Decalogo per un dialogo tra genitori e insegnanti

insegnante-2Mi domando da circa cinque anni (quelli in cui il Piccolo Jedi ha frequentato la scuola elementare) quando sia successo che genitori e insegnanti si siano schierati su due fronti e abbiano iniziato a combattersi. Di sicuro ero disattenta, distratta, presa da altre questioni, lontana dal mondo scolastico perché non più allieva e non ancora genitore, ma ho perso il momento della dichiarazione di guerra.
Quindi in realtà non so bene cosa sia accaduto: chi ha scatenato le prime scintille, chi ha provocato, chi ha risposto al fuoco.
So soltanto che mi sono ritrovata da genitore in una scuola che mi è del tutto sconosciuta ed estranea, diversa da quella che ho frequentato, popolata di insegnanti molto diversi da quelli che ho avuto io. Vabbè, mi direte, son passati circa vent’anni, volevi trovarla uguale? No, d’accordo, ma non volevo trovarla così smarrita e attonita.

Poi mi pongo un’altra domanda: ma gli alunni, in questa guerra, dove stanno? Sono loro i colpi di mortaio? Sono nelle trincee con i genitori? Sono nei centri di comando a spostare pedine? O forse sono sul campo di battaglia, calpestati dai combattenti?
Perché gli alunni sono i nostri figli e io vorrei sempre sapere dove stanno, ma soprattutto come stanno, cosa pensano e che idee hanno.

Allora, ditemi voi che ne sapete di più, perché magari c’eravate: quando si è interrotto il dialogo tra scuola e famiglia, per diventare due voci sorde che si urlano contro?
Quando è accaduto che sia diventato un rapporto di scarico di colpe e frustrazioni, sulla pelle dei ragazzi?

Leggo un articolo su D di Repubblica a firma Veronica Mazza, che consiste in un’intervista alla psicoterapeuta e sessuologa (ma per caso erano finiti gli esperti in tema col pezzo??!! Qualcuno che abbia a che fare con la scuola, no?) Nicoletta Suppa.

Questo articolo pretende di essere è un vademecum per interagire con gli insegnanti dei nostri figli. In particolare è diretto alle MAMME e orientato a suggerire cosa NON dire allA maestrA (ma sì, diamo per scontato che sia un “lavoro per donne”! Anzi, consideriamolo alla stregua di un buon part-time da “gestione familiare”! Questo aiuterà molto il reciproco rispetto e la reciproca considerazione tra interlocutori. Soprattutto diamo per scontato che il rapporto casa-scuola è una questione da donne, anche questo farà sentire tutti molto partecipi e coinvolti).
Mi permetto di estrapolarne qualche brano e di trarne qualche interpretazione che, premetto, sarà polemica (così sgombriamo il campo da eventuali fraintendimenti).

È il tuo alter ego quando il tuo bambino va a scuola, che lo sostiene e lo aiuta nel suo percorso formativo. Il rapporto che instauri con lA maestrA di tuo figlio influirà moltissimo nella sua educazione, ecco perché è fondamentale stabilire un rapporto di fiducia.
Dunque lA maestrA è il mio alter ego di MAMMA. Benissimo: lA maestrA è dunque una sostituta, una persona che riproduce il mio ruolo (ma un po’ peggio, perché non sono io) e svolge un compito equivalente? Eh no. Non ci sto. Io non voglio alter ego: io voglio insegnanti. Voglio professionalità, capacità, conoscenza e competenza. Io voglio che l’insegnante dei miei figli (neutro, né maschile, né femminile) abbia un ruolo completamente diverso dal mio. Solo così possiamo rispettarci: perché abbiamo sfere distinte. Solo così dialoghiamo e non ci sovrapponiamo: ognuno con il suo ambito, la sua sfera, il suo mondo. Non voglio che tu sia genitore e tu non devi volermi insegnante.
Rispettiamoci, mi basta.

La relazione che si crea dovrebbe assomigliare ad un “passaggio” nell’affidamento del figlio, che in questo modo imparerebbe a vedere lA maestrA come il suo punto di riferimento nell’ambiente scolastico. Se da parte dei genitori c’è stima, anche il bimbo riconoscerà il suo ruolo autorevole.
Quindi io genitore ti passo la palla (il figlio) con un bel passaggio e te lo lascio in “affidamento”. Non mantengo il mio ruolo educativo sempre, in ogni momento della mia vita, non sia mai! Mi deresponsabilizzo con un buon assist per qualche ora della giornata.
E invece no. Io vivo da genitore anche mentre mio figlio non c’è e non ti delego nulla di ciò che spetta a me. Tu fai il tuo lavoro, fallo con coscienza, provaci, sbaglia, ripara all’errore, aggiusta il tiro. Fai il tuo lavoro con competenza, non sentirti affidati quei figli: sono semplicemente i TUOI allievi. Quando sono lì sono tutti tuoi, non te li ho affidati io: sono persone con le quali devi trovare la tua chiave di comunicazione. Io non esisto a scuola, ma tu devi esserci, totalmente, perché è il lavoro che hai scelto (e se non lo hai scelto, ma ti è capitato, non è un problema mio).

