L’autorità paterna: imparare anche a sbagliare

Un padre che vuole essere modello di riferimento per i figli anche nella capacità di sapere imparare ed evolvere in continuazione, ha bisogno di mostrare di sapere sbagliare. L’autorità deve fare spazio alla libertà individuale.

Foto ©Fabíola Medeiros utilizzata con licenza Creative Commons
Foto ©Fabíola Medeiros utilizzata con licenza Creative Commons

Se ripenso a quella che è stata la mia vita lavorativa, e il rapporto che i tanti lavori che ho fatto per mantenermi gli studi prima e per campare poi hanno avuto con gli studi fatti, devo ammettere che è stato tutto un fallimento. Lo è stato, se la coerenza tra lo studio e il lavoro era quello che andavo cercando. Probabilmente mi sono reso conto solo molto tardi che lo schema nel quale avevo fatto le mie scelte era tutto da cambiare – o che qualcuno lo aveva cambiato: quello che mi era parso controcorrente e molto “ribelle” (gli studi filosofici) si è invece rivelato perfettamente adattabile alla disastrata situazione del mercato del lavoro che mi sono trovato a vivere.

Cosa accadrà alla generazione dei miei figli non provo neanche a immaginarlo. Posso solo tentare di trasmettere loro che ciò che importa imparare non è tanto una “cosa” oppure un’altra, un argomento o una materia o un interesse. Ciò che importa è il “come” imparano, e il rimanere capaci di farlo.

Umiltà di fronte ai dati della realtà, disposizione a cambiare le proprie convinzioni, alimentare la propria curiosità e il divertimento nel conoscere, non lasciare inaridire le relazioni personali, preservare l’autostima. Per quella che è la mia esperienza – come se potessi parlare sensatamente di un’altra – queste sono le cose che cercherei di insegnare a Ivan e Andrea come strumenti  validi per essere sempre capaci di apprendere. Perché se c’è una cosa di cui sono già sicuro è che questa capacità la dovranno sempre avere, qualunque cosa faranno nella loro vita.

Il difficile sta nel fatto che quegli strumenti li posso insegnare solo non direttamente. Lo devo fare – da padre – con l’esempio e con la relazione quotidiana. E questo è molto complicato, perché l’asimmetria della nostra relazione – non sono e non potrò mai essere un loro pari – mi mette davanti due notevoli difficoltà.

Da una parte la mia autorità non dovrà mai essere prescrittiva per le loro scelte, o rappresenterò una condizionamento troppo forte, che chiuderà ingiustamente le loro esperienze di conoscenza dentro i limiti di ciò che è da me permesso. Dall’altra, devo pure condividere con loro i miei insuccessi senza che diventino una paura per il loro futuro, o le mie opinioni strettamente personali sulle quali potranno anche divergere. La conoscenza, si sa, è libertà: avere a che fare con l’apprendimento attraverso una relazione molto forte come quella padre-figlio significa, inevitabilmente, avere a che fare col problema delle libertà individuali.

Cercherò, per quanto difficile, di conservare attentamente nella nostra relazione il suo carattere di scambio. Infatti, credo che solo il chiedermi spesso “cosa ho appreso dai miei figli?” ci aiuterà vicendevolmente a lasciare aperti l’intelligenza e i sentimenti, senza pregiudizi e timori, verso ciò che ancora ci aspetta. Rimanendo capaci di apprendere come affrontarlo.

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