comportano gli altri.
    Anche solo da attività così banali si può imparare a non accettare le cose così come sono.
    Certo, non è nemmeno utile avere un pensiero critico a priori, che è un’altra forma di limitazione. I bastian contrari per vezzo sono nocivi in primis a se stessi.
    E poi anche l’esempio dei genitori è fondamentale. Avere genitori padroni delle proprie idee e che ti spiegano perchè la pensano in un certo modo (e non che è così e basta) aiuta a riflettere sulle cose.

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  9. Cara Serena, mando anche mia suocera al tuo corso ‘ketchup e pasta: MAI insieme!’ (in realta’, tutta la Repubblica Ceca ne ha bisogno).

    Il mio bambino ha quasi due anni e per ora non fa domande perche’ parla una lingua tutta sua ma io cerco di prepararmi ‘in anticipo’ e gia’ adesso cerco di spiegargli come e perche’ facciamo qualcosa… magari non capira’ granche’ ma almeno si abitua (anche al fatto che la mamma e’ una chiacchierona).

    Mi preoccupa un po’ il fatto che mio marito sia cresciuto in un ambiente piu’ tradizionalista dove l’autorita’ non era abitualmente messa in discussione sia a casa che fuori se non a costo di pesanti conseguenze (la Cecoslovacchia comunista). Mi accorgo che lui se ne rende conto ed e’ aperto al cambiamento ma e’ una persona impulsiva e che si arrabbia facilmente per cui staremo a vedere (almeno ho messo in chiaro che il pupo non si tocca, niente sculacciate! e pare sia passata).

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