La base per dar vita a un dialogo costruttivo è non porsi su un piano superiore rispetto alla maestra. “A volte molte madri lo fanno consapevolmente, convinte di conoscere meglio di ogni altro il proprio figlio. Vero, ma andrebbe ricordato loro che ogni mamma conosce il proprio bambino appunto nel ruolo di figlio, non di alunno. Il rapporto quindi può essere differente. È importante porsi in modo paritario con l’insegnante, cooperando con lei nel processo educativo, provando – e riuscendo per quanto possibile – di mantenere ruoli diversi” afferma l’esperta. Inoltre, è fondamentale che il genitore rispetti le sue dinamiche d’insegnamento senza criticarla davanti al figlio. Se c’è qualcosa che non condivide, dovrebbe parlarne direttamente con lei. “Attenzione però a non confondere i due ruoli: se quello di madre, ad esempio, è impostato su una determinata modalità educativa, quello della maestra non dovrà necessariamente ricalcare lo stesso approccio. Anzi, per il bambino è più formativo confrontarsi con stili adulti tra loro diversi” dice Suppa.
Oh, quindi la psicologa e sessuologa (!!) sostiene esattamente il contrario di quando affermato in premessa: ruoli diversi. Mi sta molto bene, ma allora perché abbiamo parlato prima di alter ego e affidamento?

A questo punto arrivano le 10 regolette negative di comunicazione (che già dire cosa NON fare è molto meno costruttivo che spiegare cosa fare):

1. Sono in ansia quando lo lascio a scuola
Questo fa intendere che non hai fiducia in lei, che non le stai affidando il bambino fino in fondo. LA maestrA potrebbe interpretare una frase come questa in modo molto svilente.

No, lA maestrA da una frase come questa dovrebbe capire davvero tante cose! E’ una frase illuminante: se lo pensate, ditela tranquillamente, così l’insegnante avrà chiaro il quadro della situazione. Non siate timidi! Ditelo, ditelo, così non si farà fatica a leggere i comportamenti indotti dall’ansia nei figli.

2. Mio figlio non viene volentieri
È un’affermazione che sottintende una responsabilità dell’insegnante, perché sembra voler dire “è colpa tua”.

Veramente non condivido l’interpretazione della frase. “Mio figlio” è il soggetto, non leggo l’attribuzione eventuale di responsabilità all’insegnante. “Non viene volentieri” può essere un dato di fatto o una mia interpretazione. Perdiamoci qualche minuto in più tutti quanti a capire SE non va volentieri a scuola e, nel caso, PERCHE’.
Quanto è rilevante questo fastidio? Non stiamo magari sopravvalutando un atteggiamento normale (quello di non volersi ruzzolare fuori dalle coperte nelle mattine d’inverno) e forse anche sano di un bambino?

3. Non mi piace il suo metodo
Una dichiarazione di guerra. Una frase del genere svaluta lei e il suo ruolo, pone lA MADRE su un piedistallo da cui lA maestrA viene guardata dall’alto in basso
.

No, peggio, una frase del genere pone lA MADRE (il padre è momentaneamente assente, scusate, torna subito, forse) in un posto che non è suo. MaestrI, ad una frase del genere, vi prego, salutate il genitore e dite di ripassare quando avrà imparato a farsi i fatti suoi.
Però, però, però… siate onesti! Non fate illazioni sul metodo educativo di casa! Non scaricate responsabilità, non delegate il compito educativo vostro. Accomiatatevi senza cerimonie dal genitore ignorante e invadente, ma solo se siete in buona fede. Non accettate critiche su un aspetto squisitamente professionale, solo se siete i primi a non farne sulle dinamiche familiari e personali. Non proponete un metodo per fare il genitore. Non insegnate a noi genitori, non è il vostro compito.
La trasparenza sta anche nello spiegare il vostro metodo, magari all’inizio dell’anno. Comunicateci come intendete procedere, senza chiedere permessi, è il vostro lavoro, non il nostro. Però l’informazione è dovuta. Poi, a quel punto, mettete paletti.
Aneddoto: ieri al colloquio scolastico alla maestra (però noi abbiamo anche un maestro, eh!) è stato chiesto entro che mese intendesse iniziare “i Romani” (perché si ragiona a capitoli del libro, mi raccomando). Dicembre è troppo presto maestra, i bambini si stancano! “i Romani” vanno fatti a gennaio! La maestra ha spiegato un po’ di metodo sul parallelismo geografia-storia e poi… SI E’ GIUSTIFICATA??? No, no, no… qualcosa non mi torna! Perché? “I Romani” sono affar tuo e dei tuoi allievi, nessuno deve permettersi di interferire.

4. Penso ci sia disparità di trattamento tra mio figlio e gli altri alunni
È una frase con una sfumatura paranoica, da evitare perché fa sentire la maestra controllata. […] Questo è l’atteggiamento più sbagliato, da evitare assolutamente se si desidera che il proprio figlio si senta in sintonia con il gruppo-classe.

Giusto, giustissimo, ineccepibile. Ma… se fosse vero?
Perché voi, cari insegnanti, siete umani e i ragazzi non potete vederli tutti uguali. Perché non lo sono. Alcuni vi sono più congeniali, più simili, più vicini. Altri vi sono ostici, non li capite, magari vi infastidiscono anche.
Certo, la vostra professionalità fa la differenza, ma il lato umano resta. Siate onesti anche in questo caso. Se ricevete una critica del genere, non vi chiudete a riccio: la frase è sgradevole, ma provate a riflettere. Può essere vero? E se fosse vero, la disparità che applicate potrebbe anche essere corretta: l’uguaglianza sta nel trattare diversamente chi ha punti di partenza diversi. Deponete un attimo le armi, non vi sentite accusati e maltrattati: se siete in buona fede, difendete la vostra disparità di trattamento. Se sentite di aver mancato in qualcosa, perché siete uomini (e donne) e avete reazioni umane, mettetevi in gioco.

