Di accettazione e limiti

Non è certo più tempo del padre padrone che decideva in modo irrevocabile quale fosse il bene e il male, ma nella democratizzazione della pedagogia ci si ritrova troppo spesso nella situazione esattamente opposta di totale assenza di limiti. Ma quali sono le conseguenze per i nostri figli?

jesper_juul Amare i propri figli per quello che sono senza moderazione, e accettarli, accogliendoli per quello che riescono a fare, è l’aspirazione di molti genitori moderni. A parlare di accoglienza e amore incondizionato per i propri figli però potrebbe venire il dubbio che non sia corretto o consigliato porre dei limiti al loro comportamento. Tutt’altro. L’accettazione dei propri figli passa attraverso l’accettazione di sé stessi come persone, e quindi anche dei propri limiti (oltre che dei propri punti di forza). Ed è la stessa definizione dei propri limiti personali che porta alla definizione dei limiti dei figli.

Imporre limiti

La faccenda di imporre limiti ai nostri figli però nasce volente o nolente sin dai primi giorni di vita. Io ad esempio ho imposto la divisione del letto per evitare di passare le mie notti insonne. Altri potrebbero accettare la condivisione del letto per lo stesso motivo. Con questo voglio dire che quando si parla di porre limiti ai bambini nel senso di limitare comportamenti indesiderati, in realtà bisogna pensare che i limiti sono necessari per tutte le persone che interagiscono. Il limite è quello che definisce i tuoi spazi e i miei spazi. E per questo i limiti sono importanti. Perché creano un confine invalicabile, magari anche con una zona grigia in mezzo, ma che permette la sopravvivenza di tutti. Poi ci sono quei limiti che il genitore impone perché “sa” cosa è meglio per il figlio, ad esempio per quanto riguarda la sicurezza o la salute.

Assumersi la responsabilità

C’è una certa tendenza verso l’atteggiamento educativo fortemente democratico per cui al bambino non si vogliono imporre limiti, ma discuterne con lui e trovare delle soluzioni insieme. Sono d’accordo, ma fino ad un certo punto, e soprattutto credo che dipenda molto dal limite oltre che dall’età dei bambini. Però mentre da un lato credo sia giusto spiegare ai figli, dare delle ragioni, e discuterne con loro a seconda della loro età, dall’altra penso che sia responsabilità dei genitori assumersi l’onere di prendere delle decisioni.

E’ per questo che mi è piaciuto immediatamente il libro “Eccomi! Tu chi sei?” di Jesper Juul. Perché io, un po’ per carattere un po’ per volontà, ad un certo punto mi stanco di discutere e riesco anche a dire con una certa pace interiore e priva di sensi di colpa “adesso basta! Te l’ho spiegato, e ora è così e non si discute più”

Jesper Juul fa proprio l’esempio di una bambina di 2 o 3 anni che ogni sera chiede il gelato. E il papà che si piega alla sua altezza, e gli spiega che non può avere il gelato prima di cena perché altrimenti poi non mangia a tavola. La bimba piange e il papà continua a spiegare. E la bimba continua a piangere, e a pestare i piedi, e il papà continua a spiegare. Più il padre sta li a spiegare, più la bambina piange e cerca in ogni modo di ottenere quello che vuole. E chi può darle torto? Perché diciamoci la verità, a lei non gli interessa nulla di non mangiare la cena. A lei interessa solo il gelato: ora e subito. E il fatto che a lei interessi il gelato ora e subito non è perché è capricciosa, non è perché è affamata, non è perché è irragionevole, è semplicemente perché è una bambina. Sanissima.
Jesper Juul suggerisce, nell’esempio in questione, di fare come ha fatto il padre, cioè piegarsi alla sua altezza e spiegare le ragioni del no, ma poi lasciare il campo per non farsi tirare nel conflitto. La mia esperienza personale è che spesso, per situazioni di questo tipo funziona decisamente meglio l’allontanarsi piuttosto che rimanere in campo ad aspettare l’accettazione della decisione presa da parte del figlio. Anzi ho notato che il rimanere li a spiegare e consolare, la maggior parte delle volte fa aumentare il capriccio invece di placarlo. Ovviamente bisogna fare dei distinguo e uno è quello tra capriccio emotivo e capriccio manipolativo. Nel capriccio emotivo è evidente che il bambino non ha controllo delle sue emozioni e quindi girare i tacchi e lasciare la stanza non è un buon messaggio, oltre che lo fa andare ancora più nella crisi perché ora si sente anche abbandonato. Il capriccio manipolativo invece smette molto più facilmente se ci si comporta nel modo suggerito da Juul.

