Un bambino, due genitori e una diagnosi sbagliata

C’era una volta un bambino. Questo bambino, un giorno, comincia l’asilo.
La maestra dell’asilo, dopo qualche settimana, chiama a colloquio i genitori del bambino: questo bambino non mi parla quasi per niente, questo bambino non fa che leggere o disegnare, questo bambino non è cattivo ma sta un po’ troppo per conto suo, questo bambino sembra che non ascolti però poi capisce tutto, questo bambino sembra sempre da un’altra parte con la testa, dice la maestra.
Questo bambino, dice la maestra, forse ha qualcosa che non va.

I genitori sono abituati al suo modo di comportarsi, pensano, e si fidano della maestra; è una maestra, pensano, sa quel che dice. I genitori allora s’informano e portano il  bambino in un famoso ospedale della loro città, specializzato in neuropsichiatria infantile. Molto cordiali e simpatici, i medici prendono il bambino e decidono di fargli fare una settimana da loro: invece di andare all’asilo va da loro, a fare più o meno le stesse cose – disegnare, giocare, leggere – ma sotto osservazione e insieme ad altre attività più interessanti per i dottori e guidate da loro.
Dopo questa settimana i genitori aspettano sei mesi per avere un responso. Sei mesi nei quali si chiedono, giorno e notte, tra le loro parole, mentre pensano da soli, mentre parlano con gli altri, se il loro bambino ha qualcosa, e se questo qualcosa ha un nome e qual è questo nome.
Sei mesi perché, malgrado i genitori del bambino telefonino spesso, i medici fanno fatica a riunirsi, a vedersi, a decidersi, a scrivere, hanno tutti molto da fare e per produrre in forma scritta dei risultati ci vuole tempo. Tempo che i genitori del bambino passano a chiedersi giorno e notte, tra le loro parole, mentre pensano da soli, mentre parlano con gli altri, se il loro bambino ha qualcosa, e se questo qualcosa ha un nome e qual è questo nome.
Dopo sei mesi, allora, i genitori del bambino vengono convocati nello studio del grande e famoso professore che coordina i dottori del famoso ospedale della loro città, specializzato in neuropsichiatria infantile. Il grande e famoso professore gli dice, sorridendo, che il loro bambino ha quella cosa – quella cosa lì, che avevano già sentito dire dalla maestra, che si sente nominare spesso, che viene citata spesso per il suo mistero, per il suo alone di tragica fatalità, di abisso insondabile, di cause ignote – ma in forma lieve, per nulla preoccupante. Ma cronica. Il grande e famoso professore dice proprio così ai genitori del bambino: in forma lieve ma cronica.
I genitori del bambino adesso hanno un altro problema, oltre alla malattia incurabile insondabile incomprensibile in forma lieve ma cronica che ha il loro bambino: il problema di se e come dire al bambino della malattia incurabile insondabile incomprensibile in forma lieve ma cronica che ha.

I genitori del bambino si rendono però conto che nel tempo passato tra le visite mediche nel famoso ospedale della loro città, specializzato in neuropsichiatria infantile e il responso del grande e famoso professore, sono passati dei mesi nei quali il loro bambino  è molto cambiato. Decidono che è necessario un altro parere, una conferma o una correzione, accettando il rischio che possa dare un esito ancora peggiore della prima diagnosi.
Allora i genitori del bambino si rivolgono all’ASL del loro territorio, che ha una struttura adatta per diagnosticare anche la malattia incurabile insondabile incomprensibile che il loro bambino ha in forma lieve ma cronica, e dopo ormai un anno dalla prima serie di visite e controlli nel famoso ospedale della loro città, specializzato in neuropsichiatria infantile, portano il loro bambino nel frattempo cresciuto e cambiato nella ASL del loro territorio. Anche qui un gruppo di simpatici e cordiali medici se lo tiene per qualche giorno consecutivo, facendogli fare più o meno gli stessi test e le stesse attività che aveva già fatto nel famoso ospedale della loro città, specializzato in neuropsichiatria infantile, e stavolta c’è anche uno dei due genitori ad assistere e a rispondere a qualche domanda.
Anche in questo caso i genitori però devono aspettare molte settimane, perché non è facile coordinare tutte le persone coinvolte nel processo diagnostico, nei test, negli esami. Il dottore responsabile dell’ASL del loro territorio, raccolti i pareri dei suoi colleghi ed acquisita la documentazione precedente sottoscritta dal grande e famoso professore del famoso ospedale della loro città, specializzato in neuropsichiatria infantile, convoca finalmente i genitori un giorno e gli dice che la malattia incurabile insondabile incomprensibile che il loro bambino ha è peggiorata, dando al loro bambino caratteristiche di asocialità e di intrattabilità che rendono necessario – dice il dottore responsabile – rivolgersi a strutture specializzate nel trattare un bambino con quella forma della malattia incurabile insondabile incomprensibile. Allega al rapporto una lista di queste strutture presenti nel territorio della ASL.