5. I compiti per casa assegnati sono troppi
È un giudizio critico, che detto così chiude il discorso senza lasciare possibilità di controbbattere, e che costringe lA maestrA a mettersi sulla difensiva
.

Direi soltanto: vedi punto 3
Ok, genitore, decidi tu quanti ne deve fare, poi deciderò io insegnante come reagire. Però, insegnante, chiariamoci prima: i compiti sono un obbligo, un dovere, una proposta? Una volta chiarito questo, ognuno si assuma le sue responsabilità. E se le assuma per primo il vero soggetto interessato: lo studente. Genitori, i compiti sono un affare dei nostri figli! Insegnanti, i compiti sono un affare dei vostri alunni! E’ un rapporto a due: scuola-studente. Il genitore qui è davvero di troppo: se non volete che sia coinvolto, non coinvolgetelo nella responsabilità di compiti non fatti. A qualunque età, ragionatene con i bambini. E così avremo tutti insegnato in concreto il concetto di responsabilità

6. Quel voto non mi sembra sia giusto!
Questa affermazione implica un desiderio implicito di sostituirsi alla maestra nella valutazione scolastica del bambino.

Che dire? Sempre come al punto 5 sui compiti? Il voto è espressione della professionalità dell’insegnante: che sia professionalmente modulato. E a quel punto che sia insindacabile.

7. Non ha finito il tema perché il pomeriggio ha lezioni di basket
Frasi simili danno a intendere che si dà più importanza all’attività sportiva che alla scuola.

No, frasi simili riportano al punto 5. Chi sono i due interlocutori sulla questione compiti? I ragazzi hanno tante risorse: se amano lo sport impareranno a fare sacrifici per praticarlo. E questo sarà parte del ruolo educativo anche dello sport.
Se poi nostro figlio deciderà di non finire un tema per l’allenamento di basket… Bè! Stiamo a guardare, sperando che l’insegnante lo rilevi ed agisca di conseguenza.

8. Il bimbo si annoia in classe
Una frase simile sminuisce il lavoro dell’insegnante, perché l’accusa di non essere capace di insegnare nel modo corretto
.

Anche in questo caso, è verissimo che l’intervento del genitore è sovrabbondante. Ma voi insegnanti, la percepite la noia degli alunni? E quando la percepite, lasciate correre e continuate per la vostra strada, consueta, già battuta, già programmata, oppure reagite cambiando qualcosa in voi? Vi adeguate alla classe? Ne sapete leggere gli umori? Vi interessano davvero questi umori o avete perso la voglia di sentire vivi gli studenti? La loro noia non vi fa paura? Non è il male peggiore? Non sentite che qualcuno lo state già perdendo?

9. Dovrebbe cambiare posto a mio figlio perché non va d’accordo con il compagno di banco
Non intromettersi mai nelle dinamiche della classe, a meno che non si sospettino cose gravi. […] Si potrebbe in questo caso consigliare al bambino stesso di parlarne con la maestra. Se il piccolo frequenta le elementari vale lo stesso discorso, in termini più semplici. Oppure si potrebbe informala che questo disagio esiste, senza suggerirle come risolvere la situazione,

Fermi tutti! Cosa intendo? Per caso che il bambino in età da scuola primaria è da considerarsi troppo piccolo per parlare con i suoi maestri? Che solo “in termini più semplici” gli si può suggerire di parlare con gli insegnanti?
Ma se non alla primaria, quando dovrebbe nascere questo dialogo? E poi i termini! Le parole sono importanti! “Si potrebbe consigliare al bambino stesso“: supponiamo che sia una situazione adatta alla scuola media e lo chiamiamo “bambino”? E vogliamo essere presi sul serio?
Se il piccolo frequenta le elementari“: il bambino alle scuole elementari è “piccolo”, cucciolo indifeso e inerme, privo di autodeterminazione, rimpallato dalla MAMMA allA maestrA alter ego – affidataria!
Ma cosa stiamo insegnando ai nostri figli e vostri allievi? Che lavoro stiamo facendo? Li stiamo escludendo dalla loro vita per iperprotezione? Insegnanti, genitori, vi prego: ditemi che non ci state! Ditemi che dalla prima elementare avete suggerito ai vostri figli di parlare con i maestri, di avere fiducia, di esprimere le loro difficoltà. Ditemi, vi prego, che avete riconosciuto un ruolo attivo nella loro educazione. Ditemi che avete pensato la scuola come un rapporto a tre dal primo giorno e che vi siete resi conto che noi genitori siamo comunque la terza parte non protagonista.

10. Il prossimo anno cambieremo scuola
Questo è un annuncio di guerra, da evitare perché va a incrinare il rapporto con la maestra, creando un’atmosfera tesa e controproducente per il bambino. Anche se si sta valutando questa opzione, non è il caso di esprimerlo platealmente
.
Da quando cambiare scuola è un dramma o una dichiarazione di guerra? Voi insegnanti la percepite così? Si tratta di una scelta, potete condividerla o meno, ma non rientra nelle vostre competenze. La vostra professionalità vi permette di essere neutri: fino a che l’alunno sta qui, è affar mio. Fino all’ultimo giorno in cui sarà in questa classe.
Perché non sfrondiamo i nostri rapporti dalla personalizzazione? Dall’emotività? Dalla rivendicazione? No, non ci dovrebbe essere alcun annuncio di guerra… Eppure… da qualche parte la guerra è stata dichiarata.