Un approccio democratico?

Cerchiamo di capire però quale è il messaggio che lanciamo al bambino facendo questo atto. Jesper Juul suggerisce che l’approccio democratico si pone come obbiettivo quello che la decisione finale sia presa da genitori e figli insieme, ovvero nel trovare una soluzione adatta a tutti. Mentre da un lato questo è assolutamente auspicabile, soprattutto per bambini più grandi, in molte situazioni non esistono soluzioni che accontentino tutti. Il gelato prima di cena rovina l’appetito, e quindi non c’è modo di risolvere il conflitto e rendere tutti contenti. Quello che quel padre vorrebbe è che la bambina accettasse la decisione presa da lui, si mostrasse ragionevole riconoscendo che quella è la decisione giusta, e smettesse di piangere e arrabbiarsi. E soprattutto quel padre vorrebbe che la bambina lo perdonasse per non concederle il gelato e per renderla così triste o arrabbiata.
Ecco questo è il punto. Così facendo il padre scarica la responsabilità della decisione sulla bambina, che siccome invece si arrabbia (giustamente) e si mette a piangere perché non ottiene quello che vuole (giustamente anche questo) allora ha la colpa di rendere tutto più difficile. Al padre.

Eppure la decisione di non darle il gelato è proprio del padre, è una decisione ragionata e non basata sull’umore del momento (sto assumento che questa sia una regola generale e non che il gelato venga concesso alcune volte in modo casuale). Se è una decisione ragionata e ragionevole non c’è nessun motivo per cui il padre non debba assumersi la responsabilità, lasciando a sua figlia il compito di comportarsi da bambina: ossia arrabbiarsi, piangere e manifestare il suo disappunto, senza per questo essere considerata capricciosa o irragionevole.

I limiti sono una bussola che aiuta ad orientarsi

Siamo tutti d’accordo che un capriccio nasconde sempre un bisogno del bambino. Da questo punto di vista potremmo essere tentati di dire che se la bambina vuole il gelato ora, allora bisogna seguire la sua volontà e cedere al gelato. Però bisogna chiedersi se cedendo sul gelato si stia veramente rispondendo ad un suo bisogno oppure si sta solo evitando di porre dei limiti. L’esperienza insegna (e ditemi se non è vero) che superato il gelato, che magari mangia appena, inizia un’altra richiesta incontentabile. La bambina probabilmente sta chiedendo qualcosa di diverso, sta chiedendo attenzione, sta chiedendo di giocare con suo padre, sta chiedendo affetto. Solo che non lo sa, e allora chiede il gelato. E’ per questo che l’adulto deve assumersi la responsabilità di decidere quali sono i limiti, e allo stesso tempo trovare un modo per rispondere ai bisogni della sua bambina.

Una faccenda personale

Un altro aspetto importante che sottolinea Jesper Juul è quello che i limiti, dalla loro stessa definizione, sono una faccenda del tutto personale. I miei limiti e quelli che impongo ai miei figli sono diversi da quelli di mio marito e di conseguenza da quelli che lui impone. Vi dico la verità che questo aspetto mi rincuora moltissimo, perché è una di quelle cose, che sopratutto all’inizio mi davano un po’ da pensare. La relativizzazione dei limiti, al di la di quei pochi importanti sui quali bisogna mettersi d’accordo, che magari hanno a che fare con la sicurezza, dovrebbe permetterci di rilassarci. Se io non concedo stuzzichini prima di cena ai miei figli e mio marito invece elargisce generosamente, la cosa più grave che succederà è che i bambini ogni tanto finiranno per saltare la cena. Certo se questo dovesse avvenire regolarmente, minando quindi seriamente la dieta alimentare dei bambini, allora magari si fanno due chiacchiere tra di noi, per riflettere insieme e mettersi d’accordo. Ma in generale non c’è problema se con mamma posso correre liberamente nel parco, mentre papà vuole tenermi per mano a tutti i costi. Se mamma non vuole che mi sdraio sul prato e con papà faccio le capriole tutta l’estate. Finché i limiti vengono imposti con il “non voglio che” o “non mi piace quando” non si rischiano danni. Il bambino capisce che i limiti della mamma e del papà sono differenti, perché loro sono persone differenti. E magari anche quelli dei nonni e dei genitori sono differenti, e valgono regole diverse in case diverse.
Come abbiamo discusso spesso, i limiti sono fondamentali per la crescita di un bambino, basti pensare a I no che aiutano a crescere di Asha Phillips, ma una volta stabiliti i pochi limiti di validità generale sui i quali è bene mettersi d’accordo tra genitori, si deve riconoscere il fatto che il resto dei limiti che imponiamo ai nostri figli sono di carattere puramente personale, e proprio per questo è utile esprimerci attraverso i “non mi piace quando”, “nella nostra famiglia”, “io voglio che” eccetera eccetera.
I bambini sono molto più intelligenti di quanto non crediamo, e accettano e si adattano nella loro relazione con ciascuna delle persone con le quali si trovano ad interagire.