A questo punto i genitori hanno un altro problema, oltre alla malattia incurabile insondabile incomprensibile in forma grave del loro bambino e a quello di se e come dire al bambino della malattia incurabile insondabile incomprensibile in forma grave. Il problema è l’evidenza, al di là dell’inevitabile distorsione dovuta al loro amore di genitori, che il bambino descritto nel rapporto firmato dal dottore responsabile dell’ASL del loro territorio, corroborato dal precedente rapporto firmato dal grande e famoso professore del famoso ospedale della loro città, specializzato in neuropsichiatria infantile, non è il loro bambino.
I genitori del bambino non hanno mai visto quelle cose descritte lì accadere al loro bambino; non hanno mai visto il loro bambino comportarsi come viene descritto lì, né riconoscono nelle caratteritiche assegnate al loro bambino il bambino che vive con loro. Allora i genitori del bambino decidono che è necessario un altro parere, una conferma o una correzione, accettando il rischio che possa dare un esito ancora peggiore della prima diagnosi e della seconda diagnosi. Stavolta però si rivolgono, dopo molti sacrifici economici, a una struttura privata specializzata anche nella malattia incurabile insondabile incomprensibile in forma grave.

Sono passati ormai più di due anni da quando la maestra ha fatto le sue osservazioni sul bambino. I due genitori, per ora, hanno solo una certezza: non sanno né se il loro bambino ha qualcosa o è qualcosa, né sanno se è il caso di farglielo capire chiaramente oppure no. Ormai il bambino ha più di sei anni, è parecchio intelligente, ed è evidente che comincia a capire anche lui che qualcosa non va – oppure che lo si sta prendendo in giro per chissà quale motivo.
Anche nella struttura privata specializzata i simpatici e cordiali dottori si tengono il bambino per tanti giorni diversi, però i genitori sono convocati per un responso quasi subito dopo l’ultima visita, l’ultimo test, l’ultimo controllo. Più o meno le parole con il quale comincia il suo discorso il dottore fondatore della struttura privata specializzata sono le seguenti: “Bene, il vostro bambino non ha nulla di particolarmente grave. Certo ha un carattere un po’ chiuso, ma è molto sensibile ed intelligente, forse anche un po’ troppo per la sua età. Chi gli sta intorno dovrà un po’ ‘fare i conti’ con questo suo carattere ma tutto lì. Ma voi perché lo avete portato qui? Cosa pensate che abbia?”
Al che i genitori del bambino che adesso ha solo un carattere un po’ chiuso ma è molto sensibile ed intelligente raccontano le vicende precedenti – prima di finire le visite al bambino nessuno della struttura privata ne ha mai fatto richiesta o menzione – e mostrano i rapporti firmati dal dottore responsabile dell’ASL del loro territorio e il rapporto firmato dal grande e famoso professore del famoso ospedale della loro città, specializzato in neuropsichiatria infantile.

Il dottore fondatore della struttura privata specializzata, mentre legge quei rapporti, trasecola. Si mette le mani nei capelli, scuote la testa. Si domanda anche lui, come i genitori del bambino, se quello di cui si parla in quei documenti sia davvero lo stesso bambino che ha visto lui. Spiega – dopo la lettura – che purtroppo la malattia incurabile insondabile incomprensibile è molto di tendenza, la si diagnostica con una certa facilità sulla base di pochi protocolli tra quelli che sarebbe doveroso applicare sempre tutti per avere un quadro clinico affidabile, e che dando al bambino e ai genitori del bambino la possibiltà di usufruire di tante facilitazioni scolastiche e mediche c’è un certo lassismo nel darla come presente in una delle sue tante forme.
Ascoltato il parere – costoso ma utile – del dottore fondatore della struttura privata specializzata, i genitori decidono che il loro bambino ha solo un carattere un po’ chiuso ma è molto sensibile ed intelligente, cose che dopotutto sono ampiamente confermate dalla vita che stanno da sempre trascorrendo con lui.
E vissero tutti felici e contenti.

Bene, spero che la favola vi sia piaciuta: perché, mi scuso per la disonestà narrativa che ho usato, la storia non è una favola; è vera ed è quello che è successo a noi, a nostro figlio. Ho evitato di fare nomi e cognomi, nomi di luogo e di istituzione, ho anche usato il maschile come “neutro” per tutti i generi, perché non credo che in fondo quelle siano informazioni importanti. E’ importante dire che questo non ci ha insegnato né la diffidenza verso le istituzioni pubbliche né la fiducia inattaccabile in quelle private. Siamo ancora parecchio arrabbiati, ma non abbiamo nessun desiderio di vendetta. La cosa che, a distanza di tempo, ci fa ancora male è vedere come alcuni comportamenti deontologicamente esecrabili siano diventati “sistema”, prassi, azione deresponsabilizzata e deresponsabilizzante anche nel caso medico, clinico, diagnostico. E tutto questo fa entrare la nostra piccola storia in un più ampio discorso politico, etico e d’amore, che però qui non è possibile neanche iniziare. Ma c’è.

In queste sere nelle quali i nostri figli vedono con noi le Paralimpiadi londinesi con lo stesso gusto col quale hanno visto le precedenti Olimpiadi, sento che ci siamo comportati, alla fine, nel miglior modo possibile. Ma non capisco ancora in che senso.

