Un bambino vivace come gli altri

Descrivere il Vikingo come bambino vivace è un eufemismo. Parlare di lui come un bambino capriccioso sarebbe semplicemente sbagliato. Dire che è un bambino difficile inizia a rendere l’idea, ma io preferisco dire che è un bambino ad alto bisogno, o un bambino impegnativo. Ma come sapete l’appellativo che lo descrive al meglio è quello di bambino amplificato, appellativo che è la causa principe che ha portato me e Silvia a fondare insieme questo sito. .

Mi capita spesso di incontrare persone che mi chiedono se il definire un bambino come amplificato, non contribuisca a mettergli un’etichetta e a perdere di vista l’individuo speciale che è in lui.
Questa settimana, in risposta al post pubblicato con la lettera di Marzia, sul mio profilo su facebook, Francesca mi ha scritto: “sarò sincera ma mi mette i brividi pensare di associare a tanti bambini (diversi tra loro) un’etichetta che li accomuna e suona come una malattia. che un test possa decidere se un bambino è “amplificato” o meno e di conseguenza se tu sia un genitore di bambino amplificato o meno mi mette altrettanto i brividi. non è ipermedicalizzazione (senza il medico)?
Rossana ha aggiunto: “non c’è il rischio di rendere “patologici” (passami il termine) problemi difficili ma comunque normali che si affrontano durante la crescita dei proprio figli?

Lo scambio è continuato per qualche commento, ma ho capito di non riuscire ad esprimere il concetto con le limitazioni di facebook, e quindi mi sono decisa a scrivere questo post per poter spiegare meglio il mio punto di vista sulla questione.

Prima di tutto vorrei chiarire che le stesse domande me le pongo anche io in continuazione. Però è un po’ come chiedersi se nasce prima l’uovo o la gallina. Io so per certo che mio figlio ha manifestato queste caratteristiche del temperamento dal primo giorno di vita. La sua necessità di movimento continuo, i suoi cambi di umore repentini con l’altalena emotiva che li accompagna, la sua paralizzante paura delle novità, la sua introversione che lo porta al limite del mutismo, la sua sensibilità ai rumori e alla luci che lo rende fragilissimo. No, non è un bambino diverso dagli altri bambini. E’ un bambino che ha le stesse paure, le stesse gioie, gli stessi passi dello sviluppo, solo che li manifesta in modo diverso, in modo amplificato appunto.

Francesca in un altro commento mi ha scritto: non so, conosco un sacco di cinni che per certi periodi sono stati molto pesi (la frollina stessa ha avuto fasi pesissime, con grandi attacchi di pavor nocturnus) ma con questo non ho mai pensato che fosse parte di una certa tipologia. Mi ricordo che mio padre da piccola mi diceva che ero insicura e così sono cresciuta insicura. Insomma, ho delle perplessità, perché se una cosa la vivi come assoluta, allora lo diventa. Capisco bene che ci possano essere genitori disperati, ma contestualizzerei un po’: si può essere disperati per periodi e avere figli angioletti per altri. Non vorrei che questo tipo di definizione (e quoto in pieno rossana quando parla di “patologico”) diventi un modo per ascrivere fenomeni tipici dell’infanzia e della crescita con cose fuori dal comune, amplificando (passami il gioco di parole) situazioni che invece sono solo la storia particolare di quella persona unica e particolare che è il bambino.

Il punto è proprio questo: gli altri bambini attraversano delle fasi difficili ma poi ne escono. Magari hanno un periodo oppositivo in cui tutto è no, ma poi tornano collaborativi. Queste sono fasi normali e anzi fisiologiche della crescita. Ogni bambino è unico e particolare, eppure tutti i bambini sono uguali nel senso che attraversano le diverse fasi della crescita più o meno negli stessi momenti. Per fare un esempio noto a tutti: il periodo dei terrible two, o dei meravigliosi due anni, come l’ho chiamato io. Ci passano tutti i bambini, e tutti i genitori sono ugualmente stupiti da questa fase oppositiva dei loro bimbi che improvvisamente pretendono di fare tutto da soli, che si rifiutano di collaborare, che testano le loro capacità e la loro pazienza. Eppure i duenni non sono tutti uguali tra loro, ognuno attraversa questa fase a modo suo, pur potendo riconoscere gli atteggiamenti comuni a tutti. Ecco, lo stesso vale per i bambini amplificati, ognuno con le sue peculiarità che li distingue e rende unici nel loro essere “uguali”. Solo che la fase dei terrible two per i bambini amplificati nasce dal momento in cui sono nati, e continua molto più a lungo che i primi 2 o 3 anni di vita.

