Di web, privacy e lupi cattivi

sicurezza-webIl discorso dell’utilizzo dei social network e della privacy non è semplice, soprattutto se conivolge anche i bambini, e difficilmente si può racchiudere nelle poche righe di un post. Voglio però provare comunque a condividere alcune riflessioni che ho avuto modo di fare nel corso di questi anni, in cui la mia vita online si è evoluta a livelli che non pensavo possibili (per me). In rete ho conosciuto moltissime mamme blogger, ognuna con il suo pallino e la sua opinione rispettabilissima in termini di privacy. Da wonderland, il cui vero nome è stato noto solo dopo la pubblicazione del suo libro, della cui figlia non conosciamo il volto, ma solo i suoi meravigliosi riccioli biondi oltre al nome, a Iolanda, che condivide in rete foto, nomi nonché location, solo per fare un paio di esempi. Ma insomma, quali sono i pericoli legati alla rete? E’ veramente il caso di indicare dove ci troviamo minuto per minuto, condividere foto proprie e dei figli, dare libero accesso a dati personali, quali telefono e indirizzo? E non è esagerato questo anonimato forzato, questa ossessione per la privacy, questo volersi nascondere dietro un nickname a tutti i costi?

Alcune persone scelgono di mantenere l’anonimato perché magari si trovano a parlare di cose molto personali, e trovano il coraggio o la forza di farlo proprio grazie all’anonimato che la rete offre. Per altre l’anonimato è solo parziale, e ad esempio si sceglie di rendere pubblico il proprio nome, ma si mantiere un nickname per i figli, di cui si evita di condividere fotografie o altro.
Ma la privacy può essere fatta a livelli differenti. Io ad esempio ho creato delle liste dei miei contatti su facebook, e condivido le fotografie personali solo con gli amici intimi. Non sto dicendo che la mia sia la scelta giusta, al contrario mi sembrano tutte scelte possibili e condivisibili.

Cosa condiziona il nostro comportamento online?

Allora mi chiedo: cosa condiziona le nostre scelte? Io credo che quando si parla di web, uno dei fattori più importanti, ma non l’unico, sia la paura. O meglio, la nostra percezione del pericolo.
Chi nel web si sente a casa propria, come tra amici, chi ha fiducia nell’umanità e pensa che la gente pericolosa sia solo una minoranza, tenderà a condividere più infomazioni personali in rete. Non è molto diverso dalle altre scelte di condivisione della nostra sfera privata che facciamo nella vita di tutti i giorni, a parte ovviamente i numeri, ossia la quantità di persone con le quali condividiamo le stesse informazioni, che in rete ha la capacità di espandersi all’ennesima potenza.

Vi faccio un esempio pratico. Mia madre è terrorizzata dal web, conoscendolo molto poco, e la sua percezione del pericolo le viene tutta dai telegiornali, spesso portatori di cattive novelle in cui il lupo cattivo è di casa. Periodicamente torna all’attacco, e mi chiede se è possibile per qualche malintenzionato risalire al mio indirizzo a partire dal mio profilo su facebook, e fare qualcosa ai miei figli. Al che con molta calma le spiego che il mio indirizzo non è sul mio profilo facebook, ma di fatto è sull’elenco telefonico, distribuito gratuitamente nelle case di tutti, e che le fotografie dei nipoti che lei mostra a chiunque le passi a tiro, non sono più sicure di quelle pubblicate online. Infatti lo stesso sconosciuto a cui lei mostra le foto con tanta fiducia protrebbe essere un lupo cattivo travestito da agnellino, che oltre a vedere le foto di un succulento bimbo, sa anche esattamente dove trovarlo di casa. Senza parlare del pedofilo ai giardinetti sotto casa. Insomma, io oggettivamente non credo che questi siano i pericoli della rete.