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174 thoughts on “Un bambino, due genitori e una diagnosi sbagliata”

  1. E’ una storia molto istruttiva…e devo dirvi che voi siete stati bravissimi e molto equilibrati, vostro figlio è un ragazzo fortunato..con un carattere un po’ chiuso..beh, mica è l’unico
    Buone feste
    Daniela

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  2. Ciao, sono mamma di un bambino di 8 anni e negli ultimi 2 anni abbiamo vissuto tra alti e bassi.
    A metà del primo anno delle elementari la maestra ci ha segnalato un problema e consigliato di parlarne con la pediatra; è così iniziato il nostro travagliato iter alla ricerca del perché di certi comportamenti.
    Alla fine nel nostro bambino non c’è niente che non vada, ha solo un QI che rientra nel così detto ambito della plusdotazione o alto potenziale che dir si voglia.
    La nostra maestra sospettava che soffrisse di autismo, noi temevamo che il problema fosse il deficit di attenzione, nulla di tutto ciò.
    Contrariamente a quanto si crede ci sono diverse problematiche legate a questo dono e purtroppo si deve lottare con una serie di falsi miti che per una volta vorrei avere l’occasione di sfatare.
    Io per prima ho scoperto che i bambini “plusdotati” sono solo bambini; non sono geni, perché il genio è altro, non sono fenomeni da baraccone, non sempre hanno prestazioni stupefacenti, non sempre sono bravi in tutto, non sempre sono studenti esemplari, ecc…
    Quanto ai genitori, la maggior di coloro che hanno bambini certificati AP, non li espongono, non se ne vantano, ma si nascondono intimoriti da ciò che la società potrebbe pensare di loro. Esistono anche genitori pieni di se, che vivono riflessi negli occhi dei loro figli, ma spesso anche genitori di bambini non AP sono così. Un genitore difficilmente si rivolge ad uno specialista e sottopone il proprio bambino a valutazione per ego personale o perché vuole farne un supergenio; lo si fa perché esistono delle problematiche oggettive; i bambini AP hanno spesso problemi di relazione con i coetanei, tra l’altro possedendo una sensibilità elevata e superiore alla media e questo aggrava la situazione; spesso vengono segnalati dagli insegnanti come bambini problematici, come possibili portatori di deficit d’attenzione e/o ipertattività o come bambini autistici; altre volte hanno problemi comportamentali e vengono scambiati per bambini con disturbo oppositivo provocatorio.
    Noi ci siamo rivolti al Labtalento di Pavia, un centro universitario specializzato in problemi legati alla plusdotazione. Ho fatto questo passo tra mille dubbi, perché temevo di aver preso un abbaglio. Ora so che il mio bambino non è Asperger come supposto dalla maestra.
    Il vero problema di questi bambini non sono loro, ma siamo noi che li rendiamo vittime di mille pregiudizi. Se la scuola fosse veramente inclusiva per tutti, se gli insegnanti avessero un’adeguata formazione anche su questo tipo di problematiche, se gli adulti non li vedessero come fenomeni da baraccone o come vittime di genitori esaltati che li costringono ad attività che altrimenti non farebbero mai, genitori che “li privano della loro infanzia” (non avete idea di quanto non sia vero), questi bambini probabilmente non avrebbero problemi. La società non è pronta ad accoglierli e loro esprimono il loro malessere con tutti i disturbi a cui accennavo prima.
    Del canto mio ringrazio il Labtalento e Stepnet, l’associazione genitori; da quando abbiamo incontrato queste due realtà il mio bambino sta facendo passi da gigante e non parlo del suo cervello, ma del suo cuore. Ora non si sente “un diverso”, non si sente inferiore agli altri, ma diverso come tutti, perché tutti siamo diversi e dobbiamo imparare a rispettare le nostre e altrui diversità.
    Una diagnosi sbagliata può fare molti danni purtroppo.

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  3. a me è andata peggio….sono stata ricoverata da mia madre al eta di 15 anni in ospedale pschiatrico…..ero triste per un esame di matematica e mia madre mi stressava. sono stata violentata dai medici infermiri e paramedici al uscita ho avuto una diagnosi di schizzofrenia….ho parlato con un medico pschiatra che a partecipato a convegni sulle dignosi sbagliate sui bambini ….ecco secondo lui non ho nulla che non va non devo prendere nessun farmaco…..è la pscosi e stata causata dalle violenze che avvenivano in ospedale pschiatrico.. ma allora ma vaffanculo! e quando ci vuole ci vuole!

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  4. Ciao. Sono Donatella, mamma di M., un bambino di 9 anni
    Sono stata indirizzata, con la “complicità” del mio ex-marito, fissato con le “scienze psicologiche”, a una struttura di Bosisio Parini, che ha rilevato nel bimbo un “disturbo” dello spettro autistico. In realtà mio figlio non solo ha la media dell’8 e mezzo a scuola (cosa compatibile con il disturbo), ma è un compagnone sempre cercato da tutti, pieno di fantasia e di amici, che sa essere sottilmente ironico che occorre ma anche molto sensibile. Non è assolutamente aggressivo nè è mai fuori dalle righe: sa sempre comportarsi in modo adeguato (è un po’ vivace solo quando viene “trascinato” dagli amici, come tutti i bambini, ma non ha mai avuto problemi di condotta a scuola). Non vive nel suo mondo nè è fissato con hobby e collezioni assurde ma ha esattamente i medesimi interessi dei ragazzini della sua età. Le uniche cose che potrebbero (e sottolineo potrebbero) essere da spettro autistico sono:
    1) un lieve impaccio motorio (per me, semplice imbranataggine chiaramente ereditata dalla madre) ora a detta degli insegnanti completamente SUPERATO;
    2 la presenza dello “sfarfallio” delle mani, ancora presente anche se sempre più di rado.
    Mi sembra un po’ poco…
    Io sono un’insegnante delle scuole superiori: mi rendo conto di quanto il mondo sia pieno di ragazzi con problemi mentali, sociali, emotivi e io devo farmi un mazzo così fra colloqui, “diagnosi” e “incontri di restituzione” per un bambino che vive in un solo mondo: quello bellissimo della sua infanzia piena e serena. Ho l’impressione che gli unici a cui tutto questo frutti qualcosa siano gli ospedali e le strutture sanitarie, che si pigliano un sacco di quattrini dalla regione. Non è un problema di neuroni, è di euroni…€€€