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19 thoughts on “Di accettazione e limiti”

  1. @Silvia : …anche cucciolo d’aragonia ha voluto personalmente sincerarsi che la nonna avesse compreso il funzionamento del bloccacassetti…non li abbiami tolti…e che caspita,anche noi abbiamo una dignità da salvaguardare; idem per il cancelletto, anche se presi quello a prova d’ingegnere laureato a pieni voti,ci mise di più soltanto perchè la sua mano non era abbastanza grande da poter aprire simutaneamente entrambi i punti che doveva schiacciare e facendolo con due mani non era ancora forte a sufficienza…

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  2. Forse il mio problema e’ proprio riuscire a distinguere il capriccio emotivo , che deriva da un altalena emotiva, dal capriccio manipolativo.
    Come fate?
    a me il confine sembra sempre cosi’ labile….

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    • @Manu e francesca. Il capriccio che io chiamo manipolativo non si manifesta prima dei 2 o 3 anni di età. La differenza l’ho descritta in questo post: i capricci. Sono comunque dell’idea che entrambi siano l’espressione di un bisogno del bambino, ma distinguere tra capriccio e capriccio può aiutare a capire qualche strategia di risposta utilizzare. Un capriccio emotivo ha bisogno di un supporto totalmente differente da quello manipolativo. Spero che il post linkato vi aiuti a capire cosa intendo.

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  3. Mi è piaciuta molto la frase “l’adulto deve assumersi la responsabilità di decidere quali sono i limiti, e allo stesso tempo trovare un modo per rispondere ai bisogni della sua bambina”, perché secondo me qui è il centro di tutta la questione. Ho seguito un pò il dibattito in questo mese e anche a me è parso che in alcuni commenti qualche volta il concetto di “accettazione” venisse sovrapposto e come dire assimilato a quello di “giustificazione”. Invece anche io sono molto d’accordo che è proprio l’opposto: l’accettazione si gioca sul piano dell’identità e questa dovrebbe essere incondizionata ed indirizzata all’essere umano che hai davanti e anzi io vedo questo messaggio come il presupposto fondamentale proprio per poi poter dare dei limiti al bambino sul piano del comportamento. Il problema è che è difficile farlo perché le variabili che entrano in gioco sono moltissime: il tipo di individuo che hai di fronte e il tipo di temperamento che avete entrambi che si incontrano ( e scontrano…), i valori che intendi trasmettere e i limiti di sopportazione che hai e questa è una combinazione assolutamente irripetibile e personale. In più come dici benissimo un conto è un comportamento scorretto da arginare (il capriccio manipolativo mi sembra un compito più “facile” da gestire per un genitore) un conto è gestire un comportamento non corretto che nasconde una difficoltà e allora lì, il lavoro è più ampio e richiede moltissimo tempo ed energie. Probabilmente una delle difficoltà più grandi sta proprio nell’ascoltare e decifrare bene i comportamenti dei nanetti e poi fare delle scelte il più possibile chiare prima di tutto a noi stessi.