La genetica ha la sua responsabilità in questo, e non a caso gli stessi tratti del temperamento del Vikingo sono molto evidenti nel padre, nel nonno paterno e nella nonna materna.
Però è giusto chiedersi se mettergli il bollino dell’amplificato in realtà non contribuisca a considerarlo diverso, magari anche malato. Naturalmente è un rischio che si corre, e bisogna stare in guardia.
L’etichetta di amplificato a me è servita per trovare i confini e riuscire a definire una situazione che mi sembrava fuori dal mondo. Mi è servita proprio per capire che non c’è nulla di sbagliato in lui, e di accettarlo per quello che è: un bambino introverso, emotivamente fragile, altamente energetico, che ha un bisogno costante di aiuto per riuscire a crescere in equilibrio con se stesso. E la stessa etichetta mi ha aiutata a capire che non c’è nulla di sbagliato in me come genitore e come persona. Non sono io a renderlo così, non sono io a fargli venire le crisi isteriche perché non riesce a disegnare un pellicano. Non sono io a spingere l’altalena delle sue emozioni. Il sapere che ci sono altri genitori che stanno vivendo le mie stesse insicurezze, che si stanno ponendo le mie stesse domande, che stanno vivendo a tratti lo stesso sconforto, mi fa sentire un po’ più forte.

Detto ciò però è importante non fermarsi all’etichetta, e superare questa sensazione di impotenza, proprio partendo dall’accettazione del suo modo di essere. Il passo successivo, sul quale sto lavorando ogni giorno come genitore, è quello di riuscire a trovare il modo per aiutarlo ad esempio a trasformare la sua testardaggine distruttiva in tenacia che gli permetta di arrivare a raggiungere i suoi obiettivi.
Incanalare la sua energia invece di dissiparla a forza di salti in ogni direzione, sbattendo addosso a chiunque si trovi a passare di li, senza una direzione precisa, seguendo il vento che soffia in quel momento. E usarla invece per fare un grande salto e superare tutti gli ostacoli, e arrivare dove vuole lui, anche fin sulla luna.