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  5. Ho vissuto la tua stessa esperienza e so cosa hai provato…smarrimento, ansia, sconforto, sospetto perchè nel tuo intimo avverti che non c’è corrispondenza fra le diagnosi e la tua percezione di genitore e poi dopo la gioia di aver scongiurato la “malattia cronica” il disturbo pervasivo, l’anormalità di tuo figlio; dopo la trafila,le code, gli accertamenti non sempre piacevoli (anzi mai), la paura che tuo figlio possa avvertire che c’è qualcosa che non va in lui; dopo tutto questo arriva la rabbia, il rancore verso il professorone che ha precipitosamente diagnosticato qualcosa che non c’è, verso le strutture mediche e i loro dipendenti che mai oserebbero contraddire il “professorone” per averti fatto perdere mesi preziosi in cui non ti sei goduta la crescita di tuo figlio, in cui l’hai scandagliato come un animale da laboratorio invece di gioire dei progressi…e tutto questo perchè??? Forse perchè il settore ha bisogno di sovvenzioni??? Aumentando le statistiche i reparti possono sopravvivere…arrivano più fondi??? E’ vergognoso, il tempo perso non me lo restituirà più nessuno e mi devo sentire dire che non devo provare rabbia ma sollievo perchè la malttia incurabile e cronica non ce l’ha. Tanta felicità a te e alla tua famiglia

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  6. Ciao Ema,
    sono sostanzialmente d’accordo con te, anche se non è esattamente sulla tua riflessione che volevo puntare l’attenzione con il mio precedente commento. Volevo piuttosto sottolineare come siano esplose diagnosi o meglio ipotesi di diagnosi inerenti a comportamenti (e ribadisco comportamenti) dei bambini in tutti i campi di controllo sociale (in primis, sanità e scuola) quando i bambini stessi disattendono i parametri, gli obiettivi minimi o massimi, le curve, le statistiche e, non ultimi, i percentili. Come se, prima o poi, si dovessero per forza adeguare ad essi, senza tenere conto delle infinite possibilità combinatorie di tutti questi elementi: lo sguardo globale verso il bambino è rarissimo ed è limitato ai singoli volonterosi o di talento (come sono certa che sia tu, cara Ema).
    Da questo sguardo parziale e settoriale di analisi del bambino, paradosso dei paradossi, sono esclusi i genitori il cui punto di vista è spesso di disturbo per medici ed insegnanti. Mi è stato detto più volte: lei non intervenga, lei non parli, lei non commenti. Queste indicazioni (dette sempre con gentilezza rara, naturalmente!) sono impartite non solo perché i genitori “rompono le scatole”, ma perché il loro parere è viziato dal rapporto privilegiato con il figlio, dato che è intriso di ben altri sentimenti: affetto, comprensione, anche sopportazione se vogliamo, pazienza, creatività, istinto, slancio, donazione in cambio di niente. Tutte cose che, naturalmente, possiedono anche molti medici e molti insegnanti. Ma, al momento di dare il parere ufficiale, il rapporto genitore-figlio viene squalificato, perciò i poveri genitori di cui il post argutamente narra si vedono raccontare di un bambino che non è il loro bambino. Perché non fa con gli estranei quello che con loro fa. O addirittura fa meglio (poi ci sono i casi contrari, in cui il peggio è a casa, ma qui – a mio parere – c’è la vera patologia). Gli ignari genitori, presi come sono dall’innamoramento filiale, non si sono accorti del pericolosissimo deviante sociale che stanno covando in seno alla loro famiglia. E se a casa sorride ed è affettuoso, ma a scuola no e dal pediatra nemmeno, beh, maleducati genitori che non gli hanno insegnato a sorridere fuori casa. E comunque, stupidi genitori che non si sono subito resi conto dell’incipiente autismo.
    Fine del ragionamento.
    Il tuo commento mi dà poi questo spunto:
    Nel mondo adulto, però, non valgono le stesse regole di quello infantile, se di regole dobbiamo parlare.
    Non è forse grazie alla fiducia e all’amore senza condizioni che molti uomini e donne hanno completamente riscattato la loro esistenza, trovando un equilibrio e una serenità che non avevano mai potuto raggiungere? E non parlo solo di disagio psicologico tout-court, ma di assassini, ladri, prostitute, picchiatori e killer. Il massimo cioè della devianza sociale.
    O forse anche il loro compagno o marito o amante ha detto loro:” ti amo, ma ci sono delle regole che devi rispettare se no non ti amo più?”
    Piuttosto un molto più eccitante: “Ti amo”. Punto. Senza se e senza ma.
    Con i bambini, tuttavia, non osiamo pensare così bene. Come fanno a bastare la fiducia e l’amore? Quello dei genitori, poi, non è neanche amore, bensì smielato lassismo. Perciò strenuo esercizio di apprendistato sociale, fatto di ammonimenti, concessioni, ricatti, premi e punizioni per formarne il carattere. E guai a un sorriso di meno, a una parola di meno, a una posata lanciata per terra, a un grazie detto troppo in ritardo, a un riserbo eccessivo e a una corsa sul marciapiede fatta quasi a volersi liberare di cotante attenzioni.
    Nonostante tutto continuo a credere nell’innata bontà dell’essere umano e al fatto che i nostri figli nascano già “brave persone”, come ci ricorda Carlos Gonzalez nel suo splendido decalogo (si trova in Bésame Mucho).
    Per concludere penso che, se insegnanti e medici incoraggiassero i genitori nella loro opera d’amore incondizionato (ed essi stessi ne praticassero un bel po’ di più), tanti dubbi verrebbero sciolti e altrettanti problemi (o falsi problemi) superati.

