Il bambino oppositivo

disturbo-oppositivoIl sorriso di Boy-Two è probabilmente la sua caratteristica che più colpisce chiunque lo incontri. Pare la classica affermazione da coredemamma, ma mi capita spesso di ricevere commenti anche casuali da persone mai viste prima che lo vedono ad esempio nuotare in piscina e mi fanno notare gli occhi ricci, le fossette, davvero emana luce propria.

Tutto questo bilancia drammaticamente un caratterino niente male che, per fortuna di tutto il resto del mondo, Boy-two riserva soltanto a pochi intimi. Nella fattispecie, io, suo padre e suo fratello.

A dispetto del nome che ho scelto per caratterizzare i miei figli in questi scritti, Boy-one and Boy-two, come Thing-one and Thing-two dei famosi racconti di Dr. Seuss, i due, anche se agiscono all’unisono in molte “avventure” e si intendono alla perfezione, specie in tema di furti di biscotti e altri generi di conforto, non potrebbero essere più diversi in quanto a carattere.

Il fatto è che Boy-two ha una personalità oppositiva.

Questa, o meglio la possibilità di attribuire un nome a questi otto anni di continuo e stremante tira e molla, è una scoperta relativamente recente. Mi capitava di leggere materiale su bambini “impegnativi”, e GenitoriCrescono e le informazioni sui bambini amplificati sono state molto molto illuminanti, ma ancora non riuscivo ad inquadrare Boy-two. Si, ovvio, c’erano dei tratti in comune, ma non molti dopotutto, e molti erano decisamente differenti. Boy-two non ha problemi di socializzazione, al contrario, non è particolarmente timido, non rifugge ambienti rumorosi, ben si adatta ai cambiamenti, non teme di provare cose nuove, e in certi tratti è quindi molto simile a suo fratello come lo raccontavo qui alla stessa età. Né ha mai avuto problemi a scuola, è molto creativo, portato per le scienze, interviene senza problemi nelle discussioni di classe, i suoi componimenti sono sempre una piacevole lettura, è super attento, insomma tutte le varie definizioni che abbiamo letto e riletto non lo inquadravano mai interamente, e non spiegavano mai totalmente le nostre battaglie ed esasperazioni quotidiane. Fino a quando non siamo incocciati in materiale sul “disturbo oppositivo provocatorio” come viene chiamato in italiano.

Questo materiale ci ha aiutato ad identificare un preciso fattore, che una volta eliminate tutte le altre caratteristiche “borderline” del disturbo, che non si applicano evidentemente a noi, visto che Boy-Two “funziona” bene come individuo in contesti altri che non siano casa, ci ha lasciati con un termine che possiamo decisamente e con sicurezza applicare al nostro Boy-Two.

La notizia è che Boy-Two, dunque, ha una personalità oppositiva, e questo pare sia un termine tecnico. Quanto mi rendono a mio agio i “termini tecnici” non potete sapere.

La personalità oppositiva non è soltanto i “terrible two” (four, five eccetera), il puntare i piedi, il dire sempre No! il litigare, il testare i limiti, il dirti cose orribili, la gelosia e le lotte fra fratelli, e tutto quello che è nel normale sviluppo di ogni bambino. Certo tutto questo c’era e c’è, e non ci preoccupa particolarmente. Quello che caratterizza il bimbo oppositivo è invece una certa visione della vita, e in particolare una precisa attitudine nei confronti del conflitto, che abbiamo imparato a riconoscere e comprendere. Volendo riassumere liberamente (mi perdoneranno gli esperti) dalle varie letture che ho fatto, per identificare un bimbo oppositivo vale la regola del CO-CO-CO:

  • COntrollo
  • COlpa
  • COnflitto

Provo a spiegare perché soffermarci a considerare queste tre caratteristiche è stato per noi illuminante, e soprattutto vorrei farlo dimostrando perché, a causa di queste caratteristiche, i vari approcci alla comunicazione, che abbiamo usato con successo con suo fratello, si sono rivelati fallimentari.

Dunque, partiamo dalla prima, il controllo.