Come spiegavo in un commento al post sulla pedofilia in rete, la percezione del pericolo spesso non coincide con il rischio reale. Nel decidere di cosa o di chi fidarci spesso ci basiamo su una buona parte di preconcetti, personali o culturali, esperienze indirette raccontate da terzi, una sensazione “a pelle” difficile da quantificare che ti fa dire mi fido oppure no, ma difficilmente usiamo statistiche e ragioniamo con dati alla mano. Qualche tempo fa ho conosciuto uno studente universitario francese che girava l’europa facendo l’autostop. Io sono rimasta allibita e ho iniziato a spiegargli i rischi della cosa, che avrebbe potuto incontrare un pazzo, un criminale, un assassino. Ma lui è stato irremovibile, ha detto che basta guardare alle statistiche per vedere che ci sono molte più persone buone, e generose, e disponibili, di quanti non siano i criminali, e che non aveva alcuna intenzione di limitare la sua esperienza di vita per una paura basata su fumo. Ecco questo magari è un po’ estremo, ma spiega bene il concetto di pericolo percepito e pericolo reale.

Reputazione online e offline: due mondi paralleli?

Io credo che nel web i meccanismi siano gli stessi che nella vita reale, solo che i mezzi per determinare se fidarsi o meno sono diversi. Se si incontra una persona online non si può guardarla negli occhi, non si posson vedere quegli atteggiamenti involontari che mal celano una menzogna, non si può avere la sensazione “a pelle”. Allora bisogna affidarsi ad altro. Uno dei meccanismi più diffusi è quello della reputazione online di quella persona. Questo è alla base di alcuni social network che si occupano di far incontrare persone, un esempio per tutti il couchsurfing. Si tratta di un social netowrok in cui le persone offrono il proprio divano per accogliere viaggiatori che arrivano nella loro città e che sono in cerca di un posto in cui dormire, o di uno scambio culturale. Avete presente la raccomandazione di non seguire un estraneo a casa sua? Ecco, esattamente l’opposto di quello che succede nel mondo reale. Solo che l’estraneo in questione, lo si conosce tramite un social network in cui ha una credibilità. E’ la comunità stessa a fare da controllore.

Vi fidereste? E vi fidereste ad andare a dormire a casa di un amico di un vostro amico che vi ospita…in un paesino della Germania?

Io credo che la rete sia un posto meraviglioso, di cui bisogna conoscere i meccanismi per poter godere delle sue potenzialità, conoscendo i rischi effettivi e perché la paura del lupo cattivo ha solo l’effetto di tenerci chiusi dentro casa facendoci perdere occasioni uniche.
Però allo stesso tempo mi rendo conto che non è così semplice.
Insomma, come ho detto all’inizio questo è solo un post, anche un po’ confuso, sui miei pensieri e riflessioni. Mi piacerebbe conoscere anche il vostro punto di vista, e chissà che non riesca a chiarirmi un po’ meglio le idee.

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34 thoughts on “Di web, privacy e lupi cattivi”

  1. scrive:qual la figura reale e quale lueqla riflessa? trattandosi di una foto, figura reale e figure riflesse sono oggetti dello stesso genere? I riflessi considerati come sequenza temporale sono passato o futuro? partendo da una coppia di figura/specchio, si pu ipotizzare un percorso in avanti, dalla realt verso l’iperrealt ? La progressione un frattale?Sono solo alcune cose che mi vengono in mente di fronte alla foto.

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  2. Monica, ti ringrazio davvero per questa testimonianza. La condivisione può essere un valore molto più sentito della privacy: in fondo la rete è per sua natura strumento di condivisione.