Ieri sono andata a prendere i miei piccoli all’asilo alle 16. Sono disoccupata da poco più di una settimana e sono felice di potermi prendere cura di loro dopo l’asilo, compito a cui si è dedicato il padre negli ultimi 6 mesi. Avevo tutte le intenzioni di godermi un paio di ore di gioco gioioso con i miei due tesori. Il Vikingo era in giardino a giocare con L’AmichettoSuo (quello che gli insegna tutto di Star Wars, dissennatori e mummie che ti uccidono nella notte). Pollicino mi vede e trotterella felice verso di me, con il sorriso sulle labbra, e mi avvolge con il suo tenero abbraccio. Il Vikingo grugnisce un “sto giocando con L’AmichettoMio.” Non mi scompongo, sono anni che si va avanti così, e so che questo è un momento di transizione per lui, il passaggio da una attività ad un’altra, da un luogo ad un altro, e che ha bisogno di un po’ di tempo per abituarsi all’idea. Gli dico che può continuare a giocare mentre entro dentro a prendere delle cose e parlare con l’insegnante, ma che poi dobbiamo andare. Quando arriva il momento lui saluta il suo amico e mi segue tranquillo fino fuori dal cancello. Mentre varchiamo la soglia del cancello mi racconta allegramente che si è divertito a giocare con L’AmichettoSuo (cosa molto rara, perché lui normalmente non racconta nulla!). Gli rispondo “e si tesoro, ho visto che ti stavi divertendo con lui”. Tempo un nanosecondo e lui inizia a singhiozzare, IO, balbetta, NON VOGLIO, piange, ANDARE, singhiozza, VIA. Va in apnea emotiva, non respira ed è tutto rosso, io lo abbraccio, cerco di tranquillizzarlo, lui riprende a respirare, ma continua a sighiozzare, è stravolto. Io cerco di mostrare empatia. Gli dico che capisco che si stava proprio divertendo e che deve essere veramente frustrante per lui lasciare l’asilo mentre si diverte così tanto a giocare con il suo amichetto. Lui continua a sighiozzare, poi si arrabbia con me, urla “PERCHE’ DEVI VENIRE COSI’ PRESTO???”, mi da’ un pugno sulla spalla. Io gli fermo la mano e gli dico con fermezza che non si picchia. Che capisco che è arrabbiato ma non può picchiare. Poi continuo con l’empatia. Sono trascorsi pochi minuti e 100 metri dal cancello, ed è passato da allegria, a tristezza, e infine rabbia. Gli dico: “pensa al tuo amico L. che va via alle 3! Chissà se anche lui si arrabbia così tanto con la sua mamma che lo va a prendere così presto? perché tu almeno puoi rimanere a giocare li fino alle 4, che è un’ora in più di lui!” Lui smette di piangere, mi guarda in silenzio, sorride e dice “eh già” e mi inizia a raccontare di quello che ha fatto o detto L. come se nulla fosse.
Passata la crisi continuiamoa camminare. Duecento metri dopo passiamo accanto al parchetto con i giochi normalmente popolato di bambini. Solo che non c’è nessuno a giocare, perché è già buio e fa freddo e sono già tornati a casa. E allora si rimette a singhiozzare e a piangere perché …sono andata a prenderlo troppo tardi!!!! Vi risparmio il resto, ma nel tragitto a piedi fino a casa l’altalena emotiva ha compreso 4 crisi di pari intensità, e si tratta di 600 metri di strada.
Alla fine anche Pollicino ha iniziato a dare i numeri, perché quando il fratello urla in quel modo lui giustamente alla quarta crisi si agita un pochino, che povera stellina ha solo 18 mesi, ed è stanco anche lui dopo una intera giornata di lavoro al nido, ed anche il suo capace buffer emotivo ha bisogno di ricaricarsi.
Vi dico la verità che arrivati a casa avevo già dimenticato la mia voglia di giocare gioiosamente con i miei figli.

Questa non era una giornata particolarmente difficile, ma solo una giornata come le altre, ne più ne meno, e vi ho raccontato solo 600 metri di strada. Non vi ho parlato della frustrazione di non riuscire a scrivere la lettera S, dell’acqua del bagno troppo calda, della cena che non gradiva, della ginnastica acrobatica nel salotto di casa per usare un po’ di energia fisica rimasta, del cocomero che non gli compriamo mai (ma è novembre!!!) e tutto il resto che è successo lo stesso giorno.
Un bambino non amplificato probabilmente si sarebbe dispiaciuto di andare via dall’asilo ma forse lo avrebbe espresso con un’intensità minore, e forse poi si sarebbe anche dispiaciuto di non poter giocare con gli amichetti al parco giochi. Magari una delle due volte si sarebbe anche messo a piangere se era particolarmente stanco. Ma la sua giornata non sarebbe oscillata pericolosamente tra momenti di gioia irrefrenabile e rabbia, o frustrazione. Vi confesso di essere molto provata e stanca di questa altalena emotiva, ma sopratutto non voglio che lui la subisca, perché è paralizzante. Penso che sia molto bello che lui riesca a provare sentimenti così forti, che riesca a vivere emozioni con tutto il suo corpo, e non voglio togliergli o negargli questo suo modo di essere. Vorrei solo aiutarlo a trovare il suo ritmo, per riuscire a cavalcare i suoi sentimenti, a farsi guidare dalle sue emozioni, invece di essere perennemente sopraffatto da esse. Credo proprio che questa sarà la nostra sfida più grande.