Per il bambino oppositivo il desiderio di controllo è fondamentale, il bisogno di essere protagonisti delle proprie scelte. Diciamo che, come direbbe mio padre, si può caratterizzare come un poderoso capatosta. Capatosta e con una memoria spazio-temporale formidabile. Ce ne siamo accorti fin da piccolissimo, avete presente il classico trucco della diversione, per cercare di distogliere il pupo da qualcosa, tipo vuole prendere le chiavi di casa e voi, ooooohhhh lo distraete e gli proponete il pupazzetto/libro/sonaglino e quant’altro? Lui si, ci giocava, col nuovo arrivato, anche a lungo, ma poi tornava a bomba. Anche ora, credete di aver stabilito una volta e per sempre, a seguito di infinite discussioni, che questa cosa non si fa? Alla prossima occasione ripropone il caso, le sue istanze, praticamente come i peperoni, tornano su all’infinito.

Il desiderio di controllo significa anche che, ad esempio, è uno che sfida l’autorità. Ecco, per fortuna come dicevo questo non sale a livelli di disturbo quindi, per esempio, so che a scuola è ben contento di fare quello che maestri e preside chiedono senza fiatare. Ma a casa, semplicemente NON funzionano cose tipo, che so, i ragionamenti per conseguenze delle azioni.

Hai lottato con tuo fratello per un giocattolo? Il giocattolo ti viene tolto. Hai fatto la scenata? Ti allontani per dieci minuti e rifletti. Cose così, che nella maggior parte dei bambini ottengono un certo riscontro, per Boy-Two provocano solo ulteriore indignazione (da parte sua). Le volte che abbiamo provato a mandarlo in camera sua per dieci minuti è stato tutti e dieci i minuti ad imprecare sull’ingiustizia di questo trattamento e, una volta chiestogli di tornare e far la pace, è tornato sempre con l’espressione del guerriero pronto a riprendere la battaglia da dove si era interrotta. Salvo poi decidere (ma lo decide lui), ulteriori dieci minuti dopo, che la questione non gli interessava più.

La connessione difettosa fra azione e conseguenze porta direttamente al punto due:

La colpa. E’ una brutta parola “colpa”, si cerca sempre di non parlare in termini di colpa, il senso di colpa è quello che affligge ogni genitore del nuovo millennio degno di questo nome. Beh, nel mondo del bimbo oppositivo, la colpa è sempre di qualcun altro, sempre, per tutto. E non intendo la classica attitudine del bimbo che cerca di “affibbiare” la colpa a qualcun altro per le proprie marachelle, no, davvero pensa che la responsabilità per quello che succede sia sempre da cercare altrove. E il collegamento azione-conseguenza può diventare molto sofisticato.

Sono caduto? Colpa di mio fratello che mi ha detto una barzelletta e io nel ridere ho pensato di sedermi lì. Ho mangiato molto? Colpa di papà che non mi ha fermato, o che ha cucinato la mia pizza preferita. Ho dato un calcio a mamma? Colpa di mamma, che mi ha detto un no, e quindi mi ha fatto arrabbiare. Stiamo litigando? Colpa tua che non mi accontenti, “basta che mi dai ciò che ti chiedo e io la finisco. Semplice, mamma, no?”.  E via dicendo. Capite bene che quindi cercare di responsabilizzare diventa una mission impossible (e diventa quindi fondamentale l’utilizzo di nudge come dicevo il mese scorso). Così come diventa una mission impossible qualsiasi dialogo costruttivo quando il nostro è nel pieno del suo argomentare. Si perché, e arriviamo al punto tre:

ll conflitto, per il bimbo oppositivo, e intendo non il motivo per cui il conflitto è cominciato, ma il conflitto in se stesso, è quello che conta.

Questa è stata per noi la rivelazione, e la chiave di lettura, più importante di tutte. Il bimbo oppositivo non cerca di fare pace, perché è il conflitto che gli interessa, consapevolmente o inconsapevolmente. Il conflitto lo cerca, non prova ad evitarlo. Inutile cercare di farlo ragionare, offrire spiegazioni, mostrargli conseguenze, lui troverà sempre e comunque il modo di controbattere, a volte in modo logico, a volte illogico, perché l’età è quella che è, ma le tecniche argomentative raggiungeranno livelli molto sofisticati, il sarcasmo diventerà dirompente, ogni tua parola, ogni tua argomentazione potrà essere usata contro di te, come si suol dire, in qualsiasi momento. Il bimbo oppositivo non ha paura del conflitto, e infatti riesce a tollerare livelli di negatività che non crederesti accettabili.

