5 passi per insegnare ai figli a cavarsela da soli

Tutti i genitori vogliono crescere figli autonomi e sicuri di se, in grado di vivere una vita felici facendo quello che vogliono loro. Si chiama capacità di autodeterminarsi. Solo che ogni genitore usa un metodo diverso, c’è chi ti butta giù nella fossa e spera che tu riesca a cavartela da solo, e chi si comporta da cosiddetto genitore elicottero, lavorando per spianare la strada e buttare giù ostacoli a colpi di machete. Ma forse esiste un sistema migliore. 

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Un giorno mi sono ritrovata a parlare con una mamma sinceramente disperata perché la figlia di 6 anni si era arrabbiata con lei dopo che lei l’aveva così generosamente aiutata a fare i compiti per il giorno dopo. Il piccolo dettaglio che la madre avesse agito di sua iniziativa e avesse svolto i compiti della figlia mentre lei dormiva per farle una sorpresa le sembrava irrilevante.
Un altro giorno mi sono ritrovata a parlare con una madre preoccupata perché suo figlio di anni 14 non sembra mostrare interesse per nulla, non si appassiona ad uno sport, ad un hobby, la vita sembra scivolargli davanti agli occhi senza che lui si riesca ad aggrappare a qualcosa. Ha usato proprio queste parole mentre me lo raccontava, ed era sinceramente preoccupata, al punto che mi ha confessato di voler chiedere un consulto ad un terapeuta per cercare di uscire da questa situazione di stallo. Secondo lei il figlio si è sempre comportato così, e per mostrarmi che aveva ragione mi ha raccontato un aneddoto. Quando il bimbo a quasi 8 anni ha espresso il desiderio di diventare un giocatore di hockey su ghiaccio (vivo in Svezia e qui l’hockey è roba serissima!), la madre rendendosi conto del fatto che il figlio iniziava con enorme svantaggio rispetto ai suoi coetanei che erano in campo da prima che iniziassero a camminare, oltre a comprare tutta l’attrezzatura necessaria e iscriverlo ad una squadra gli ha prenotato un allenatore privato. A 8 ANNI. Il figlio dopo qualche mese ha mollato tutto e lei è rimasta molto delusa.

Queste mamme avevano entrambe molta voglia di aiutare i propri figli ad avere successo, la prima voleva evitare alla figlia la delusione di arrivare a scuola senza aver fatto i compiti, la seconda voleva spianargli la strada per soddisfare i propri sogni. Entrambe però si sono sostituite ai figli per risolvere il problema, hanno trasformato il progetto (o un compito) dei figli, nel proprio progetto personale.
Spesso ci dimentichiamo che per aiutare i nostri figli abbiamo davvero bisogno di lasciarli andare. Let it go! Dobbiamo concedergli la possibilità di sbagliare e poi rialzarsi, dobbiamo lasciargli la possibilità di assumersi la responsabilità dei propri successi e dei propri fallimenti. Significa che la strada verso l’autodeterminazione vuol dire abbandonarli a se stessi? No, in realtà significa offrirgli gli strumenti per spianarsi la strada da soli, perché noi non staremo sempre lì con loro ad aiutarli. Ecco quindi cinque strumenti utili per insegnare ai figli l’autodeterminazione sin da piccoli.

1. Autonomia

Lasciamogli la possibilità di fare i loro passi, di mettersi in gioco, anche se questo significa a volte doverci legare le mani in certe situazioni. Ad esempio evitiamo di rispondere al loro posto anche quando sono piccoli e gli viene posta una domanda, ed evitiamo di intervenire quando si impegnano ad allacciare le scarpe anche se noi ci metteremmo un quinto del tempo che ci mettono loro. Affidiamogli nel tempo compiti sempre più complessi, adatti alla loro età, e ci renderemo conto presto del fatto che possono svolgerli in assoluta sicurezza. Vi dirò un trucco, la maggior parte dei bambini è assolutamente in grado di fare molte più cose di quelle che immaginate possibili. Per aiutarvi a capire se vostro figlio sarebbe in grado o meno domandatevi cosa succederebbe (o succede) a scuola in una situazione analoga. Nove volte su dieci se la caverebbero perfettamente da soli, perché la maestra non è in grado di stare dietro a tutti (e non è un male).