    Reply
  7. Ciao Ema,
    sono sostanzialmente d’accordo con te, anche se non è esattamente sulla tua riflessione che volevo puntare l’attenzione con il mio precedente commento. Volevo piuttosto sottolineare come siano esplose diagnosi o meglio ipotesi di diagnosi inerenti a comportamenti (e ribadisco comportamenti) dei bambini in tutti i campi di controllo sociale (in primis, sanità e scuola) quando i bambini stessi disattendono i parametri, gli obiettivi minimi o massimi, le curve, le statistiche e, non ultimi, i percentili. Come se, prima o poi, si dovessero per forza adeguare ad essi, senza tenere conto delle infinite possibilità combinatorie di tutti questi elementi: lo sguardo globale verso il bambino è rarissimo ed è limitato ai singoli volonterosi o di talento (come sono certa che sia tu, cara Ema).
    Da questo sguardo parziale e settoriale di analisi del bambino, paradosso dei paradossi, sono esclusi i genitori il cui punto di vista è spesso di disturbo per medici ed insegnanti. Mi è stato detto più volte: lei non intervenga, lei non parli, lei non commenti. Queste indicazioni (dette sempre con gentilezza rara, naturalmente!) sono impartite non solo perché i genitori “rompono le scatole”, ma perché il loro parere è viziato dal rapporto privilegiato con il figlio, dato che è intriso di ben altri sentimenti: affetto, comprensione, anche sopportazione se vogliamo, pazienza, creatività, istinto, slancio, donazione in cambio di niente. Tutte cose che, naturalmente, possiedono anche molti medici e molti insegnanti. Ma, al momento di dare il parere ufficiale, il rapporto genitore-figlio viene squalificato, perciò i poveri genitori di cui il post argutamente narra si vedono raccontare di un bambino che non è il loro bambino. Perché non fa con gli estranei quello che con loro fa. O addirittura fa meglio (poi ci sono i casi contrari, in cui il peggio è a casa, ma qui – a mio parere – c’è la vera patologia). Gli ignari genitori, presi come sono dall’innamoramento filiale, non si sono accorti del pericolosissimo deviante sociale che stanno covando in seno alla loro famiglia. E se a casa sorride ed è affettuoso, ma a scuola no e dal pediatra nemmeno, beh, maleducati genitori che non gli hanno insegnato a sorridere fuori casa. E comunque, stupidi genitori che non si sono subito resi conto dell’incipiente autismo.
    Fine del ragionamento.
    Il tuo commento mi dà poi questo spunto:
    Nel mondo adulto, però, non valgono le stesse regole di quello infantile, se di regole dobbiamo parlare.
    Non è forse grazie alla fiducia e all’amore senza condizioni che molti uomini e donne hanno completamente riscattato la loro esistenza, trovando un equilibrio e una serenità che non avevano mai potuto raggiungere? E non parlo solo di disagio psicologico tout-court, ma di assassini, ladri, prostitute, picchiatori e killer. Il massimo cioè della devianza sociale.
    O forse anche il loro compagno o marito o amante ha detto loro:” ti amo, ma ci sono delle regole che devi rispettare se no non ti amo più?”
    Piuttosto un molto più eccitante: “Ti amo”. Punto. Senza se e senza ma.
    Con i bambini, tuttavia, non osiamo pensare così bene. Come fanno a bastare la fiducia e l’amore? Quello dei genitori, poi, non è neanche amore, bensì smielato lassismo. Perciò strenuo esercizio di apprendistato sociale, fatto di ammonimenti, concessioni, ricatti, premi e punizioni per formarne il carattere. E guai a un sorriso di meno, a una parola di meno, a una posata lanciata per terra, a un grazie detto troppo in ritardo, a un riserbo eccessivo e a una corsa sul marciapiede fatta quasi a volersi liberare di cotante attenzioni.
    Nonostante tutto continuo a credere nell’innata bontà dell’essere umano e al fatto che i nostri figli nascano già “brave persone”, come ci ricorda Carlos Gonzalez nel suo splendido decalogo (si trova in Bésame Mucho).
    Per concludere penso che, se insegnanti e medici incoraggiassero i genitori nella loro opera d’amore incondizionato (ed essi stessi ne praticassero un bel po’ di più), tanti dubbi verrebbero sciolti e altrettanti problemi (o falsi problemi) superati.