Sa come spingere i bottoni giusti per farti esplodere, e reagirà malamente ad ogni tentativo di riappacificazione. Inutile provare ad abbracciarlo se all’apice del conflitto, lo farai soltanto caricare di più. Inutile ragionare e spiegare. Inutile il dialogo. Ecco. Che il dialogo non facesse altro che alimentare la sua conflittualità era una cosa di cui ci eravamo probabilmente accorti, col senno di poi, ma che pensavamo fosse dovuta al fatto che non riuscivamo a dire le cose giuste.

Ora che abbiamo letto un po’ di più abbiamo capito che in realtà quello che dobbiamo fare, contro ogni intuizione e buona pratica genitoriale, è tagliare corto. Soprattutto se ci rendiamo conto di essere particolarmente stanchi e quindi sappiamo che non riusciremo a tollerare che vengano spinti troppi bottoni, bisogna chiudere il dialogo. La parolina magica che abbiamo imparato e ripetiamo a mo’ di mantra diventa “comunque“. O “ciononostante“. Lui tira fuori un arditissimo teorema sul perché stasera non si deve fare la pipì prima di andare a letto? Inutile partire con spiegazioni pseudoscientifiche sul perché bisogna svuotare la vescica o con scenari possibili sulle conseguenze di letti bagnati o analogie tipo “la facciamo tutte le sere”. No. Tagliare corto. “Ti ho sentito, ma comunque/ciononostante la pipì la fai, non ho intenzione di dire una parola in più su questo argomento”. Anche in questo caso, mooolto meglio un nudge.

Insomma, un po’ ci ridiamo, anche perché ripensare alle teorie astruse che tira fuori davvero è divertente a volte, ma questo caratterino ci ha fatto passare non pochi giorni di grande tensione in questi otto anni passati. E leggiamo che i casi in cui questo comportamento diventa un disturbo, che quindi si allarga a vari ambiti sociali, davvero portano a situazioni difficili da gestire, soprattutto se l’opposizione si lega a disordini dell’attenzione o altre problematiche.

Per contro, nel nostro caso, dobbiamo confrontarci con un bimbo sì impegnativo ma anche molto creativo e sensibile. Creativo lo deve essere per forza se vuol mantenere standard elevati di conflitto! Ma sensibile anche, nonostante quello che succede nei momenti di parossismo conflittuale, perché si rende conto che non riesce a controllarsi a volte, e ha una notevole competenza nello spiegare le sue sensazioni ed emozioni. E’, in generale, una persona con cui è molto piacevole chiacchierare. Prima della prossima esplosione, ovviamente!

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37 thoughts on “Il bambino oppositivo”

  1. Grazie Mammamsterdam delle generose e approfondite spiegazioni! Non mi resta che documentarmi e approfondire a mia volta per mettere alla prova magari qualche pregiudizietto che potrei avere dalla mia 🙂

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  2. Mamma di bambino oppositivo all’appello!!
    Non è facile essere genitori di un bambino con queste caratteristiche: noi abbiamo iniziato a capirci qualcosa quando, a 5 anni, ci siamo decisi a rivolgerci a uno specialista. Che, devo dire, ci ha aperto un mondo.
    Nel nostro caso ci sono stati problemi anche a scuola, e tutt’ora (5° elementare) continuiamo, nei periodi più difficili, a farci sostenere da quella che ormai per noi è diventata la figura di riferimento sia per noi che per le maestre.

    Abbiamo lavorato molto sui rinforzi positivi e sulle emozioni, visto che a differenza di Boy-Two, il nostro “Boy-One” non era proprio capace di spiegarsi, e da qui nasceva molto del suo risentimento.
    Il lato positivo è che tutto il lavoro che abbiamo fatto è stato di beneficio per tutta la famiglia (abbiamo altri due bambini più piccoli).

    Ma devo dire che il nostro oppositivo, quando è in “buona”, è veramente meraviglioso!!!

    Buon proseguimento e complimenti per il sito!!

    Lucia

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  3. Grazie a dio almeno questa sembra che non ce l’ abbiamo, però è illuminante lo stesso. Invece l’ articolo che hai linkato nel commento qui sotto mi sembra interessantissimo, me lo tengo per il weekend