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  4. bello bello il libro, l’avevo letto ma non mi ricordo molto, in particolare il concetto della relativizzazione dei limiti, io che già avevo pronto un mega discorsone da fare ai nonni sulle cose permesse e su quelle no… per fortuna ho aspettato, magari lo riassesto solo sull’idea di porre limiti e non permettergli tutto…
    invece a volte no mi riesco a fermare davanti all’idea che il capriccio nasconde sempre un bisogno e prenderei mio figlio e il capriccio e li lancerei da qualche parte…

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  5. Bene, voi di GC riuscite sempre a dare un inquadramento logico e “scientifico” a quanto io osservo in modo empirico. La relativizzazione dei limiti è una di queste! Tato sa perfettamente che a casa nostra non può fare alcune cose che a casa dei nonni (santi nonni!!!!) sono permesse. Lui stesso lo dice. Quando era più piccolo faceva un po’ di confusione, ma ha imparato in fretta.
    Concordo anche pienamente sul fatto che per porre dei limiti è importante analizzare quali sono i propri sia fisici che mentali. Io però, una volta selezionato una limitazione che ritengo importante, non ho grossi problemi ad imporla, insomma non ho molti scrupoli in questo senso (la tenacia l’avrà pur presa da qualcuno la creatura….), al limite mi interrogo molto su quali limiti siano veramenti importanti e, sicurezza fisica ed educazione a parte, verosimilmente rispettabili da un amplificato. La lista, dopo aver avuto a che fare con mio figlio, si è drasticamente ridotta rispetto a quello che credevo in passato!
    @ Marianna: tuo marito è un mito ed io concordo pienamente! Spesso sono tacciata di essere una madre incosciente…

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  6. bello il libro, e bello il resoconto che ne fai, grazie!
    però non ho capito il concetto di “capriccio manipolativo” …
    può essere che mia figlia non ne faccia??!
    ha due anni e mezzo, forse è piccola ?
    invece mi ritrovo molto nella frase ” un capriccio nasconde sempre un bisogno del bambino”. ecco finora mi sembra di essermi imbattuta solo in questi!
    per esempio a me è successo che chiedesse il gelato ( biscotti, o un dolce) prima di cena e gliel’ho dato. non per quieto vivere ma perchè riconosco in lei ( non solo per i biscotti), un forte, forte bisogno di autodeterminazione, e tutto sommato la trovo una cosa positiva. preferisco correre il rischio che salti la cena piuttosto che frustrarla in questo suo bisogno …

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  7. Ho già raccontato che noi avevammo un bloccacassetti in cucina e il Sorcio ha spiegato alla nonna, che non riusciva ad aprirlo, come funzionava, aprendoglielo davanti agli occhi! Abbiamo capito che non era molto utile, ma che potevamo stare comunque tranquilli!

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  8. Barbara, anche il Sorcio, che di angelico ha proprio poco, non si è mai avvicinato a oggetti o posti pericolosi o proibiti. Potevo lasciarlgi, anche da piccolo, medicine, coltelli, spazzolini del water e cose del genere praticamente a portata di mano e non toccava nulla. Da piccino, al ristorante si sedeva e scansava il coltello dal suo coperto, sostenendo che il cameriere avesse sbagliato a metterlo lì!
    Però la mia capacità non c’entra nulla: è talmente ansioso che evita oggetti pericolosi per natura ed anche piuttosto schifittoso verso rifiuti e deiezioni corporee… quindi è questo che lo tiene al sicuro!
    Poi magari si schianta saltando da un divano… ma questa è un’altra storia…

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  9. @Silvia sono completamente, perfettamente, totalmente d’accordo con tuo marito!
    Invece sono un pò contraria a dire “cassetto mio” o “cassetto tuo” o meglio a queste precise, esatte parole. Preferisco “cassetto no” e “cassetto si”, perchè ciò che è mio la attirerà in modo incontrollabile. O “questo cassetto mamma non vuole” meglio ancora. Ma sono sottigliezze.
    Scusate, toglietemi un dubbio: mia figlia è un angelo iperattivo o io sono stata una maga? Mi spiego meglio: l’attrazione per il cestino dei rifiuti è ovviamente fortissima per quasi tutti. Noi abbiamo lentamente avvicinato TopaGigia al secchio chiedendole di buttare degli oggetti, a cominciare dai suoi pannolini sporchi (ben chiusi ovviamente) e lei ha partecipato con entusiasmo. Ora sa che nel secchio si buttano le cose, non ha mai tirato fuori nulla… ripeto: caso isolato di bambina perfetta da sè o risultato ogni oltre aspettativa? Devo dire che questo succede con quasi tutto in casa: le facciamo usare gli oggetti per come vanno usati e molto raramente se non mai lei ne abusa.