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78 thoughts on “Un bambino vivace come gli altri”

  1. Eccomi, anche io mi riconosco e anche io faccio parte del gruppo come mamma di bambina amplificata. Da 5 anni e mezzo cerco di spiegare a chi non la conosce (perchè chi la conosce se ne rende conto da solo) la caratteristica di mia figlia, la mia spina nel fianco, il motivo della mia profonda battaglia quotidiana per accettarla ed amarla nonostante lei, e nonostante la stanchezza e il disagio dovuto a tutti i suoi comportamenti “eccessivi”. E anche per convincere me stessa che non sono io la causa di tutto ciò, che non è colpa di una mia incapacità personale ad essere mamma.
    Ma quanti pianti? Quanta disperazione? Una sensazione perenne di sbagliare e di essere sbagliata. Un allontanamento da mio marito, da familiari e amici, una crisi familiare a 360 gradi. Ma non ho mai mollato.
    Porto una testimonianza positiva. Dopo terapie familiari, letture continue di libri sula psicologia infantile e non, ecc.. da qualche settimana bazzico qui da voi, e non so se sono arrivata in un momento a me propizio o perchè fate davvero miracoli, ho trovato alcune “semplici” risposte a domande che da 5 anni e mezzo io mi stavo freneticamente ripetendo. Ho applicato alcuni consigli e suggerimenti, ho iniziato a guardare mia figlia con occhi diversi, e strano ma vero, ho ottenuti ottimi risultati, tanto che ora mi sembra di essere già “in discesa”, come se l’amplificazione di mia figlia si andasse lentamente ma costantemente esaurendo. E nel dire questo, mi vengono le lacrime agli occhi pensando alla fatica fatta da lei in questi anni, nell’avere avuto come punto di riferimento una mamma impanicata, che la guardava come fosse un’aliena.
    Forse è un pò presto per cantare vittoria, prevedo ancora tante cadute da parte mia (cioè spesso è difficile fermarsi a ragionare prima di attuare un comportamento) ma (non lo voglio dire troppo forte) trovo davvero splendido che ogni sera, tornando a casa dal lavoro, prima di aprire la porta di casa, io non abbia più “paura” di ciò che mi spetta, ma “voglia” di sperimentare con lei nuovi comportamenti positivi e di vedere le sue reazioni.
    Ecco, l’ho detto…… chissà stasera cosa mi spetterà……

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  2. Secondo me è molto vero quello che dice Silvia, a un certo punto: Tutte le volte che c’è stata incomprensione sul termine “amplificato”, è sempre accaduto con genitori di bambini non amplificati. Al contrario, con i genitori di bambini amplificati, è sempre scattata una immediata scintilla, un riconoscimento: insomma, per molta gente è stata la prima volta che qualcuno ha detto “so esattamente di cosa stai parlando”.

    Leggendo il post ho pensato: ecco, pure Dafne ieri ha sbroccato. Ha pianto e protestato da quando è uscita dall’asilo fino a quando è tornata a casa, a ripetizione. Certe volte si è buttata a terra davanti a tutti, facendomi sentire inadeguata.
    Ma è semplicemente una rompiscatole, e non penso sia una bambina aplificata. E son sicura che ‘sentirei’ immediatamente la differenza conoscendo il bimbo di Serena o di Silvia.
    Dafne mi ha sempre lasciato la speranza, mai delusa, che qualsiasi capriccio ha un inizio e una fine, ha una risoluzione, e soprattuto una sua evoluzione. Ci sono stati periodi in cui pensavo che i suoi capricci fossero insostenibili, e poi sono passati.
    Insomma: ho potuto ricondurli a una normale fase di crescita di una bambina che ha un bel caratteraccio (del resto…), ma non così tanto da renderla frustrante o insopportabile.

    Ammetto con onestà che mi ha sempre fatto sorridere la cosa dei bambini indaco: queste cose new age mi sembrano sempre un po’ TROPPO. Troppo di tutto. Ma, al di là della definizione o del termine che si usa, credo che semplicemente ci siano bambini che hanno una carica emotiva e fisica più elevata degli altri, e che con loro non bastano i metodi tradizionali, ma una buona scorta di buon umore, ottimismo e pazienza, come diceva la vostra lettrice.