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  4. Grazie a tutte per i commenti. @Lula, vorrei innanzitutto puntualizzare che noi non abbiamo fatto diagnosi per il semplice motivo che non c’era un problema 🙂 se il comportamento di nostro figlio arrivasse mai a livelli per cui ci sentissimo nella necessità di chiedere aiuto, saremmo noi per primi a cercare una “diagnosi”. Quello che abbiamo fatto è cercare di capire se qualche accrocchetto ci potesse aiutare con certe sue inclinazioni, come mi potrai confermare tutto il processo diagnostico di solito parte dal genitore o da qualcuno in contatto col bambino che si accorge che c’è qualcosa che non va, cosa che sfocia nella richiesta di aiuto se ci si rende conto che non si riesce a gestire bene (tu hai avuto una diagnosi per dire che la tua è “facile”? scherzo hehe). Sulla ODD in particolare, si, è una condizione ben analizzata e studiata, per mia caratterizzazione professionale e scientifica i manuali di self-aiuto non sono mai il primo passo, anzi semmai l’ultimo. Se sei interessata ti posso rimandare a questo articolo della Annual Review of Clinical Psychology intitolato Current issues in the diagnosis of attention deficit hyperactivity disorder, oppositional defiant disorder, and conduct disorder che ho trovato molto utile, fra gli altri, perché fa un po’ il punto della situazione (al 2012) della ricerca sia su ODD che su ADHD and CD, articolo che rimanda a molti altri nella sezione referenze che se sei “del mestiere” troverai interessanti. L’articolo in particolare riconferma che la definizione di ODD, come introdotta dall’APA nel 1980, è ancora un costrutto utile per definire certe situazioni.

    Nota anche che il testo che menzionavo non è affatto un manuale per genitori, anzi, avevo scelto per metterlo qui un testo per gli addetti ai lavori (educatori in particolare) che avevo consultato qui in Università, nella biblioteca del dipartimento di psicologia ed Education 🙂

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  5. Bellissimo e interessante. Cogli un aspetto importante: una visione del mondo che questo tipo di bambino porta che non è semplice impuntamento e opposizione ma qualcosa di più profondo e diverso. Per nulla facile gestirli, sono bambini pieni di risorse e sono d’accordo con una grandissima carica affettiva, sensibili ed esasperanti allo stesso tempo, con capacità dialettiche estenuanti. Il mio ahimè dispensa anche a scuola le sue intemperanze e questo qualche volta mi preoccupa non poco. Volevo solo sottolineare, come comunque hai già fatto tu, che queste caratteristiche non fanno però da sole un “disturbo oppositivo provocatorio” che è un disturbo clinico, dici bene. Un po’ come dire che la difficoltà a concentrarsi non fa da solo un disturbo di attenzione.

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  6. Grazie di questo post, è interessante quello che scrivi Supermambanana. Devo dire che nei vari post sul bambino amplificato ho trovato informazioni utili ma non mi sono mai riconosciuta più di tanto, mentre questa dell’opposizione calza di più per la Stellina. Noi nel tempo ci siamo resi conto che imbarcandoci in discussioni e spiegazioni facciamo peggio, mentre tagliando corto del tipo ”piangi quanto vuoi, adesso è ora di cena e vieni a sederti” lei poi ci cerca per farci le coccole (?!?). Ovviamente non succede sempre, ci sono momenti in cui ancora a 4 anni spacca i vetri quando le diciamo di fare qualcosa 🙁 Mi leggerò l’articolo

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  7. Faccio un esempio stupidissimo. Io lavoro coi bimbi con DSA: è frequentissimo l’errore diagnostico in questo ambito da parte non solo di genitori, ma di insegnanti, psicologi non specificamente preparati e altre figure sanitarie. Tanti bambini e ragazzi con problematiche di apprendimento differenti vengono scambiati per dislessici, disgrafici o iperattivi o con deficit di attenzione. O viceversa, tanti dislessici vengono scambiati per ritardati o svogliati. Le cose si complicano ulteriormente quando parliamo di figli di immigrati nati in Italia e non. Esistono precisi protocolli per fare queste diagnosi e non tutti gli operatori coinvolti li conoscono e/o sanno utilizzarli. Poi il risultato è un intervento inefficace o anche peggiorativo. Scusate il commento suddiviso in 3

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  8. Mi rendo conto che la cosa può avere l’utilità di fornire chiavi di lettura per capire situazioni e idee pratiche per affrontarle con successo. Può anche servire a sentirsi meno scemi come genitori se non riusciamo a venire a capo della situazione. Ma… e se però ci sbagliassimo? Voglio dire, dopo aver beneficiato eventualmente di questi due vantaggi che ci derivano dalla lettura di un testo divulgativo di parenting, forse il passo successivo ma anche necessario sarebbe approfondire per andare a vedere se effettivamente è così che stanno le cose. Un’etichetta può pesare, specie se ti viene data da altri. Prima di utilizzarla, coi suoi pro e i suoi contro, meglio essere certi che sia quella giusta, no?