Questo articolo NON è stato scritto da chi è nella scuola. Questo articolo è stato solo un pretesto per chiedere a voi insegnanti e a noi genitori: cosa invece dovremmo davvero dirci, per deporre le armi?

L’articolo di D è stato linkato anche sulla pagina Facebook della Maestra Larissa, molto seguita e piena di spunti interessanti. I commenti al link sono interessantissimi, ma ce n’è uno che mi riempie di speranza:
Sinceramente non condivido, l’insegnante riveste un ruolo professionale, mentre i genitori hanno un ruolo di educatori naturali..alcune frasi, anche se non condivisibili sono comprensibili. Perchè un genitore non dovrebbe avere il diritto di manifestare la propria ansia. Se l’insegnante è un professionista riuscirà a trovare il modo di placarla, e così per altre questioni. Lasciano nelle nostre mani la cosa più preziosa che hanno al mondo, sta a noi essere in grado di rassicurarli qualunque sia il loro dubbio..con modalità pedagogiche che abbiamo acquisito o da forgiare strada facendo.
Ecco la corretta divisione dei ruoli. Ecco la valorizzazione della professionalità dell’insegnante. Non un decalogo per genitori che tentano di mascherare le loro ansie, né un decalogo per insegnanti nell’affrontare il nemico genitore. Semplicemente il valore della professionalità, dell’esperienza, della capacità di comprendere. Davanti a questo, il genitore DEVE rispetto. Con questo atteggiamento si può PRETENDERE rispetto.

(nota: i refusi presenti nei brani dell’articolo di D sono stati lasciati inalterati… così… per sfizio!)

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31 thoughts on “Decalogo per un dialogo tra genitori e insegnanti”

  1. Certo che in sostanza sono d’accordo con Silvia, ma lasciando perdere altre casistiche, che meriterebbero attenzioni particolari, esaminiamo per un momento quella del bambino che disturba in classe.Perchè secondo me , è quella più frequente. A volte ne basta uno, per rendere tutta la classe ingestibile, perchè poi gli altri bambini si lasciano trascinare. E quando le maestre lo fanno notare al genitore interessato, questi magari in prima battuta si impegna, poi, insieme al figlio, si sente vittima incolpevole e comincia a sbuffare quando l’insegnante ripresenta ai colloqui lo stesso problema. Alla fine, prenderà a spada tratta le difese del figlio e l’insegnante diventerà il nemico. Ve lo dico per esperienza, ne ho viste un sacco di situazioni del genere. Spesso, avendo una bambina vivace, anche io dentro sbuffo, e penso: “ahimè, povera bambina, sta chiusa 8 ore dentro la scuola e sia mai, è già troppo brava così.” Pensieri fuggevoli, mai espressi, soprattutto alle maestre o alla diretta interessata. E voi? Non siamo troppo tolleranti nei confronti dei nostri figli? Ricordiamo loro che la scuola è un privilegio, che molti bambini non si possono permettere? Poi, per carità, l’incompetenza c’è in tutte le categorie, ma forse noi genitori siamo troppo sensibili sull’argomento figli.

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    • Leggo moltissima frustrazione da parte sia di genitori che insegnanti. Forse è ora di far ripartire il dialogo, di posare le armi come ci invita a fare Silvia. Forse abbiamo proprio bisogno di ripensare la ridefinizione dei ruoli, per chiarire i confini. Io ho fiducia che è anche attraverso questo genere di dialoghi che si può fare, attraverso un contatto tra un sito di/per genitori e insegnanti. Continuiamo a rifletterci insieme.

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  2. Io sono mamma di due bimbe (1 media, 2 elementare).
    Sono stata una mamma in guerra per la prima figlia. Lo ammetto, senza problemi. Ma lo sono stata non perche’ non avessi rispetto della scuola e del ruolo degli insegnanti. Forse ne avevo (ne HO) troppo. Ne ho un concetto altissimo, che giorno dopo giorno mi é stato buttato giú a picconate.
    Da insegnanti confusionarie. Disorganizzate. Spesso ignoranti in modo imbarazzante. Che hanno fornito a mia figlia una preparazione disastrosa, lasciando a noi famiglia il compito di sopperire ai buchi (voragini?) che loro causavano. Peccato che io lavori quando va bene 40 ore a settimana, e sia pagata per fare il MIO lavoro, non il loro. Non lo so fare, al massimo mi arrangio. Tappo buchi. Ma non sono un’ insegnante.
    Insegnanti cosi’ sulla difensiva da non dire nemmeno quale programma avrebbero svolto, “perche’ non si vogliono sentire controllate”.
    Da una scuola che tollera questa mancanza di professionalita’ mille volte evidenziata e dimostrata. Da un dirigente scolastico senza la spina dorsale per prendere provvedimenti
    Da un sistema che dice che gli insegnanti sono ” responsabili” della formazione dei nostri figli, ma che in realt’a non li rende responsabili di nulla. Perche’ se sei responsabile e fallisci paghi. L’insegnante che fallisce resta li’ a far danni, intoccabile.
    Posso tollerare che un parrucchiere mi sbagli il taglio di capelli. I capelli ricrescono, e non sono cosi’ importanti.
    Mia figlia e’ la cosa piu’ preziosa che ho, e darle una buona istruzione per me e’ mille volte piu’ importante di qualunque bene materiale.
    In tutto cio’ mai mi e’ sfuggita una parola di critica davanti a mia figlia. Il rispetto dell’insegnante da parte sua doveva e deve essere la prima cosa. Ma IO quel rispetto lo avevo perso.