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2. Scelte

Accertatevi di offrire sempre la possibilità di scegliere. Esercitarsi a fare scelte significa esercitarsi a prendere decisioni. Le scelte possono essere facili nella quotidianità tipo quando chiediamo ad un tre-enne: vuoi indossare la maglietta verde o rossa oggi? Ovviamente non è sempre possibile farlo, e ci sono scelte troppo difficili, che non è possibile lasciare ad un bambino, ma nei limiti del possibile è importante esercitare questa abilità a qualsiasi età. Occhio a non esagerare perché offrire troppe possibilità di scelta sin da piccoli può portare esattamente all’opposto visto che troppe scelte stressano il bambino, ma esercitare questa abilità resta uno strumento importante verso l’autodeterminazione.

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3. Assertività

Insegniamo ai figli che la loro opinione è importante, e che siamo pronti a prenderla veramente in considerazione. Incoraggiamoli ad esprimere i loro pensieri a voce alta, soprattutto se i nostri figli appartengono alla categoria dei timidi, e proviamo davvero a non ridere delle loro idee per quanto possano essere assurde o strane. Questo è particolarmente importante per le bambine che purtroppo subiscono i freni che la società impone loro durante la crescita. Mostriamo loro che prendiamo la loro opinione con serietà.

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4. Rispetto

Pretendere rispetto per se stessi parte dalla propria capacità di rispettare gli altri. Infatti chi va avanti per la sua strada senza rispettare gli altri, non è in grado nemmeno di rispettare se stesso fino in fondo, e da lì a non sentirsi adeguato al primo errore commesso il passo è breve. Imparare a rispettare se stessi significa fare pace con le proprie debolezze, le proprie paure, i propri limiti, e usarli come trampolino di lancio per continuare ad andare avanti.

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5. Pensa-Pianifica-Fai (e Ripeti se necessario)

Che si tratti di un bambino piccolo o di un adolescente è sempre possibile insegnargli che qualsiasi obiettivo si voglia raggiungere ci si deve preparare. Bisogna pensare a quello che si vuole fare (o che bisogna fare), scomporlo in piccoli passi o azioni consecutive, pianificare il lavoro e infine svolgere il lavoro. E’ una sequenza del tipo Pensa-Pianifica-Fai. Sin da piccoli possiamo aiutarli a pensare a come risolvere i problemi o sviluppare progetti in questi termini. Ad esempio, cosa vuole dire prepararsi per uscire? Pensiamo insieme a quello che è necessario fare, a quello che dobbiamo indossare, e quello che abbiamo bisogno di portarci dietro nello zainetto. Facciamo uno schema insieme, magari disegnandolo e colorandolo, e poi seguiamo i passi del nostro piano.
Che sia il sistemare la stanza o il portare avanti un progetto scolastico complesso, è sempre possibile utilizzare questo schema, e aiutarli a scomporre l’azione in step successivi, da portare avanti fino in fondo. Naturalmente c’è sempre la possibilità di aggiungere un Ripeti in fondo, che diventa assolutamente necessario per raggiungere determinati obbiettivi, quindi Pensa-Pianifica-Fai-Ripeti, finché non si arriva ad un livello di bravura soddisfacente. Questo ultimo aspetto è quello che permette di avere quella mentalità di  crescita che ci impedirà di sentirci dei falliti nella vita.