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  3. Volevo solo sottolineare una cosa che riguarda la riflessione finale del post di Serena. Io credo che la possibilità di “provare sentimenti così forti” e “vivere emozioni con tutto il suo corpo” che sono caratteristiche ricorrenti di questi bambini sia una grande risorsa per loro e una preziosa occasione per noi. Il fatto è che indubbiamente questo richiede moltissimo impegno ed energie, idee chiare anche nello spiegare ad altri interlocutori certe dinamiche di questi bambini (nonni, zii, maestri che spesso mettono, loro sì, etichette). Oltre a ciò spesso non si sa come fare, si è stanchi ecc. Iniziare a dare un nome alle cose serve a dare un punto di inizio, come giustamente ha detto Serena e altre. Uno dei miei fratelli – che è stato un punto di riferimento assoluto durante la mia infanzia- è stato un bambino “amplificato” e anche io lo sono in una certa misura. Credo che la storia di mio fratello sarebbe stata diversa – lo penso ora a posteriori naturalmente – se chi gli stava intorno oltre ad aver intuito fosse stato anche in grado di decifrare e appunto dare un nome per cominciare a convogliare questa sovrabbondanza energetica. Mio figlio è un bambino in qualche misura “amplificato” . (Di gente “caratteriale” nella mia vita ne ho conosciuta in discreta quantità, dunque 🙂 🙂 !!) E quindi anch’io, come Serena e credo tutte, ho la ferma intenzione ad aiutarlo a fare in modo che questa specie di “shining” (che non ha nulla a che vedere con super-poteri o super doti intellettive, almeno io la penso così) non diventi per lui un’arma a doppio taglio ma che possa diventare uno strumento di espressione e di evoluzione che personalmente ritengo molto bello.
    @stranamamma: a proposito di tamburi: consiglio una lettura che ha letteralmente inchiodato l’attenzione del nano mio: “anna è furiosa” di Christine Nöstlinger

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  4. @Serena: ovviamente non mi riferivo a te e ai genitori che leggono e scrivono commenti su questa pagina. già il fatto che ci si ponga il problema se sia giusto o meno utilizzare quella parola, che ci si documenti e si legga o scriva di questo argomento è indice di attenzione e responsabilità verso i propri figli. comunque per quel poco di esperienza che ho (mio figlio ha 2 anni), educare un figlio è molto faticoso, saperlo gestire in tutte le situazioni cercando di capirlo, senza essere aggressivi ma neanche permissivi, è davvero molto molto difficile! tornando al discorso dei ristoranti, è vero, il livello di sopportazione nei confronti dei bambini è molto basso, purtroppo qualche volta anche nei genitori stessi. quante volte mi capita di vedere bambini che per tutto il pranzo giocano ai videogames, è vero stanno buoni e non danno fastidio a nessuno, ma preferisco mille volte quelli che corrono fra i tavoli, cantano canzoncine a squarciagola, ma partecipano anche al pranzo e fanno conversazione con gli altri invece che isolarsi con i loro videogiochi. sicuramente è molto più facile tenerli buoni così e ti evita brutte figure… ma è corretto da un punto di vista educativo ed umano?

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  5. Devo dire che stavolta ti sei spiegata davvero bene.
    Deve essere molto complicato.. stimolante, snervante.
    Sono sicura che il fatto di sentirsi compreso aiuti molto il tuo piccolo amplificato.

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  6. anche a me piace molto l’aggettivo “amplificato”, anche se non avendo esperienza diretta ne’ indiretta se non attraverso i vostri post – mia figlia non ha vie di mezzo, o è pacifica oppure una ferrari, e anche i figli dei miei amici sembrano tutto sommato delle vie di mezzo – vedo il rischio di confusione con l'”iperattivo”. ma appunto, basta capirsi.

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  7. @Silvia: ok, ammetto tutto: sono testarda, selettiva nelle amicizie e non amo la routine, ma io da bimba ero tipo bambola: dove mi mettevano stavo. Ero molto timida, talmente poco incline al movimento che mia madre mi ha dato del “gatto di piombo” fin quando il Tato mi ha, in un certo qual modo, vendicata; ora la nonna non osa più dirmi nulla e rimpiange un po’la sua bimba mooolto tranquilla, perché fisicamente non ce la fa col Tato, oltre a non capirlo molto; con mio padre invece è stato amore e comprensione totale a prima vista, lui ha capito che Tato è un bimbo più.
    Ora, che io sia diventata amplificata strada facendo????? Non lo so. Io non credo di esere tale perché, a mio avviso e come dice Serena se non erro, l’amplificato si riconosce dalla culla. Io sono diventata più irrequieta crescendo, l’amplificato dovrebbe imparare a gestirsi, ridimensionandosi. Il mio percorso è diverso…..
    Ah, dimenticavo, al posto del loop motorio io mi accasciavo sul divano e , se potevo, dormivo fino alle 10 del mattino….
    A me piace il termine “amplificato” mi dà quell’idea di cassa di rinonanza che calza perfettamente al mio Tato, il quale ama i tamburi di ogni genere.
    @Serena: grazie per la comprensione….