    Con la mia seconda figlia mi bacio i gomiti ogni giorno per la fortuna che ho avuto. Ha insegnanti preparate, affettuose, coinvolgenti. Insegnanti cosi’ certe e sicure del proprio ruolo e della propria professionalita’ da condividere con i genitori COSA fanno, COME lo fanno ed anche il PERCHE’ lo fanno. Chiedendo ed ottenendo la collaborazione di tutti.
    Io dedico tempo – certamente – a mia figlia. Ma non mi sostituisco all’insegnante. Consolido a casa secondo quanto concordato con lei.
    Se ho una perplessita’ la esprimo e – toh! – lei non solo non si offende ma mi spiega, spesso mi convince e addirittura a volte mi ha dato ragione ringraziandomi “ma sai che non ci avevo pensato? buona idea”.
    Recentemente sono uscita dalla riunione con le insegnanti con il groppo alla gola. Letteralmente. Dalla commozione. Nel vedere la dedizione, l’affetto e la voglia di fare, di coinvolgere la famiglia per lavorare INSIEME per il bene dei NOSTRI (parola usata da loro) bambini. Nel rendermi conto che non devo piu’ essere in guerra, che la scuola che io vedo li’, su un piedistallo, esiste.

    Quindi sottoscrivo in pieno il discorso secondo il quale la professionalita’ degli insegnanti deve essere valorizzata.
    Ma questa professionalita’ deve esistere.
    E non sempre c’e’.

    Io voglio fare il genitore, non l’insegnante.
    E quando sono stata costretta a farlo non l’ ho trovato giusto

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    • “…credevamo di avere un obiettivo comune e condiviso, ma qualsiasi cosa facessimo o dicessimo noi eravamo sempre in torto e loro erano le depositarie della conoscenza e alle nostre proposte o domande si sono sempre messe sulla difensiva, trattandoci con arroganza e aggressività.
      In sintesi i decaloghi non servono a niente, come avete fatto notare, perché che siano i genitori o gli insegnanti a considerarsi superiori alla controparte alla fine a soffrirne è solo il bambino che si trova nel mezzo…”

      “Sono stata una mamma in guerra per la prima figlia. Lo ammetto, senza problemi. Ma lo sono stata non perchè non avessi rispetto della scuola e del ruolo degli insegnanti. Forse ne avevo (ne HO) troppo. Ne ho un concetto altissimo, che giorno dopo giorno mi é stato buttato giù a picconate.”

      Io non posso che parlare da genitore e queste che ho riportato sono due voci, intense, di genitori.
      Mi sembrava evidente che il post fosse scritto per dimostrare che i decaloghi (peraltro superficiali e scritti da “esperti” della qualunque) servono a ben poco e che l’unica risorsa di dialogo è il rispetto RECIPROCO e l’impegno.

      Anche io mi domando perché gli insegnanti siano tanto sulla difensiva. Reagite: pretendete il vostro spazio esclusivo. Mettete i genitori alla porta quando è il caso. Ma poi siate onesti e presenti con i bambini/ragazzi.
      Non riesco a comprendere perché OGNI VOLTA che l’argomento scuola è trattato da un genitore, gli insegnanti si sollevino comunque e a prescindere. Come fate a leggere parole astiose nel mio post? Polemiche di certo, ma verso un articolo di giornale inutile e potrei dire anche offensivo dei ruoli.
      Dove leggete la polemica con voi insegnanti? Siamo qui per credere in voi, per rispettarvi. E siamo in tanti. Fossimo anche un 50%, siamo tanti.

      L’analisi di Lorenzo mi sembra molto calzante: gli ultimi venti anni hanno smontato il ruolo dell’insegnante. Un lavoro non “vincente”, non “rampante”, un lavoro da deridere, perché si occupa di cultura, questa parola da pronunciare con sufficienza e sprezzo.
      Però alla società partecipate anche voi che insegnate. Siete stati al gioco? Voi che insegnate oggi ci avete creduto fino in fondo?
      Spiegatemi meglio l’ostilità, vi prego, non me la raccontate, la vedo. Spiegatemi i motivi.

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  3. Passata la notte mi sono accorta di essermi un po’ sfogata ieri sera (d’altronde l’odissea passata lo scorso anno mi ha segnata molto)… Ho riflettuto anche rileggendo i commenti degli insegnanti al tuo post.
    La guerra è ormai totale, si vede dal modo in cui chi ha commentato considera i genitori dei bambini di oggi.

    Non vorrei passare per quel 50% di genitori peter pan accusati da Donatella: noi non abbiamo mai difeso il comportamento di nostro figlio, non abbiamo mai parlato in modo negativo delle maestre in sua presenza, anzi cercavamo di spronarlo a comportarsi meglio usando persuasione, premi ma anche punizioni, abbiamo dato (a malincuore) fiducia alle insegnanti fino alla fine, anche quando hanno deciso di girare il suo banco contro il muro, con la giustificazione che lo avrebbe “aiutato a concentrarsi”, salvo poi peggiorare ulteriormente la situazione.
    Ci siamo persino rivolti a una psicologa dato che in considerazione dei continui commenti catastrofici delle maestre iniziavamo a temere un disturbo dell’attenzione…

    Insomma credevamo di avere un obiettivo comune e condiviso, ma qualsiasi cosa facessimo o dicessimo noi eravamo sempre in torto e loro erano le depositarie della conoscenza e alle nostre proposte o domande si sono sempre messe sulla difensiva, trattandoci con arroganza e aggressività.

