Chi li fa se li governa

La prima volta che ho sentito questa frase ero al mare. Forse non era nemmeno la prima volta che la sentivo, a dire la verità, ma sicuramente la prima volta che succedeva da quanto ero diventato padre.

Non una vacanza al mare qualsiasi: la prima vacanza al mare con tutti e tre i figli.

“Chi li fa se li governa”.
La disse un signore trevigiano che era nostro vicino di appartamento. Era chiaro come il giorno che lui in quel piccolo bungalow con le nipotine c’era stato costretto dalla moglie.
Non la disse a me, naturalmente, ma a mio suocero.
La cosa buffa è che mio suocero darebbe l’idea di essere il classico padre “di una volta”, di quelli che tanto alimentano i luoghi comuni sui padri che il buon Lorenzo cerca di smantellare anche qui su questo sito.
Invece mio suocero abbassò lo sguardo e fece quell’espressione che gli ho visto fare forse due o tre volte in vent’anni; quella che dice: “Non sono d’accordo, ma tu non capiresti mai per cui nemmeno te lo spiego”.
C’era in quello sguardo abbassato molto più di tante parole. Almeno credo.
Forse c’era il “Certo, ma io ho una figlia bravissima, che ha studiato tanto e mi ha dato tante soddisfazioni cosa faccio non la aiuto?”. Forse c’era il “Ma io a questi tre demoni gli voglio un sacco di bene, me li faresti vedere solo la domenica?”.
Forse.
Magari era solo un più pratico: “Si va bene, ma che alternative ci sono?”
Di fatto io ho ringraziato tanto (senza dirglielo, ovvio) mio suocero per quel silenzio dissenziente, inconsapevolmente solidale nei nostri confronti perché, a conti fatti, quel proverbio antipatico ce lo portiamo dentro al cuore molto più di quanto vogliamo ammettere. Con tutto il suo fardello di sensi di colpa e di inadeguatezza.
Eppure il “gubernum” (timone) della situazione, spesso ce lo abbiamo in mano noi e il mare è parecchio agitato e ricco di insidie: orari da incastare, tetris tra nonni, attività e babysitting, tempi brevi da valorizzare, eccetera eccetera.

Foto privata

Senza parlare della gestione relazionale (i nonni che si sentono sovraccaricati, quelli che si sentono troppo poco caricati, quelli che passano continuamente tra una e l’altra categoria, ecc.).
In realtà anche quel buon uomo trevigiano non aveva tutti i torti. I figli sono nostri e, in qualche modo, l’onere maggiore resta sempre sulle nostre spalle.

Chi li fa se li governa. Per lo meno rimane il timoniere titolare.

Il giro del mondo in solitaria è sempre molto affascinante, ma saper gestire un equipaggio può esserlo ancora di più. E se più grande è la nave e più numeroso è l’equipaggio più alto è il grado del comandante, un motivo deve pur esserci.

 

Bonus track.
Visto che qui di solito si disserta (o era desserta?) di disabilità, mi pare particolarmente a tema un progettino di cui qui, dove lavoro, andiamo piuttosto fieri (pur non prendendo un euro); parte proprio dallo smantellamento dello stesso luogo comune che, nel caso di un figlio con disabilità, porta con sé anche un bel sacco di sensi di colpa.

Si chiama Snorky, come i pupazzetti e vorrebbe che si, il figlio rimane tuo e purtroppo noi non siamo nemmeno in grado di guarirlo. Però se ogni tanto quel benedetto timone lo vorresti lasciare per andare a farvi una coccola, per farla ad un eventuale altro figlio che vivadio un pochino si rischia di trascurare (e giù sensi di colpa), beh, ecco, qualcuno che tiene la barra a dritta lo si trova.
Se qualcuno leggesse e gli venisse voglia di copiare, trovate le informazioni qui. Magari una volta ne parlo in modo più dettagliato perché, a saperla raccontare, sarebbe da farci un film.

Prova a leggere anche:

Previous

Morto un papa se ne fa un altro

La vita è una ruota

Next

Leave a Comment