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  10. grazie infinite a tutte per i commenti e i consigli….non sapete quanto mi fate sentire meno Rottenmaier!!!! 😀
    Comunque non è ke io lo sgrido violentemente…inizio con il No e man mano il tono diventa sempre più serio…
    la cucina ormai è a sua completa disposizione…ho spostato tutte le cose in modo da mettere in alto quelle eventualmente pericolose…tranne un cassetto quello dove c’è il portarifiuti e per questo è un No secco gli altri li può aprire tutti uscendo quello che vuole con la consapevolezza ke tutto quello ke esce deve lui stesso rimetterlo a posto!!! 🙂 e come un gioco un pò alla volta lui rimette tutto a posto a modo suo naturalmente!!
    Anche io non sono molto daccordo con i bloccacassetti perchè la penso come Silvia N credo che sarebbe meglio far riuscire a capire al bambino che quando si dice No è No…..ma non mollo ci riuscirò!! 🙂

    grazie grazie bellissimo post!!

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  11. Grazie Serena per il post che mi rincuora; io, che spesso nella cerchia di mamme frequentate dal vivo passo da estremista talebana perche’ metto limiti (pochi e scelti) ma sono piuttosto inflessibile nell’imporre che vengano rispettati, avevo proprio bisogno di sentirmi di nuovo dire che si, i limiti servono a tutti. Bello il libro della Phillips, che ogni tanto mi vado a rispulciare, adesso cerchero’ il tempo e le forze di leggere anche questo.

    @marianna mi associo ai commenti precedenti: si puo’ fare, richiede tempo, pazienza e perseveranza nel ricordare consistentemente il divieto, e con il Newt siamo qualche volta andati a finire a fare a gara di chi e’ piu’ capatosta, ma alla fine ha funzionato; in particolare penso abbia aiutato che non c’erano solo cassetti (e sportelli, ed oggetti, etc.) no, ma anche svariati e di vari tipi che fossero SI, permettendo dunque, come dice Lorenza, commenti del tipo “questo e’ il mio cassetto e ci sono cose pericolose, se vuoi smucinare vai ad aprire i tuoi”, e quelli che lui poteva arrivare ad aprire erano 3, uno con le pentole di metallo, uno con tutte le scatolette di plastica da frigo, ed il terzo con le teglie e gli stampi da dolce, ovvero cose per lui interessanti da esplorare in liberta’ che non potevano essere (irrimediabilmente) danneggiate dai suoi esperimenti… al piu’ erano in pericolo i miei timpani quando decideva di usare la pentola della pasta come gran cassa! Tutto cio’ avveniva gia’ intorno agli 11 mesi, perche’ il signore ha deciso di camminare ed esplorare cosi’ presto! 🙂

    Ultima nota:i blocca cassetti, cosi’ come i blocca porte, i para spigoli e tutte le altre cose che si vendono per rendere la casa a “prova di bambino” non ci hanno mai convinti per una questione di trasferibilita’: se il bambino non si abitua all’esistenza di limiti non-fisici a casa, come fai quando sei fuori di casa?
    Mio marito fece un gioco di parole a riguardo, che ho difficolta’ a tradurre per rendere bene l’ironia: “I’d rather house-proof the child than child-proof the house, so whichever house we are in we can fell safer”. Piu’ o meno sarebbe: meglio rendere il bambino a prova di casa che la casa a prva di bambino, cosi’ in qualunque casa siamo possiamo sentirci un po’ piu’ tranquilli…