    In sintesi i decaloghi non servono a niente, come avete fatto notare, perché che siano i genitori o gli insegnanti a considerarsi superiori alla controparte alla fine a soffrirne è solo il bambino che si trova nel mezzo…

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  4. … quindi state dicendo che i “decaloghi” sono una brutta cosa… che è esattamente quello che diceva Silvia nel post! 😛

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  5. Premesso che in quanto uomo anche a me l’articolo ha provocato un notevole moto di repulsione, dato che non venivo minimamente considerato come possibile parte in causa né tra i genitori né tra gli insegnanti, vorrei porre l’attenzione su una importante premessa che fa Silvia: “Quindi in realtà non so bene cosa sia accaduto: chi ha scatenato le prime scintille, chi ha provocato, chi ha risposto al fuoco”.
    Io credo di saperlo; Silvia dice “son passati circa vent’anni”, e sono i venti anni nei quali il ruolo dell’insegnante è stato più svilito tra tutti quelli della storia del nostro paese.
    A livello professionale il corpo degli insegnanti non è stato né particolarmente gratificato né difeso; nel sentire comune l’insegnante continua a essere visto come lo “statale” che gode di numerosi e sostanzialmente immeritati vantaggi, e come risultato la sua viene percepita come una professionalità sostanzialmente “facile”, quando non parassitaria e del tutto priva di ambizione, importanza e per niente accattivante.
    A me non pare un caso che sia cominciato uno scontro: gli investimenti nella professionalità e nella qualità degli insegnanti sono stati più o meno nulli negli ultimi lustri, e il risultato non è tanto nella qualità intrinseca dei docenti quanto nella percezione comune che si ha del loro lavoro. Nella sostanza, qualunque genitore si sente superiore a un insegnante: e non vedo come potrebbe non essere così, con un sistema politico e di comunicazione che né lo difende né attribuisce al suo lavoro l’importantissima funzione sociale che ha.
    Lo scontro mi pare inevitabile, con queste premesse. Un contesto politico e sociale di questo tipo si cambia unendo gli intenti, e non raccomandando gli uni agli altri “decaloghi” di esperti.

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  6. Noi siamo approdati alla scuola primaria l’anno scorso abbiamo sempre parlato apertamente con le maestre offrendo tutta la nostra collaborazione e disponibilità, dato che nostro figlio ha avuto un debutto piuttosto turbolento (ne avevo parlato ampiamente sul blog se qualcuno fosse interessato ad approfondire), ma tutta la disponibilità del mondo non sarebbe bastata con quelle insegnanti.

    A maggio abbiamo detto chiaramente (all’ennesimo colloquio aggiuntivo rispetto a quelli da calendario) che nostro figlio era a disagio a scuola… insomma quale bambino non lo sarebbe dopo un mese con il banco girato contro il muro, perché “disturba troppo”… ma le insegnanti hanno dato la colpa a noi perché i bambini che si comportano così a scuola hanno di sicuro un disagio che viene da fuori.
    Insomma invece di mettersi in discussione (come avevamo fatto noi per mesi cercando di capire cosa succedesse a nostro figlio per aiutarle a “gestirlo”) hanno preferito “chiudersi a riccio” perché si sono sentite “accusate e maltrattate”, quando noi cercavamo soltanto di aiutarle ad aiutare il nostro bambino.

    Noi sinceramente a quel punto abbiamo fatto come dice la psicologa dell’articolo. Mancavano tre settimane alla fine della scuola e a loro non abbiamo detto che intendevamo trasferirlo in un’altra classe. Ci siamo rivolti direttamente al dirigente scolastico.
    E comunque, sì, quelle insegnanti hanno preso la nostra decisione per “una dichiarazione di guerra”, tanto che nonostante la scuola fosse ormai finita la peggiore delle due ce ne ha dette di tutti i colori, perché loro stavano seguendo un percorso (che a noi non hanno mai voluto spiegare però) accusandoci di fare il male del bambino che avrebbe per sempre sofferto per il cambio di classe…

    Per fortuna le cose non stanno andando come lei ci ha (mal)augurato, dato che con i maestri “giusti” nostro figlio in classe è diventato semplicemente un simpatico e intelligentissimo chiacchierone, con la testa fra le nuvole.
    Certo, all’inizio ha sofferto per aver lasciato i vecchi compagni, ma ora è perfettamente inserito nel nuovo gruppo, non prende più note, ed è tornato ad essere sereno…

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  7. E’sempre ingiusto generalizzare ma, da insegnante, noto che il 50% delle famiglie considera la scuola come un baby parking.
    Poco importa SE e quanto imparano, l’importante è che restino via da casa il più possibile e che non debbano essere sostenuti nella noia dei compiti.
    I genitori Peter Pan sono troppo occupati con lo yoga, il calcetto e il corso di teatro, sono rimasti emotivamente adolescenti, cambiano partner ogni due anni e, nonostante abbiano trenta o quarant’anni, vedono gli insegnanti come li vedevano da ragazzini (cioè dei tiranni) con la differenza che adesso possono vendicarsi di loro tramite i propri figli nei quali si identificano.
    Per fortuna c’è l’altro 50%.
    Sono i genitori adulti e responsabili. Con loro non occorrono decaloghi o muri da erigere perché gli obiettivi sono comuni e condivisi.
    E non importa se hanno un figlio bravo o con disturbi dell’apprendimento, tutto si risolve quando la famiglia ci appoggia e ci sostiene nell’interesse del bambino.
    Il dramma della scuola? Sono i genitori Peter Pan, non ho dubbi!