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  3. Salve mi chiamo monica e vi racconto la mia storia, decisamente particolare, non perché debba essere il paradigma di tutte, ma perché, a mio avviso, aggiunge una luce diversa al concetto di privacy e tutela dell’infanzia. 4 anni fa è nato mio figlio elia, con una labiopalatoschisi bilaterale completa (un modo complicato per dire la forma più grave del labbro leporino) per farvi capire, una malformazione al volto piuttosto evidente. Non ne sapevamo niente. Ci siamo messi a cercare su intenet appena tornati dall’ospedale, ma quello che abbiamo trovato sono state foto di bimbi con gli occhi oscurati, oppure di bibmi di paesi in via di sviluppo (tanto della loro privacy chissenefrega!). La mia reazione è stata: “oddio, allora è una cosa prorpio brutta se qualcuno non vuole far vedere suo figlio! è grave” mi mancava poi, proprio l’idea di come sarebbe potuta diventare la faccia di mio filio dopo gli interventi di plastica, e aumentava così la mia ansia. Un giorno ho scoperto un gruppo di blog, fatti da mamme americane, che pubblicavano il diario della famiglia per farla vedere ai parenti lontani e a nuovi genitori di bimbi con lps. C’erano bimbi che soffiavano sulle candeline, che si sporcavano di gelato, in mezzo agli zii ai compagni di scuola, quindi anche elia avrebbe potuto avere una vita felice, serena normale! Altro aiuto, tutt’altro che piccolo, c’è arrivato qualche mese dopo sempre da quelle foto, abbiamo scoperto dei prodotti che aiutavano elia a portare una placchetta che riallineava le ossa, dei prodotti che proteggevano la pelle e che qui in italia non si usavano. Quando elia ha compiuto un anno ho deciso di fare lo stesso per qualcun altro, e quindi ho iniziato un blog, con foto di elia che cresce, i suoi progressi e le stupide cose, ma che per noi sono state così importanti. Lì c’è tutto, il mio numero di telefono, la mia mail, genitori mi contattano grati perché la nostra famiglia li ha tranquillizzati e ora su un social network così frivolo come facebook, c’è un gruppo di genitori che mette insieme le foto dei propri bimbi, da’ consigli sui centri in cui è meglio operare o i biberon più adatti, e quando arriva un nuovo papà e una nuova mamma non si sente più sola, diventano dei genitori più sereni, preparati, forti, più capaci di affronatare le difficoltà del percorso perché sono sicuri anche della gioia che incontreranno. Violiamo la privacy dei nostri bimbi? sì, sicuramente, loro non scelgono di mostrarsi, ma elia non ha scelto di andare in giro per sei mesi con un areoporto sotto il naso e raccogliere più sguardi e commenti della gioconda. Ma io non ho permesso che diventasse un problema, non l’ho chiuso in casa e le persone ne hanno saputo un po’ di più, tutto qua. Per dire che non tutta la violazione della privacy viene fatta per nuocere, alle volte troppa privacy toglie informazioni indispensabili, e sacrificarne un po’ aiuta ogni giorno tante famiglie.

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  4. Ciao, trovo molto interessante la discussione e volevo lasciare un veloce commento all’articolo.
    Sono mamma da soli 5 mesi e lavoro nell’IT anche io, come Mamy. E come lei ho una altissima percezione di come i dati condivisi siano in realtà pubblici, nel senso di “disponibili”, “nudi”, “a disposizione di chiunque”.
    Ho un blog, ho un profilo FB, ma in nessuno dei due parlo o racconto fatti personali o riguardanti le persone a me vicine. E ho espressamente vietato a tutti quelli che conosco di far girare foto che ritraessero mio figlio.
    Sono dell’idea che, in quanto genitori, siamo tenuti a proteggere i nostri figli ed a farci garanti dei loro diritti, primi tra tutti quelli della salute e della sicurezza. E se si parla di sicurezza la privacy in rete è da comprendere.
    Sarà mio figlio, quando sarà maggiorenne, a decidere se rendere pubblico qualcosa che lo riguarda e che cosa. Non ho il diritto di pubblicare nulla che lo riguarda e, soprattutto, credo di avere il dovere di tutelarlo nel far si che questo non avvenga.
    L’esempio delle pagine bianche che è stato fatto da alcuni non tiene conto di un aspetto, che invece con la rete è fondamentale: la velocità della reperibilità di informazioni che consente, con poco sforzo, di recuperare molti dati ed aggregarli in modo significativo. Uno dei criteri con cui si valuta la sicurezza di un sistema è il tempo e le energie che sono necessarie a forzarla. Quindi se con le pagine bianche dovevo sapere a chi fosse intestato un telefono, cercare il nome, recuperare un indirizzo, fisicamente andare a vedere dove fosse, etc. etc., con gli strumenti offerti dalla rete non ci vuole molto a recuperare dati ed incrociarli (aggiungiamoci anche le mappe virtuali…).
    I sistemi tipo FB diventano proprietari del materiale che vi viene pubblicato (non parlo solo delle foto, ma anche della messaggistica, delle informazioni sui legami di amicizia, etc.) e la legislazione che li regolamenta è quella del luogo fisico in cui sono i server (anche cancellare un profilo non basta, i contenuti rimangono).
    Concludendo: ritengo che i rischi possano essere remoti, ma che sia bene essere informati bene e sino in fondo per prendere le decisioni che si ritengono più opportune ricordandoci che abbiamo un ruolo che impone la tutela dei minori di cui siamo responsabili (e questo per legge).