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  8. Quando leggo di vecchi metodi scolastici ma ancor più quando sento parlare di nuovi metodi a volte mi viene rabbia a volte da ridere ma entrambi gli stati d’animo sono venati di sconforto.
    Non ce l’ho con te Cecilia, ho scritto queste cose proprio perché sono d’accordo con te.
    Ma chiedo a te, in quanto formatrice, cosa di nuovo è entrato nella prassi scolastica e quanto di questo poco nuovo è stato cacciato a forza negli ultimi anni?
    La scuola delle esperienze concrete, della sperimentazione, della costruzione delle competenze in modo individuale fornendo strumenti diversi, rispettando gli stili di apprendimento, attraverso un metodo cooperativo e di mutuo aiuto in cui l’insegnante è coordinatore e mediatore è nuova? Oppure tutto questo è vecchio di decenni eppure è stato sempre ostacolato e si è avuta cura di dequalificare e demotivare la classe insegnante perché queste “novità” non entrassero o uscissero dalla scuola?!
    I bambini sono a-normali per definizione perché in formazione e il processo per la socializzazione e integrazione di tutti, che ci deve essere per una società armoniosa, è lungo e deve rispettare i ritmi di tutti e di ognuno.
    Mi permetto di chiarire, perché chiamata in causa in merito all’accento che ho posto sulle regole, che certamente devono essere date rispettando i bambini ed esigendo rispetto, ma anche questo sono regole.
    I bambini sono nuovi nel mendo e devono capire come funziona e lo si insegna attraverso le regole; i principi ispiratori di rispetto, uguaglianza, solidarietà ecc che sono alla loro base li impareranno gradualmente prima vivendoli e poi attraverso il processo di astrazione che deve essere guidato da adulti sicuri di quello che stanno facendo.
    Non so a quali regole pensi nel tuo riferimento io non penso a regole che costringono ma a regole che danno sicurezza a chi non sa ancora come deve comportarsi nel relazionarsi con gli altri.
    Ciao 🙂

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  9. Arrivo a questo interessante post e ai suoi commenti, dopo che ho ricevuto l’incarico di scrivere un po’ di articoli sui bambini, i metodi didattici e la scuola in generale.
    Da mamma, formatrice e persona che ama capire “come tira il vento” nelle famiglie e nella società, mi e vi pongo questa domanda: non è che, per caso, siamo arrivati a un punto di svolta educativo e pedagogico per il quale i vecchi metodi – scolastici e medici – non vanno più bene per i bambini di oggi?
    I bambini sono sempre bambini, ieri e oggi, ma forse ci stiamo rendendo conto come genitori di quanto sia urgente cambiare i parametri di riferimento vecchi di cento(mila) anni: a scuola, nel doposcuola e negli ambulatori e/o ospedali.
    Ho avuto mille dubbi anch’io in merito a mio figlio, ed ero convinta che medici e insegnanti mi avrebbero consigliata per il meglio. E se non loro,almeno la psicomotricista o la maestra di teatro. Ma non è affatto così! Mio figlio non è affatto conosciuto intimamente,né a scuola né altrove.
    Allora ho preso in mano le redini delle nostre vite e ho scelto di accompagnarlo alla scoperta del mondo rispettando il suo stile. Mi perdoni chi scriveva che la cosa più importante che serve ai bambini sono le regole. Non lo credo. Altrimenti ci ritornano di nuovo a tormentare i dubbi sulla presunta anormalità dei nostri figli. Forse la cosa più importante è la fiducia. In attesa del l’aggiornamento di medici insegnanti e professionisti vari.

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  10. @Dafne non vorrei monopolizzare questo spazio e trasformarlo in una mia posta del cuore di maestra 😛 :-D.
    Per la mia esperienza la disarmonia tra lo sviluppo affettivo e lo sviluppo intellettuale è piuttosto comune nei bambini più intelligenti della media, perché capiscono cose che non sono in grado di gestire emotivamente. Li ho anche visti molto spesso però risolvere da sé queste disarmonie. Soprattutto se incontrano adulti che danno loro possibilità di trovare parole per esprimere gli stati d’animo. Anche solo poter dire “sono nervoso, voglio prendere a pugni un cuscino” può essere un aiuto. Le disarmonie di crescita per i molteplici aspetti sono frequenti; basti pensare alla crescita di altezza e peso che non sono sempre uguali.
    Non mi permetto di dire che la terapia sia inutile, anzi, ma che la previsione di un anno potrebbe essere eccessiva e accorgervi dopo tre o quattro mesi che si sono ridotte le manifestazioni ansiose. Se invece il bambino stesso (dopo i primi incontri che potrebbe vivere in modo ansioso) dovesse desiderare continuare nulla (se non le difficoltà economiche e pratiche) impedirebbe di completare l’anno.
    Credo che la prospettiva di questa possibilità possa aiutarvi nella scelta.
    Ciao 🙂

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  11. @Ema
    tutta la mia stima. Peccato io abiti dall’altra parte dello stivale.
    Per mio figlio la “diagnosi” e’ una disarmonia: sviluppo cognitivo piu’ alto della media e sviluppo psico affettivo “ancorato a stadi precedenti”. Per la psicoterapeuta questo e’ terreno fertile per una serie di disagi, “patologie” che potrebbero (e sottolineo potrebbero) accentuarsi o svilupparsi con l’eta’. Ma cio’ che lei propone, la “terapia”, consiste in una serie di incontri bi o trisettimanali, per oltre un anno, e cio’ comporterebbe (oltre un aggravio economico) anche un piccolo “terremoto” per la mia famiglia, di ulteriori incastri di orari, e di tutte le cose che una famiglia con due bambini e due lavori comporta…
    So che il mio bambino e’ speciale… So che e’ solo un bambino. Col suo percorso di crescita. Ma e’ in bilico tutta la mia fiducia in me stessa ed in lui, per il suo percorso … In questo momento, ecco, io non so che fare. Ho solo paura di fare la scelta sbagliata.