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Questi cinque passi non sono una passeggiata semplice, in realtà si tratta di aspetti molto complessi e che hanno bisogno di tempo per maturare. Iniziare da piccoli ad esercitare questi strumenti permette però di arrivare alla maturità necessaria per trovarseli pronti e utili da grandi. E ora che ci penso, devo provare ad utilizzare questi strumenti anche su me stessa, chissà che non riesca a portare avanti un pezzo della mia vita nel raggiungimento dei mie obbiettivi personali 😉

 

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6 thoughts on “5 passi per insegnare ai figli a cavarsela da soli”

  1. Il mio problema: sono separata. Mia figlia è sempre stata mammona e io forse…iper protettiva. Ora…è necessario che lei impari a stare anche con altre persone, con il.padre, e mi riferisco al dormire fuori. Sento che ha bisogno di questa autonomia, l’ha espresso, ma ha paura di non farcela, e io soffro per lei. La psicologa che mi segue, dice che non devo mollare, perché le trasmettersi un messaggio sbagliato, ma io vorrei proteggerla.. Cosa posso fare per aiutarla a superare la paura del distacco?
    Grazie

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    • Come diceva il maestro Yoda: Fare o non fare. Non c’è provare.
      A volte è necessario fare in concreto e smettere di rimuginare: noi genitori per primi dobbiamo assumere un atteggiamento fattivo e anche un po’ fatalista. Può essere utile anche presentarle la faccenda per quello è: semplicemente una (una sola) notte fuori. Con la collaborazione del papà, potrete rassicurarla che potrà chiamarti a qualsiasi ora e poi presentarle il lato bello, cioè la novità. Se dall’altra parte ci sarà collaborazione, riusciranno a farne anche una piccola occasione di festa (un film insieme prima di dormire, un gelato, qualche piccola cosa speciale).
      Io direi che è il momento di buttarsi. Tu e lei e anche il papà. Ma quanti anni ha?

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  2. Mi è capitato sabato scorso di vedere la prima nota presa dal mio primogenito, seconda elementare: non aveva fatto i compiti di storia. E’ stata una delusione e al tempo stesso un’ottima occasione: gli ho ricordato che lui è responsabile delle cose di scuola e che può chiedermi aiuto ma non sarò io a fare i suoi compiti.
    Non ho mai fatto i compiti con lui: rientro troppo tardi, lui in genere se la cava benissimo in autonomia e la cosa mi ha sempre dato grande soddisfazione.
    Eppure, nonostante questa mia profonda convinzione sull’autonomia, la prima reazione, quella di pancia, una volta letta la nota è stata: parlo con la maestra! Errore!!!
    Questo per dire che anche le persone che cercano con raziocinio di aiutare i propri figli ad essere autonomi, spesso cadono nei tranelli del volerli proteggere.

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    • Hai ragione ElenaElle, si cade tutti nel tranello. E’ proprio per questo che bisogna pensarlo come un processo, una cosa che si impara a fare insieme, noi e loro. Questa piccola “nota” della maestra è solo un campanello che ricorda a tuo figlio che ci sono conseguenze per quello che si decide di fare o non fare, e per te per ricordarti il tuo ruolo. In generale non credo sia un errore parlare con la maestra però, certo non per una nota sola, ma se si dovesse ripetere spesso può essere un segnale che qualcosa non funziona, e allora parlare con l’insegnante può aiutare a capire cosa. MA visto che normalmente se la cava da solo, continuate così. Grazie per il commento!

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  3. Mi sento di condividere molto dell’esperienza e delle strategie e penso davvero di voler e dover applicare questo tipologia di approccio anche a me stessa. In particolare vorrei riuscire a fare (e a insegnare – perché si sa, faccio quello che fai, non quello che dici) che i punti 3-4-5 sono ricorsivi e che si torna e si ritorna su quello che si fa, non perché si fallisce, o meglio: perché fallire fa parte del vivere ed è un segnale che ci dice “riprendi, ritorna da capo, rifai, troverai una strada più confacente al tuo cuore”.
    Spero di farlo io, per me, di modo che anche i miei figli possano farlo loro.

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    • Ecco grazie Silvietta che mi hai ricordato quello che mi scordo (quasi) sempre: faccio quello che fai e non quello che dici. Mi metto subito all’opera 🙂

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