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  9. Ok, ho letto tutto e parto dalla posizione peggiore per commentare. Quella della madre di una bimba “facile”. (Ma in attesa di un secondo, che per nemensi divina sarà probabilmente amplificato, oppositivo e ad altissima richiesta!). Sarà sicuramente per questo che il bimbo descritto mi pare un mix tra Dexter (con annesso destino segnato) e il figlio di Tilda Swinton in “Let talk about Kevin”. Devo dire che sono perplessa su diversi aspetti, ma molto curiosa, non voglio saltare a conclusioni, sono aperta a cambiare idea. La prima perplessità è l’utilizzo dell’autodiagnosi o meglio in questo caso, della diagnosi fatta dai genitori sui propri figli per mezzo di un testo divulgativo, e non da un professionista. Da qui ti chiedo: il testo è corredato di valida bibliografia scientifica? Questa è una teoria accreditata? Di quale corrente psicopedagogica? Da persona che conosce solo superficialmente questi argomenti penso che indubbiamente abbiamo tutti dei caratteri innati che si manifestano nella nostra personalità, ma fatico a credere che questi si manifestino in modo così netto senza che il contesto e l’ambiente concorrano in modo ugualmente sostanziale. In generale sono molto perplessa riguardo al fatto di prendere definizioni da manuale e applicarle ai propri figli al di fuori di una valutazione complessa e circostanziata come può essere quella fatta da un operatore competente.

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  10. @Marzia, ti aspettavo 🙂 e mi riconosco molto in quello che dici, certe chiacchierate con Boy-two sono struggenti, quando lui pensa di essere “una persona cattiva” o ti confida che ha paura che da grande potrà fare qualche gesto inconsulto perché non riesce a controllarsi. Si, ha bisogno di molta rassicurazione che non c’è niente che non vada in lui, che qualsiasi cosa dica o faccia non smuoverà di una virgola il nostro affetto. E’ anche molto molto affettuoso, non so se ti ritrovi in questo. Abbracci.

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  11. La regola CO-CO-CO la conosco benissimo! Anche nel nostro caso l’opposizine si manifesta essenzialmente in famiglia e questo evita certamente battaglie esterne che posso sono immaginare quanto siano estenuanti, soprattutto con la scuola.
    Il problema principale nel nostro caso è arginare il giudizio, sia il nostro di genitori stanchi del conflitto sia soprattutto quello di nostro figlio che – perfettamente consapevole del suo modo di essere – tende a svalutarsi e ad usare il conflitto per testare se chi sta vicino gli vuole bene davvero.
    Sono davvero bambini molto sensibili con una capacità di comprensione enorme, per questo sono così efficaci nel trovare i punti deboli di ognuno e nell’utilizzarli per scatenere in breve tempo le peggiori reazioni.
    Con l’allenamento siamo diventati più bravi nel dare poco seguito a certi dibattiti, a “tagliar corto” come dici perfettamente tu, però ci sono giornate che la rissa non si riesce proprio ad evitare! Proverò anche a leggere il libro che consigli.
    Nonostante i passi avanti che abbiamo fatto mi buca il cuore avere la sensazione che una parte di mio figlio resti convinto di essere “troppo difficile” per essere amato davvero, anche da sua madre.

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  12. grazie e, tutta la mia comprensione ad entrambi! Sor Pampurio, anche io ho avuto la stessa illuminazione quando finalmente ho trovato la definizione giusta 🙂 Si, la teoria si applica da piccolissimi, Boy-Two anche a due anni aveva i terrible-two oppositivi, una fatica bestiale. Si applica infatti proprio ai bimbi, se i tratti appartengono a ragazzi più grandi non si parla più di disturbo oppositivo. Io ho trovato molto utile questo testo, purtroppo in inglese:

    Educating Oppositional and Defiant Children

    in bocca al lupo 🙂

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  13. Ciao!
    Bellissimo post innanzitutto!

    Io ho un bimbo ESATTAMENTE come quello descritto nel POST! Mi avete aperto gli occhi dandomi la giusta definizione di mio figlio.

    Volevo solo capire se questa teoria è applicabile anche ad un bimbo di 4 anni dato che,credo quello descritto nel post sia più grande o sbaglio?

    Grazie mille!

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