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  12. Le classi NON devono essere omogenee (sai che noia!) ma dovrebbero non esserci differenze di composizione tra una classe e l’altra della stessa scuola. Se i bambini più vivaci si trovano tutti nella stessa classe la gestione è più faticosa.
    Purtroppo c’è stata una politica che ha permesso l’ingresso nella scuola anche a insegnanti non preparate, da tutti i punti di vista; non è qui il caso di spiegare come hanno fatto e a quale scopo.
    Chiedevo se la terapia consigliata era a pagamento perché è una discriminante per capire se vi può essere un interesse privato. Altra cosa è se la struttura pubblica consiglia un trattamento, che non è in grado di dare per la lunga lista di attesa, e i genitori scelgono, responsabilmente, di farla seguire privatamente.
    Se la struttura pubblica non ha rilevato nulla io non farei fare nessuna terapia. Inoltre se la struttura pubblica non ha rilevato niente non ci sarà alcuna diagnosi e non ci sarà insegnante di sostegno.
    L’uso e soprattutto l’abuso delle “note” è un segnale delle difficoltà delle insegnanti che chiedono ai genitori di intervenire per contenere i bambini quando i genitori non sono presenti ed è una contraddizione evidente.
    Però il fatto che parte dei bambini vengano sollecitati a rifiutare i compagni è un altro segno delle pressioni, che ipotizzavo, che ricevono le insegnanti.
    “Nessuno nasce imparato” ma certamente ogni genitore vorrebbe che le insegnanti non imparassero a spese dei loro figli, anche se fesserie le abbiamo fatte tutte all’inizio.
    Però io leggo anche molta ansia in voi, come se verificare se un bambino ha disagi e trovare modalità per rapportarsi con coerenza per farlo star meglio fosse un dramma. Non è così. Ogni bambino è a sé e ha un proprio percorso di crescita che comprende gli apprendimenti scolastici ma anche le competenze relazionali e l’adattamento alle richieste che gli vengono fatte in ambienti diversi. Può succedere che un bambino manifesti in un determinato periodo più disagio di altri in modi magari disturbanti. Quello che aiuta di più ogni bambino è il sentirsi accettato/amato e nel contempo avere regole da seguire, regole chiare e ferme semplicemente perché sono regole.
    Io sono di Milano.
    Credo che, appena potrà, la responsabile di questo spazio potrà darvi la mia mail che le regole del web mi impediscono di pubblicare.
    Siate serene :-)Ema

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  13. ciao Alla,sono d’accordo con te, stanno facendo vivere a mio figlio la scuola elementare come un incubo.
    dalla 1° classe maestre incompetenti e presidi non in grado di gestire situazioni. maestre che si lamentano di avere classi con bambini problematici che destabilizzano e che non permettono di portare avanti il programma. che l’unica soluzione che hanno è di mandarti da specialisti.
    ma io dico nessuno ha costretto a fare gli insegnati e come noi tutti affrontiamo i problemi nel ns lavoro loro dovrebbero fare lo stesso loro , a maggior ragione visto che trattano con bambini.
    anche io sono di Roma e stiano per affrontare l’iter dell’aiuto psicoterapeuta pero ho paura che sia inutile..
    ma non sarebbe il caso di mandare dallo psicologo le maestre?
    non credo chela tua esperienza sia isolata (solo delle 2/3 maestre) rispetto alle scuole d’italia, perché a me come altre persone è capitata la stessa tue esperienza . bisognerebbe un po riorganizzare la scuola e fare una selezione più severa sulla scelta degli insegnanti …anche perché hanno in mano bambini che possono cambiare il futuro dell’italia.