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  8. …entro in punta di piedi…non ho esperienze dirette e quindi non voglio commentare ciò che non conosco, l’unica cosa che mi è venuta in mente leggendo il post è il libro “Bambini color Indaco” (e forse anche questa è un’etichetta)…
    i bambini descritti nel libro riportano atteggiamenti molto simili a quelli descritti da voi …

    … ad un corso a cui ho partecipato uiltimamente sulla rieducazione alla scrittura, con annessi problemi di apprendimento, il relatore faceva riflettere su alcuni atteggiamenti che possono sembrare particolari nei bambini( isolarsi troppo, mettersi le mani nelle orecchie,diventare troppo agitati …), e possono essere determinati da un problema di tipo uditivo, tipo iperacusia che essendo molto fastidiosa innesca nei bambini questo tipo di atteggiamenti, e di psicologico non c’è niente… … a volte ci si chiede tanti perchè e magari è una causa a volte ignorata … però appunto..non sò…e quindi me ne vado, ho voluto lasciarvi queste due miei piccoli pensieri…

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  9. StranaMamma, come te, ho conosciuto altre persone con le quali ci siamo “riconosciute” subito. E questo è innegabile: chi ha a che fare con un bambino amplificato, capisce subito che io sto parlando della stessa cosa.
    Ammettiamo anche che sotto sotto deve starci anche un po’ di genetica che, per esempio, noi due non è che siamo proprio tranquille…
    Anche a me è piaciuta molto la definizione in spagnolo: che poi è la traduzione in italiano di quella che riportava Serena “bambini ad alto bisogno”.
    E’ ovvio che la definizione “bambino amplificato” può non essere corretta: è mia!!! L’ho tirata fuori un giorno scrivendo un’email a Serena, senza alcun intento di coniare una definizione. Che poi adesso se scrivi “bambino amplificato” su Google, ti escono articoli e post non solo nostri, ma scritti da tante altre persone, che dirvi? Avrò talento per la nomenclatura!
    Mi rifiuto però in ogni modo di medicalizzare la personalità di mio figlio. Mio figlio è un normalissimo bambino di quasi sette anni.

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  10. Arrivo anche io, in coda a tutti questi commenti (oggi è stata una giornata… al di fuori di ogni prevedibile schema!!)
    La nostra pediatra ha identificato il temperamento del Sorcio (ebbene si, io ogni tanto lo chiamo davvero Sorcio!!) quando lo ha conosciuto all’ “età” di 5 giorni. Ha cercato anche un po’ di avvisarmi, ma io l’ho capita solo un bel po’ di tempo dopo!
    Tutte le volte che c’è stata incomprensione sul termine “amplificato”, è sempre accaduto con genitori di bambini non amplificati. Al contrario, con i genitori di bambini amplificati, è sempre scattata una immediata scintilla, un riconoscimento: insomma, per molta gente è stata la prima volta che qualcuno ha detto “so esattamente di cosa stai parlando”.
    Su quello che dice ITmom sono perfettamente d’accordo: crescendo si smorzano queste caratteristiche perchè impari a dominarle. Io, da adulta, ne presento ancora molte. La differenza con mio figlio sta solo nella capacità di farci i conti. Il mio compito, aiutarlo a trovare la sua strada per venire a patti con se stesso. Del resto oggi, a sette anni, vedo delle evoluzioni che non avrei osato sperare.

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  11. Se tutti i bambini che sono intorno a te si comportano in modo “normale” il più delle volte i dubbi ti vengono. E allora da li a pensare che è colpa tua che non sai gestire tuo figlio è un attimo.
    E aggiungo anche che ho conosciuto molti genitori (non dico che è il tuo caso) che mi hanno detto “ma anche mio figlio fa così” e poi quando ho conosciuto il figlio ho capito che non sapevano di cosa stessi parlando. E quando loro hanno conosciuto mio figlio hanno capito di cosa io stessi parlando …mi ritrovo pienamente con questo commento di silvia…e poi è vero che comincia tutto alla nascita…è difficile da descrivere…ad esempio ho dovuta lasciarla un giorno intero con i nonni per far loro capire di cosa parlavo…l’hanno capito, finalmente.