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  5. Io lavoro nell’informatica e in particolare nell’IT. Posso solo dire una cosa. non ho un profilo fb e non metto mai foto in rete ne mie ne di miei familiari. La mia paura non è infondata, infatti TUTTI i dati che noi immettiamo in rete per quante protezioni ci vogliamo mettere, sono pubblici. Dietro alla rete ci sono migliaia di persone che lavorano, tutti gli amministratori di sistema del web possono comunque vedere tutto di voi se questi dati sono in rete anche se sono nascosti.
    Quindi io uso la rete ma evito assolutamente di mettere in rete dati personali e soprattutto foto perchè potrebbero essere prese da chiunque e fatte girare (soprattutto quando si parla di bambini questo è molto rischioso).
    Scusate se forse ho messo ansia a qualcuno, ma mi pareva doveroso dirvelo visto che ci lavoro.

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  6. sono molto d’accordo con quello che scrivi. personalmente preferisco scrivere con un nickname semplicemente perchè voglio essere libera di dire quello che penso, e l’anonimato mi rende più aperta e sincera. sono d’accordo sul fatto che mettere le foto dei propri figli su facebook non sia così “pericoloso” come tanti pensano. io personalmente le condivido solo con amici, così come condivido con loro solo certe informazioni, mentre altre ancora me le tengo per me. ma semplicemente perchè non mi va che ci si possa impicciare della mia vita più di tanto, non perchè penso che chissà quale pericolo mi aspetta! trovo che sia molto più da ingenui tenere il proprio figlio di pochi anni senza costume sulla spiaggia: la stessa polizia dice di stare attenti perchè ormai tutti abbiamo una macchina fotografica nel telefonino e un pedofilo potrebbe essere ovunque.

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  7. uff posto dopo due gg di sconnessione … (molto significativo) noi tradivi digitali …
    per cui butto dentro al calderone e mi scuso se ripeterò cose già dette. essendo la giornata della lentezza sono molto di corsa. ma vi leggerò poi tutti con cura….
    quindi …

    Serena il post è chiarissimo, e personalmente molto condivisibile, nei due sensi della parola (in rete) e nel contenuto stesso.
    Il problema grosso che viene fuori, leggendolo, è quello che r-esiste in rete (meno) e fuori, l’idea che il web rappresenti una anomalia. una bizzaria, quando non peggio. Come se il mondo si collocasse su due piani diversi e non colloquianti.
    Me ne accorgo parlando con chi il web non frenquenta, o che lo usa come luogo monodirezionale, e perciò sembra coglierne solo l’irrealtà, che a sua volta amplifica paure e timori. Vedevo ieri una intervista a Maria Rita Parsi, che parlava degli amori adolescenziali che nascono e comunicano via web, ma ancora una volta mi sembrava parlasse di un territorio alieno e tendenzialmente a rischio di alienazione.
    Eppure tutti i rischi e le tutele che possiamo pensare per noi stessi e per i nostri figli, hanno lo stesso sapore e colore di quelli che troviamo nella quotidianità.
    Certo il costo da pagare è quello di usare “attrezzi” nuovi ( anzi di imparare prima) per poter parlare di sicurezza, insicurezza, di incontri, di privacy .. Significa, come spieghi tu, che si tratta si usare/imparandolo anche altri modi per comunicare, ascoltare, capire chi è l’altro al di là dello “specchio”/schermo.
    Il fatto è che questo implica imparare per fare i genitori, e si tratta di capire che è una sfida necessaria ed irrinunciabile, nel momento in cui ci mettiamo in casa un pc, un portatile uno smartphone.

    Mi immagino come sarei ridicola se avendo la macchina e guidandola ogni giorno, dicessi alle mie figlie che è un oggetto del diavolo…. Alle mie figlie voglio poter dire che la macchina è uno splendido strumento di libertà, ma è anche rischioso perchè pretende attenzione e lucidità, è una necessità per gli spostamenti (almeno nel micropaese dove viviamo), ed è al tempo stesso un oggetto che inquina e usarlo implica una certa consapevolezza. Non offro alla mie figlie una mondo semplificato e soluzioni semplicistiche, anzi…..
    Ugualmente la rete, va presa per ciò che comporta nella sua complessità, e nei temi che ci impone di trattare.