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  14. noi non ci aspettavamo certo di avere una classe omogenea (anche se dovrebbe essere cosi) invece a quanto pare le maestre pretendevano questo , infatti al minimo problema ci chiamavano a casa (se ti racconto altri episodi credo che potresti morire dalle risate)
    ci hanno consigliato di cambiargli scuola o classe.
    tutti hanno confermato che le problematiche attuali dei 5 bambini siano state causate dalla maestra di italiano di prima , che non solo
    non era preparata nella sua materia (errori di italiano: “..ha messo ..” senza h , corretto un bambino che ha scritto correttamente squalo in sCualo !!!) ma
    anche a gestire la classe; note continue (anche 5 al giorno!!fino a che per i bambini non avessero più la stessa valenza) ,
    punizioni severe davanti agli altri bambini (mio figlio è diventato vergonognoso e timido) , chiamate ai genitori per venirli a prenderli,
    mandati in punizione in altre classi, ecc.
    anche il consultorio della usl (che ci ha consigliato la scuola) ha detto (riporto testuali parole) “dite alle maestre che anche questo bambino non ha nulla se non essere immaturo e un po vivace,
    e velo metto per iscitto”
    questo perchè lascuola ha consigliato a tutti e 5 genitori di andare alla usl per un consulto.
    aggravando ancora di piu la situazione sono stati i genitori degli altri bambini che hanno dato contro in tutti i modi (anche dicendo ai loro
    figli dinon giocare con i 5 bambini), anche quando sono venuti gli psicologi a scuola e hanno detto che è una normalissima classe.
    ovviamente anche noi da genitori abbiamo sbagliato perche ovviamente pensando di far bene le abbiamo provate tutte: tolto i giochi,
    premiarlo quando era bravo, sculacciate.ma nulla è servito.
    da qui abbiamo inziato a consultare i vari specialisti.
    tutte le visite fatte (tranne quelle alla usl) le abbiamo pagate e anche l’assistenza che il centro adhd ci ha consigliato sarà a pagamento
    ancora non sappiamo quanto) .
    pensiamo anche noi che queste visite servano a noi adulti (genitori, insegnati) ad aiutare i bambini e deve esserci collaborazione il problema
    è , gli insegnanti vogliono questo?perche fino ad ora e congli altri bambini non è avvenuto.
    pensiamo anche noi che la scelta di cambiare scuola e classe sia sbagliata e che è sarà l’ultima cosa che faremo.
    la cosa che ci importa ora è capire se veramente nostro figlio ha dei problemi o no ed aiutarlo e non fare battaglie con la scuola o con gli altri
    genitori. ti ringrazio per la tua dispobibilità a chiacchierare privatamente tramite email e i tuoi consigli “da persona aldi fuori dei fatti”
    sono importanti.
    come faccio a chiederla al proprietario del blog?grazie ancora e spero di sentirti presto. (p.s di dove sei?)

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  15. Raffaella, capisco l’ansia e il disagio vostro, non metto in dubbio che possa esserci impreparazione da parte delle insegnanti, può anche essersi formata una classe che casualmente ha bambini con problematiche che collidono e rendono più difficile la gestione, sono possibili più cose insieme. Come ho già scritto, però, è normale che problemi che si incontrano a scuola non si verifichino a casa perché sono situazioni completamente diverse e dove vengono fatte richieste diverse. Mi ha fatto sorridere l’idea che siate stati chiamati perché il bambino si era seduto per terra perché è una cosa che dovrebbe essere gestita dalle insegnanti. Però, solo guardando questo episodio apparentemente insignificante, posso fare alcune osservazioni: 1) le insegnanti hanno “paura” di perdere il controllo del bambino e della classe. E’ facile che se un bambino fa una cosa “trasgressiva”, ovviamente in relazione all’età, la classe lo possa seguire perché lo “ammira” come un “coraggioso”. Questo avviene se sono inesperte o se hanno paura del giudizio dei genitori degli altri bambini o se realmente non sanno che pesci pigliare 2) se il bambino si siede per terra sta davvero trasgredendo e sta mettendo in atto un cosiddetto “comportamento oppositivo” (l’ho scritto tra virgolette perché è anche un’espressione che indica un disturbo di socializzazione e mi sembra inopportuno in questo caso)quindi a scuola si sente a disagio 3)voi dovreste capire che, benché si tratti di un fatto apparentemente minimo, vi è stata fatta la richiesta di intervenire presso il bambino per avere la vostra collaborazione per fargli rispettare delle norme di comportamento.
    E’ capitato anche a me di vedere colleghe nel panico per qualche comportamento oppositivo e, in passato, anch’io ho reagito, sbagliando, imponendo proprio in quel momento quel che il bambino non era in grado di fare, per non sentire sminuita la mia autorità. Sbagliando s’impara! L’intervento degli specialisti dovrebbe servire a guidare tutti gli adulti che si rapportano con il bambino ad avere atteggiamenti coerenti.
    Non conoscendo il bambino, né le insegnanti posso dire poche cose con certezza: il bambino è a disagio e reagisce da bambino. Non si può fare appello all’educazione o alla volontà perché non è ancora in grado di gestire il disagio. Anche il tic (frequentissimo a quell’età!) è un segno di ansia. Perché prova un disagio è da individuare. Può essere perché non si sente in grado di fare quello che gli viene richiesto o perché pensa di non saperlo fare come immagina lui che debba essere fatto (es: scrive “storto” e non riesce a scrivere “dritto”) oppure perché sente le richieste della scuola in conflitto con quelle della famiglia oppure soffre per la separazione dalla famiglia o dall’ambiente famigliare o tutte queste cose insieme. Credo di poterti dire di non preoccuparti per le visite perché non traumatizzano un bambino perché non possono essere da lui percepite come valutazioni, può però percepire la, comprensibile, ansia dei genitori e questo può lievemente falsare le “prove”.
    Se non sono a pagamento (a parte il ticket) io farei seguire la terapia che dovrebbe dargli modo di esprimere il disagio e rielaboralo e far conoscere meglio il bambino e dare utili indicazioni a tutti. In queste condizioni fargli cambiare scuola significherebbe richiedergli l’adattamento a un altro ambiente e il bambino lo potrebbe anche interpretare come essere stato rifiutato.
    Non so se è possibile, ma sarei lieta di darti pareri anche privatamente, sempre come semplice maestra, e non specialista, in questo caso autorizzo a comunicarti il mio indirizzo mail. Ciao 🙂

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