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  12. Porto la mia esperienza, sempre la stessa e raccontata forse troppe volte, ma talvolta repetita iuvant soprattutto in un contesto in cui si cerca di chiarire il concetto di bambino amplificato, già magistralmente sposto da Serena.
    Anch’io, come arch190, avevo in mente , nella mia vita precedente, che un neonato fosse lento, stesse nella culla e passasse buona parte del tempo a dormire. Non era un’idea totalmente astratta perché mio nipote, di 21 mesi più grande di mio figlio, era esattamente così. Poi è nato Tato con tutte le sue esigenze fisiche (as es: a tre mesi lui si dondolava sull’ovetto, quando mio nipote alla stessa età non era nemmeno in grado di starci su un ovetto; sempre a tre mesi, quasi per scherzo lo misi sotto una palestrina di plastica dura adatta ai bimbi dai 6 mesi e lui ha iniziato a tirarci botte da orbi ecc..) che mi sfinivano, spazientivano, spiazzavano ed esaurivano. No, non era più precoce di altri (ad esempio non riusciva a battere le mani in modo decente quando la maggior parte dei bambini lo fanno; ha parlato più tardi di altri ecc…)era semplicemente imprevedibile, molto energetico, altamente sensibile e assolutamente “demanding”. In poche parole era tanto, a volte troppo. So che tutti i bimbi possono esserlo, ma lui lo era sempre, 24 ore su 24. Ovviamente in queste circostanze ci si rivolta la coscienza come un calzino chiedendosi: “Dove sbaglio?” Perché, là fuori, tutti sono sempre ad insegnarti qualcosa dicendoti che non sei in grado di educare tuo figlio, che non dorme come il cugino perché non lo lasci piangere abbastanza da solo nella sua stanza ecc… Serena, Silvia e chi è dotato di figli amplificati sa che se vengono lasciati piangere in solitudine in una stanza non smettono da soli per sfinimento, ma finisce che qualche vicino chiama i carabinieri….loro sfiniscono te ed il circondario perché hanno più energie e vivono sempre col piede premuto sull’acceleratore. E questo è un dato di fatto che va al là dell’approvazione o disapprovazione del metodo di lasciar piangere a priori.
    Quando ho trovato questo sito è stato come se le tessere del puzzle che avevo in testa si fossero ricomposte per magia: qualcuno aveva dato un nome ad un fenomeno che io avevo osservato in maniera empirica tra mille insicurezze. Il mio non era un bimbo sbagliato e, soprattutto, ce n’erano altri simili a lui. Attenzione, simili e non uguali. Infatti, da quello che scrivono le autrici di questo blog, io noto differenze tra i loro pargoli ed il mio: il mio ad esempio è estroverso e non ama particolarmente la routine; lui ha piuttosto bisogno di sapere il “programma” in anticipo, ma preferirebbe che tale programma variasse di giorno in giorno altrimenti si stufa a morte.
    Grazie a Serena e Silvia ho fatto un passo avanti nell’accettazione di mio figlio per quello che è, ho capito che né lui, né io siamo sbagliati. Insomma l’ho accolto meglio. Se poi chiamare questo tipo di bimbi “amplificati” sia un’etichettatura o no non lo so e non mi pongo nemmeno il problema perché a me ha aiutato a crescere come genitore. A volte si ha bisogno di dare un nome ai fenomeni che non conosciamo.
    Chi non ha figli amplificati può non comprendere questa necessità e, talvolta, si limita a dire la mitica frase: “Anche il mio…”. Ma tu, madre di un amplificato sai che non è così e ti senti in qualche modo incompresa finché non trovi qualcuno che condivide la tua situazione, questo io ho trovato in Genitori Crescono.
    @arch190, mi piace un sacco la definizione in spagnolo “niños de alta demanda”.
    Con questo chiudo e mi scuso perché dico sempre le stesse cose, sono monotona e stavolta pure prolissa.
    Comunque GRAZIE DI TUTTO!