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    • @Donatella ti rispondo da genitore e come tale non so quanti genitori “Peter Pan” ci siano in generale e quanti ti capitino nelle tue classi, mi chiedo però se forse non abbia più senso porsi una domanda differente: come possiamo fare in modo che il dialogo, la comunicazione insegnante-genitore funzioni anche per quel 50% di genitori Peter Pan? Non vale forse la pena trovare soluzioni anche con loro? Sono certa tu ci abbia già provato un milione di volte in mille modi differenti, che però evidentemente non hanno funzionato (altrimenti non staresti qui a parlarne in questo modo). Ecco, proviamo a rifletterci insieme su queste soluzioni.

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  8. Io non ho parole,poi ci meravigliamo se i bambini sono così confusi e non rispettano le insegnanti.Io ricordo, che quando tornavo da scuola e mi lametavo della mia maestra gran brava donna (oggi lo riconosco)mia madre non mi dava ragione, non accusava e non se ne usciva con frasi tipo:non darle retta o ti cambio scuola…….Oggi non si rispettano più i ruoli, è un dato di fatto, per questo poi ci ritroviamo tanti selvaggi per casa.Nessun insegnate,nel pieno delle sue facoltà mentali,ovviamente, si crede infallibile,però la sfiducia e il non rispetto è così evidente, tangibile che se non fosse per l’amore verso i bambini e la passione per l’insegnamento, certi giorni ti verrebbe di abbandonare tutto e andare a lavorare agli uffici statali ….Le povere insegnanti,però,proprio non ci riescono a stare senza i loro cuccioli….Io insegno da sempre,non ho mai pensato di fare un altro lavoro,adoro i miei bimbi,non mi sono mai sostituita ai genitori…sarebbe ora ,però, che anche i genitori (badate sono una mamma anch’io)imparassero a fare i genitori…mestiere che, se fatto bene, impegna ogni secondo della giornata.Vi siete mai chiesti perchè nessuno chiede mai spiegazioni alle altre categorie di lavoratori?????Lasciate fare il mestiere a chi lo sa fare,fate le vostre critiche ,per carità è un vostro diritto, ma che siano costruttive e non offensive o peggio fatte solo per sminuire chi intende il suo lavoro una missione.Voi non avete idea della gioia che che proviamo ogni volta che un nostro alunno legge la sua prima parolina…e se sbagliamo, qualche volta,concedeteci o infallibili genitori, il vostro “perdono”!!!!!!

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  9. Le tue risposte astiose e pungenti rappresentano in pieno quello che è oggi il rapporto docenti-genitori:mancanza totale di fiducia. Condivido quello che dici (non in tutti i punti).Ho cercato di mettere in secondo piano il tuo tono accusatorio (era nei confronti della psicologa soltanto?).Oggi uno dei problemi salienti della scuola è questa non comunicazione con alcuni genitori. Noi insegnanti non vogliamo sostituire nessuno (ci manca solo quello).Vogliamo lavorare nella trasparenza e nel rispetto dei diritti del bambino (a cui tra l’altro, non verrebbe mai l’idea di cambiare scuola se non fosse suggerito dal genitore).
    Abbiamo problemi molto seri da affrontare oggi.Fronteggiare la carenza di personale in classe (sostegni ridotti all’osso, scarse comprensenze); applicare una didattica diversificata-individualizzata nel rispetto dei bisogni educativi di tutti; racimolare materiale di qualità (che la scuola non passa); formare ad una cittadinza attiva (così saranno più bravi di noi ad affrontare i periodi neri della società come il nostro)….Tutto questo non è possibile senza l’appoggio e il confronto della famiglia. Ma noi insegnanti non possiamo agire bene se c’è chi crede che noi vogliamo sostituirci ad un genitore. Ha sbagliato la psicologa nella forma, probabilmente. Ma come era prevedibile…ecco alcune reazioni agguerrite. Eppure la scuola dovrebbe essere un “campo di esperienze” (così come si comincia dall’infanzia) non un “campo di battaglia”. Buon lavoro a tutti (genitori e scuola ovviamente).

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  10. Ma che bello!!!!
    Il dialogo e la comunicazione, sincera, nel rispetto reciproco dei propri ruoli! Eppure anch’io affacciandomi lo scorso settembre alla prima elementare di mio figlio (a 30 anni di distanza dalla mia prima elementare), ho trovato talvolte un’istutuzione “vecchia” per approccio, modalità di comunicazione, gestione delle relazioni interne ed esterne. Pare che nessuno (genitori e insegnanti) si rendano conto che in questi anni studi hanno approfondito le tematiche sull’intelligenza emotiva, l’importanza delle relazioni. Invece, dal punto di vista degli insegnanti è spesso “colpa” dei genitori: il bambino non mette la canottiera nei calzoni? Non è autonomo per colpa del genitore! No, caro insegnante, mio figlio è autonomo se ritiene di doverlo essere, ma se tu non gli spieghi il motivo, lui, testardo fino al midollo, non metterà la canottiera nei calzoni, perché dice che è scomodo!
    E poi le indagini sull’ora in cui vanno a letto in classe, per poi dire in riunione che i bambini sono stanche perché i genitori alla festa patronale (notare una volta l’anno!) li hanno portati a vedere lo spettacolo pirotecnico! La mia maestra, ripeto 30 anni fa, il lunedì mattina chiedeva chi fosse andato a messa la domenica, ed era scuola pubblica, non religiosa!
    D ‘altra parte i genitori accusano gli insegnanti perché da quando va a scuola Giacomino ha perso l’appetito, la mensa non gli piace. Li portano troppo fuori nell’intervallo (viva Dio aggiungo io) con questo freddo si ammalano! E ancora, la maestra di matematica è troppo severa, perché non usa il metodo cinese? E poi alle medie perché studino bisogna far loro i riassunti se no restan bocciati! Coooosaaa???? Io mi rifiuto, anche una bocciatura è educativa, molto più di tre anni passati a studiar riassunti fatti da mamma! Sapete cosa mi rispondono se faccio queste affermazioni? “Tu parli così perché tuo figlio è portato per la scuola!” E qui non aggiungo altro…