    Al solito non è mai così facile e i problemi hanno il grande vantaggio di obbligarci a pensare alle soluzioni
    :-))

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  8. Serena, è OT ma ci terrei a dirlo lo stesso. Questa degli insegnanti che non usano il computer è un po’ come l’uovo e la gallina. Quando i computer nelle scuole ci sono sono sempre utilizzati. Nella mia esperienza, in tutte le scuole dove sono stata, l’aula computer è sempre strapiena, e anche a scuola dai miei figli è lo stesso (del resto informatica è materia curricolare dalla primaria). Il fatto è che i computer costano, e ce ne sono pochi. Io credo che se ce ne fossero molti di più, sarebbero molto più usati.

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  9. Serena anche io penso che in generale ci sia accordo tra noi qui, e che spesso chi parla della rete demonizzandola lo fa perchè non la conosce – e secondo me conosce poco anche la psicologia delle persone. Il fatto è che chi crede che la rete sia pericolosissima tende a sovrastimare la capacità e il desiderio di mentire degli individui. Siccome la rete da la possibilità di mentire, da per scontato clhe tutti mentiranno: questo è l’errore di tua madre, della mia, di Bruno Vespa… ma simulare stanca, e solo un certo assetto mentale (patologico) regge la fatica sulla lunga durata. Fatica abnorme se si pensa che una finzione efficace deve passare per il linguaggio. Tuttavia secondo me parlando tra mamme blogger si tende a sottostimare il pericolo perchè è una sezione di rete e un comportamento e come dire un’etichetta identitaria che espone di meno a eventuali pericoli. Le madri catalizzano altre madri e i bambini sono una specie di scudo evoluzionistico che disincentiva la violenza. Mi sembra la parte di mondo della rete – insieme magari alle reti di maschi che discutono di argomenti specifici che so i motori o boh l’informatica – meno esposti.
    Invece le donne che stanno in rete e si pongono come single, o come molto giovani, oppure gli appartenenti a certi gruppi sensibili come minoranze etniche o omosessuali possono essere più esposti. Più il blog diventa noto e più la categoria sensibile diventa potenziale catalizzatrice di comportamenti disturbati e ossessivi. Non succede spesso ma penso che sia davvero maggiormente probabile.

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  10. Io credo che oltre al problema delle foto ci sia anche da tutelare in generale la privacy delle altre persone di cui si scrive.
    Prima i bambini, ma poi anche gli altri.
    Questo è uno dei motivi per cui per esempio io sono anonima, anche se quello che scrivo lo leggono in pochi. Non potrei parlare dei miei studenti se non fossi anonima, né dei miei colleghi o dei miei amici o dei miei genitori.
    Per quanto riguarda i figli, la prima cosa che ho fatto aprendo il blog è stato chiedere a mio marito di leggere quello che scrivevo. Per me è importante.
    Uso il web da vent’anni, e il primo vero problema l’ho avuto solo quest’anno. Perché non c’è solo il pedofilo, ci sono mille altri reati.

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  11. Discussione molto molto interessante. Vorrei solo aggiungere una piccola esperienza fatta come supplente in una scuola media, forse può essere utile. Noi adulti abbiamo un uso consapevole del web, chi più e chi meno attivamente: c’è chi non pubblica foto, ma chi le pubblica non esagera perchè sa muoversi (immagino che di tutte le mamme che hanno fatto commenti qui e che pubblicano foto dei loro figli online, nessuna le pubblichi mentre fanno il bagno).
    Nella scuola media in cui sto lavorando c’è stato un incontro molto con la polizia postale per i ragazzi di terza media, sono stati proiettati alcuni video e si è parlato di file sharing, di scaricare film, canzoni etc. L’impressione che ho avuto è che molti genitori e anche molti ragazzi siano “analfabeti” rispetto alla rete e quindi diano tranquillamente informazioni a sconosciuti conosciuti online, e che ci si incontrino pure (ad es col contatto di chat!!! mi spiego?). Ecco credo che questi siano i potenziali lupi cattivi e che un nostro compito da persone consapevoli di come funziona la rete sia di accompagnare i nostri figli, oltre ce non incorrere in eccessi (tipo il check-in in casa propria o la foto del figlioletto nudo su fb).
    Di genitori che brancolano nel buio in questi argomenti ce ne sono moltissimi! e per loro è difficilissimo aiutare i propri figli

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    • @Mestieredimamma in effetti la scuola ha una grande responsabilità di educare ad un uso consapevole della rete. Peccato che molti insegnanti ritengono il computer un inutile suppellettile.