    My tuppence worth! 🙂

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  12. Posso dire un: evviva? Finalmente un post che affronta con serenità la tematica dell’utilità del no dopo molti post all’insegna del “volèmose bbene”.
    No, non mi picchiate! 🙂
    Non fraintendetemi, ho colto lo spirito del tema del mese, e per me è stato utilissimo considerato che per carattere sono più portata a dire no e ho quindi bisogno di smussare un po’ gli angoli, per lasciare spazio di manovra alla Piccola Peste (non troppo però, altrimenti quella se ne approfitta!). Tanto da noi quello col cuore tenero è mio marito, anche perché come dice “pa-pààààààà” lei…
    Credo però che molti scambino il porre dei limiti con la disciplina da caserma (io dico tu fai), finendo nell’eccesso opposto di non fissare nessun paletto, pensando che “tanto sono bambini”. Così secondo me si fanno dei gran danni perché non si abitua il bambino al confronto (e anche allo scontro se necessario), favorendo al limite comportamenti aggressivi quando questi bambini di rapportano con l’esterno che non è così conciliante come la propria famiglia.
    @Marianna, quello dei cassetti è un bel problema, ma si può fare!
    Io ho insistito tanto con la Piccola che certi cassetti non si toccano, ne ho lasciati alcuni in basso per lei e quando apriva gli altri dicevo “no, questi non sono i tuoi cassetti, perché non apri i tuoi”?
    Dai e dai ha funzionato , ma i primi tempi mi sono anche aiutata con lo scotch di carta (che non rovina il legno): certo ogni volta per recuperare una tovaglia ci mettevo un po’, però nel complesso è stato utile perché ora non tenta più di aprirli.
    I blocca cassetti non so se funzionano, mio nipote a 3 anni li apriva con 1 dito…

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  13. Ah, Serena, come mi leggi nel pensiero!! Bellissimo post, sono d’accordo su tutto, specialmente sulla relativizzazione dei limiti. Sono una gran fan dei limiti diversi nelle diverse situazioni: innanzi tutto perchè io ho il diritto di organizzare le cose come dico io a casa mia e le nonne quello di organizzarsi come meglio preferiscono a casa loro, tanto per fare un esempio. E poi perchè anche solo fra mamma e papà, ogni genitore ha il diritto e il dovere di COSTRUIRSI un rapporto con i figli, imparando a rispettarsi reciprocamente e a conoscersi. Inoltre, magari quello che io non riesco a darle lui lo saprà fare, e viceversa. Non mi spaventa affatto che TopaGigia cresca pensando che certe cose si fanno meglio con mamma che con papà, sempre che ci sia un buon viceversa.
    @Marianna: si, si può. Certo, nessuno conosce meglio di te tuo figlio e quindi solo tu sai se può già capirti o meno, ma io ti assicuro che l’ho fatto, forse anche da un paio di mesi prima. Se hai pazienza, ho fatto una lunga discussione proprio su questo tema con Elisa. Abbiamo cominciato fra gli ultimi commenti al post La routine secondo Tracy Hogg da 0 a 6 mesi: That’s EASY!. Ti ci vuole pazienza però perchè è stato uno scambio piuttosto acceso…
    Comunque adesso TopaGigia (18 mesi) sa che c’e’ un cassetto in cucina che può aprire e altri no, ma sopratutto sa che può aprire ma non deve prendere nulla da dentro e deve stare attenta alle dita quando richiude (quello l’ha imparato un pò anche a sue spese, in effetti…). Io comunque glielo ricordo continuamente.

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  14. quanto è difficile fare i genitori….e quanto è difficile capire in che limite è giusto “sgridarli”, quando bisogna dirgli di NO, quanto è vero il fatto che lui è piccolo e non capisce quindi può fare quello che vuole (giustificazione della nonna x far fare tutto al nipote compreso prendere i soprammobili di ceramica ad esempio) è veramente difficile trovare il giusto equilibrio.
    Consiglio pratico: si può far capire a un bimbo di 14 mesi che un cassetto non si apre (solo 1 cassetto gli altri li può aprire senza problemi) è giusto cercare di “imporre” la propria volontà oppure si fa prima a mettere il bloccacassetto e così non c’è storia???
    Questo è un limite che il genitore vuole imporre oppure è presto a 14 mesi per cercare di fargli “capire” che NO è NO?
    E come si fa??
    ops…spero di non essere andata fuori tema…..

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    • @Marianna no, non sei andata fuori tema. A 14 mesi forse lui non è pronto per capire ma soprattutto ricordarsi di non aprire quel cassetto, ma è il tuo compito quello di ricordarglielo ogni volta che ci si avvicina. A forza di ricordarglielo lo capirà, e se ne ricorderà. Anche io avevo solo alcuni cassetti e sportelli vietati in cucina. Però non c’è bisogno di sgridarlo, proprio perché lui sta facendo il suo lavoro che è quello di esplorare il mondo che lo circonda, e ha bisogno che mamma o papà gli ricordino con voce ferma che quel cassetto non si può aprire. Poi magari lo aiuti anche a trovare i cassetti che si possono aprire.

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