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  11. ansiaaaaaa, domani colloquio con i maestri e oggi il pupo ha menato uno di 3 anni più grande…. ansiaaaaaaaaaaaaa

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  12. Domani ho i colloqui. Conosco la mia bischera (figlia) e so già in parte che cosa aspettarmi. Ho sempre di fronte delle persone ragionevoli con cui si può,con educazione,parlare e ragionare. Poi conta anche la fortuna e io probabilemente, con queste insegnanti sono stata miracolata. Hanno i loro difetti ( e chi non ne ha), ma l’impegno che profondono nel loro mestiere è encomiabile e sulle loro pecche ci passo sopra. Io credo che si debba partire dal presupposto che hanno un compito arduo. Che la scuola non deve diventare un campo di battaglia perchè vengano riconosciuti i pregi dei nostri pargoli. La scuola può essere anche dura, a volte ingiusta. La scuola è una palestra di vita, non dobbiamo pensare che in classe si riproducano le stesse condizioni di casa. Coccoliamo a casa i nostri figli, ma lasciamo, nei limiti del ragionevole, che “si facciano un po’ le ossa in classe”. A volte i genitori pretendono troppo. A volte alcune insegnanti sono ingiuste, o alla peggio, anche incompetenti. Direi che la soluzione non è la polemica, ma far fruttare al meglio le materie prime che ci vengono messe a disposizione. Poi, eventualmente, a mali estremi, senza tante minacce, la scuola o la sezione, si può pure cambiare.

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  13. anche io ho apprezzato molto il commento della lettrice che menzioni, Silvia. Dal mio punto di vista (e come parte di un corpo docenti, anche se non a livello scolastico) la professionalità viene prima di tutto, e deve, DEVE, essere a tutto tondo, non soltanto le competenze educative, ma anche quelle comunicative, con tutti i soggetti con cui si è a contatto, dagli studenti ai genitori ai colleghi a terzi. Pensavo al parallelo con la visita medica, per come si vivono queste giornate di colloquio con gli insegnanti, e penso funzioni allo stesso modo: mi aspetto da un medico, durante una visita, che non sottovaluti le mie ansie e mi ascolti (stavo per dire “pazientemente” ma no, non è questione di pazienza, anche qui, è il suo lavoro), non si senta messo sul banco d’accusa se io credo che la cura non sta facendo l’effetto che io credevo facesse, ma mi spieghi e mi aiuti a prendere in mano la mia stessa condizione fisica e gestirla con il suo supporto. Il parlare con me, e lo spiegare le cose, nonostante magari un mio comportamento irrazionale, dettato da ansie (spesso spiegabili, se non giustificabili) è parte integrante del suo mestiere. Magari quello che manca, fra tutte i millemila corsi di aggiornamento professionale, è qualcosa che fornisca tecniche e strategie comunicative, che vanno pensate e anticipate, non lasciate alla simpatia e estroversione dei singoli? Boh, azzardo.

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  14. …ho insegnato anni fa (per 6 anni)… e sono genitore con bimba che ha appena iniziato la scuola. Personalmente credo che non esistano domande che non si possono fare. E quindi esisteranno risposte adeguate alle domande. L’importante, a mio avviso è che vengano riconosciuti i ruoli valorizzandone la diversità: genitori che ne “sanno sempre di più degli insegnanti” sono paragonabili ai tifosi che farebbero sempre scelte diverse dell’allenatore. Gli insegnanti poi devono calibrare attenzione e distacco nei confronti dei bimbi per non generare cordoni affettivi impropri. Dentro questo orizzonte la domanda ci sta: perchè dovrebbe nascondere dietro-pensieri belligeranti? “Maestra, mi sa che Bea alle lezioni del pomeriggio regge a fatica… vero? Le viene sonno?”. “Non preoccuparti, si deve abituare e poi all’inizio oggettivamente le lezioni erano un po’ noisette, ma da un paio di settimane a ripreso vitalità”. Questo ho chiesto alla maestra: era un’accusa? No. S’è arrabbiata? No.
    Credo che molto di pensa sia da come le cose si dicono, sia dal rispetto reciproco (e dalla stima) che si riesce a costruire.
    Sui compiti credo che in linea di principio quello che scrivi sia giusto… poi ci sono i nostri figli… e a 6 anni questi rapporti a due non sono sempre facili da vivere. E’ un percorso dove la responsabilità matura e cresce: grazi anche ad un rapporto a tre.

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