      @LGO certamente, come dicevamo anche in qualche altro commento, la scelta di mantenere l’anonimato può avere altre ragioni oltre alla sicurezza, e quella della privacy di altre persone coinvolte, mi sembra decisamente importante.

      @Zauberei grazie! E’ una precisazione giusta, che poi la generalizzazione è sempre comunque sbagliata sia in un verso che nell’altro.

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  12. dai commenti traspare che comunque molte delle risposte appartengono ad una categoria di persone che possiamo chiamare “web-pubbliche” per cui cioe’ la presenza sul web e’ legata direttamente al loro lavoro, nel senso che la web-persona DIVENTA il lavoro, anche magari di striscio come piattins, ma comunque apparire in chiaro diventa coerente con l’onesta’ di dire, questo sono io, io ho scritto questo. Ed ha anche un aspetto pubblicitario, una volta che esce un artefatto (libro o quello che e’) col mio nome ho tutto l’interesse che anche il blog abbia il mio nome in chiaro. Per tutti gli altri, e io mi ci metto in questa categoria, il web e’ un punto di contatto/socializzazione parallelo al lavoro. Io (nella vita intendo) ho una pagina web mia come parte della mia organizzazione, ma non e’ quella il mio lavoro in quanto tale, e’ una conseguenza se volete, quella e’ informativa soltanto. Su FB e affini quindi ci sono per puro chiacchiericcio, diciamo cosi’, ma coerentemente con questo non ha senso avere contatti con chi non conosco di persona. In quest’ottica, metto le foto dei miei figli su FB, perche’ conosco personalmente (certo non si puo’ mai conoscere a fondo, che ne so che ho un amico psicopatico, ma insomma, plausibilmente posso dire che conosco personalmente) tutti i miei contatti. Per lo stesso motivo, per esempio non ha senso per me avere “supermambanana” su FB, non ho bisogno di avere una web-persona completa per supermambanana, e’ soltanto la mia firma per i commenti ai blog (sono sicura che in 5 minuti mi trovate se vi va) 🙂

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  13. Wonder ha espresso, comunque, molti altri risvolti del mio pensiero.
    Avevo pensato di pubblicare il libro sotto pseudonimo…per dire. Poi ho desistito per il discorso di cui sopra perchè alla fine, come dite tutte, la vita reale e quella virtuale spesso si fondono.
    In ogni caso, rimango dell’idea della condotta “pulita” nella vita come nel web a scopo preventivo ma anche etico.
    L’unica discordanza con Wonder sta nell’ultima frase.
    Sapete inoltre cosa penso? (O forse spero) che quando i nostri figli saranno cresciuti questa giungla non sarà più tale. Ci sarà un modo diverso di controllo e forse, come accade in America da tempo, internet e i social network non avranno più questo fascino.

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  14. Io mi rendo conto che per dare una creibilità a gc, devo dire qualcosa di me, quindi, in linea di massima sono raggiungibile da qualcuno che volesse proprio cercarmi. In gc non è presente il cognome e i mie contatti su fb sono comunque limitati a persone con cui ho avuto relazioni dirette (non necessariamente di persona, anche via web e anche occasionali, ma comunque un contatto per giustificare l’amicizia su fb).
    Se uno avesse interesse a cercarmi arriverebbe al massimo al mio numero e indirizzo di studio. I recapiti di casa sono piuttosto blindati, almeno a una ricerca senza pretese. Devo dire, però, che questo è giustificato più dal mio lavoro che dalle relazioni sul web. Poi ovviamente ci vuole poco, se uno davvero vuole trovare una persona. Sappiate che con un centinaio d’euro trovano anche dove lavori e il tuo numero di c/c… E io, per lavoro, ho fatto cercare più volte non solo queste informazioni, ma ben altro.
    Quindi la privacy è un’illusione.

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