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  13. Trovo molto giusta l’osservazione di Claudia-cipi. Molto spesso i genitori sono in seria difficoltà quando devono prendere coscienza dei limiti o delle piccole diversità dei propri figli. Non avere un figlio da manuale, non vuol dire avere un figlio disadattato, o un futuro adulto problematico, vuol dire semplicemente prendere atto di un comportamento che per comodità e comprensione verrà chiamato “amplificato”,e cercare di trovare la via per comprendersi meglio e camminare insieme, senza eccessivi sbalzi emotivi da una parte e dall’altra. Avere paura di dare un nome ad un atteggiamento trovo che sia un po’ come negare il problema e non essere quindi costruttivi…Per fare un esempio semplice..quando l’insegnante aspetta un genitore per far presente un limite di un bambino, la risposta non è sempre la stessa. C’è il genitore che rifugge dall’appunto facendo subito presente che a casa suo figlio non è così…e c’è il genitore che ne prende atto cercando nei giorni a venire di capire quale può essere la difficoltà scolastica del figlio. Non dobbiamo impaurirci ma aprirci alla semplice classificazione di un comportamento se questo aiuta a trovarsi e a confrontarsi costruttivamente.

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  14. Ciao, probabilmente mio figlio viaggia sulla linea di confine tra il bambino molto vivace e quello “amplificato”. Mi riconosco in certi racconti, in altri, per fortuna mia, meno.
    Questo post in particolare mi ha colpita. Ultimamente, avendo cambiato orario di lavoro, riesco ad andare a prendere i miei due figli all’asilo quasi tutti i giorni. Escono alle 16.30 e vi assicuro che mi monta l’ansia intorno alle 14. Il mio bimbo più piccolo probabilmente risente del passaggio asilo/casa perchè appena mi vede all’asilo mi sorride e mi corre incontro felice, due secondi dopo (neanche il tempo di arrivare all’armadietto per cambiarlo)inizia a urlare e piangere per …boh, i motivi più diversi e assurdi.
    Ci vuole pazienza (io ne ero sprovvista ed ho dovuto cercarla dentro di me), bisogna guardarsi dentro ogni giorno e avere il coraggio e la forza di mettersi in discussione. Sempre.Io leggo, in un certo qual modo studio, non ho mai letto con tanta attenzione nemmeno all’università. Libri, riviste sui bambini, blog. Parlo con mio marito, lo informo, faccio lo stesso con i miei genitori.E ogni giorno ricomincio da capo. Non immaginavo sarebbe stato così difficile, in realtà non lo è stato con la mia prima bimba. Un figlio non mi ha cambiato la vita, il secondo l’ha stravolta, ribaltata e mi ha spinto a crescere per aiutare a crescere lui. Ma mi ha proprio spinto…con dei bei calcioni…:)

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  15. Ciao Serena, grazie per i chiarimenti 🙂
    Premetto che io non solo non ho idea di quanto dev’essere impegnativa la vita di una mamma amplificata, ma, avendo un bimbo ancora piccolo, non la so neanche confrontare con quella di una mamma non-amplificata. Non sono ancora arrivata ai “meravigliosi due” o alla fase dei capricci, ecc.

    E’ da diverso tempo che vi leggo e, in realtà, non ho mai percepito le tue definizioni come “etichette”, anzi ho sempre pensato che potessero aiutare chi ha bambini amplificati.

    Il dubbio mi è venuto quando ho letto quel post, scritto da un’altra mamma, da cui è nato poi il nostro confronto su fb, dove si lega la difficoltà ad accettare (ed amare) il proprio bambino al fatto che lui sia amplificato.

    A me è suonato strano, perché in tante ma tante delle cose scritte da quella mamma mi sono perfettamente riconosciuta. E allora mi sono chiesta in che misura la fatica di questa mamma è dovuta semplicemente al fatto di essere mamma, come lo sono io e chiunque altra, e quanto è dovuta invece al bimbo che ha? Ho avuto l’impressione che alcune difficoltà “normali” della mammità, fossero rese (mi ripeto) “patologiche” a causa dell’etichetta data al figlio.
    Spero di essere riuscita a spiegarmi.
    Ciao

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